Corriere della Sera, 2 giugno 2023
Gli equivoci della sinistra
Antonio Polito
Dunque il Pd a Bruxelles è favorevole all’uso di fondi del Pnrr per ricostituire le scorte di munizioni andate all’Ucraina, ma a Roma è contrario e non vuole che lo faccia il governo italiano. L’ultimo dilemma a sinistra si è sciolto ieri nel classico modo: giocando con le parole. La neo-segretaria Elly Schlein avrebbe voluto che il suo eurogruppo si astenesse, ma le è stato fatto notare che in questo modo si sarebbe staccato dai socialisti europei, oltre che dai popolari, dai liberali e dai verdi, per ritrovarsi insieme alle frange più estreme. Non si poteva. Risultato, la solita babele: 10 eurodeputati democratici hanno votato a favore, 4 si sono astenuti e uno ha votato contro. Per attutire il colpo il Pd si è allora rivolto al governo italiano, intimandogli di non fare ciò che aveva appena approvato in Europa, ben sapendo che l’esecutivo di Giorgia Meloni l’aveva comunque già escluso. È una tecnica politica nota, che gli inglesi chiamano dei «low hanging fruits»: se non puoi raggiungere il frutto sul ramo più alto, fai mostra di aver sempre puntato a quello che è a portata di mano. Più o meno, è ciò che potrebbe fare sull’altro versante Giorgia Meloni se – com’è probabile – ratificherà il Mes giurando che finché vive non lo userà mai. In politica chi promette di cambiare il mondo spesso ne viene cambiato. È una legge che la destra italiana ex sovranista ha imparato in fretta in otto mesi di governo, passati ad apprendere come comportarsi disciplinatamente in Europa.
Ed è una buona legge: perché garantisce che i partiti maggiori non rinneghino la responsabilità di governo in nome della fedeltà alla propaganda del passato.
Perciò ben venga la «trovata» di Elly Schlein se evita il rischio, purtroppo esistente, che il nuovo Pd venga trascinato dalle sue correnti più radicali dalla parte di chi non vuole più aiutare l’Ucraina, finendo così con l’aiutare Putin.
Ma la fatica e gli arzigogoli lessicali cui è sempre più spesso costretta la segretaria per conciliare le sue posizioni da militante di un tempo con i doveri da segretaria dell’oggi, dalla maternità surrogata al termovalorizzatore di Roma, ci dicono che a sinistra il problema della coerenza si pone in maniera più drammatica e divisiva che a destra.
Una parte del suo elettorato ha infatti un maggior bisogno «valoriale»: non gli basta la capacità di governare, o la difesa di un interesse, cerca l’inveramento di un’utopia. Si è così aperto sempre più un varco tra ciò che si crede che la sinistra incarni e ciò che la sinistra in realtà fa, descritto icasticamente dalla celebre battuta di Moretti, quando pretendeva dal suo leader che dicesse «qualcosa di sinistra».
Questa tensione, che spacca continuamente il Pd, deriva però da una sostanziale confusione proprio sui valori. Prendiamo il caso dell’Ucraina. Basterebbe leggere gli interventi degli ultimi dodici mesi pronunciati dal garante della Costituzione, il presidente Mattarella, per capire perché aiutare militarmente l’Ucraina è perfettamente in linea con l’aspirazione alla pace e il rispetto della dignità umana che tradizionalmente animano il popolo di sinistra. Basterebbe riflettere sull’articolo 11 della Costituzione, spesso invocato ma poco meditato, laddove dice che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»: avete mai letto una descrizione più precisa e profetica di quello che ha fatto Putin in Ucraina? E «ripudiare» non significa «astenersi»; ma «respingere», «rifiutare».
C’è invece una parte cospicua degli elettori delle primarie di Schlein che, subito dopo aver ribadito la legittimità dell’attentato di Via Rasella a Roma sulla base del diritto alla difesa contro l’invasore tedesco (sentenza della Cassazione del 1957), vorrebbero chissà perché negare o impedire l’esercizio di quello stesso diritto agli ucraini che si battono contro l’invasore russo.
Bisognerebbe insomma avere il coraggio di riscoprire davvero i valori fondanti della sinistra, se si vuole applicarli alla realtà di oggi senza imbarazzi. Se invece ci si dichiara a favore di una Difesa europea, ma poi contro l’aumento della spesa per la difesa, si sprofonda di nuovo nell’imbuto di contraddizioni che sono alla radice dei problemi del Pd. Anche perché forze politiche con meno storia, come quella di Conte, hanno minori difficoltà a nascondere la propria incoerenza, battendosi dall’opposizione contro le spese militari dopo averle incrementate quando erano al governo. Nella gara della demagogia, temo che il Pd perderebbe comunque.
Ma c’è un altro aspetto di questo dilemma per così dire più personale. Ed è che la ventata di energia e di novità portata da Schlein rischia di essere soffocata in culla proprio dall’attesa dell’«effetto Schlein». E cioè dalla fiducia messianica, diffusa a piene mani anche da scafati capicorrente, che sarebbe bastato un volto nuovo a risolvere problemi antichi. Per cui appena quei problemi si ripropongono, come alle elezioni amministrative, tutti ne danno la colpa a lei per il suo mancato «effetto».
Chi ha votato Elly Schlein convinto di aver finalmente trovato una leader capace di dire «bianco» e «nero», sarà rimasto deluso nello scoprire in questa vicenda delle munizioni che invece la giovane segretaria ha una notevole conoscenza delle sfumature cromatiche del grigio. Ma se la credibilità, il peso politico di questa leadership si consumasse troppo velocemente, davvero non riusciamo a immaginare come ne potrebbe uscire stavolta il Pd.