la Repubblica, 2 giugno 2023
Cutro, avvisi di garanzia per tre ufficiali
Alle 23.49 del 25 febbraio il capoturno della sala operativa della Guardia costiera di Reggio Calabria era relativamente tranquillo. Da Vibo Valentia, la Guardia di finanza assicurava che una loro motovedetta, la potente “5006” era già uscita alla ricerca di quel caicco, verosimilmente carico di migranti, segnalato un paio d’ore prima da un aereo di Frontex a tutti i comandi operativi europei ed italiani a cominciare da quello della Finanza a Pratica di mare. «Noi non abbiamo mezzi in mare ma se serve posso allertare nostre unità a Crotone o a Roccella», l’offerta della Capitaneria di Porto (come risulta dalla conversazione registrata sul server) rifiutata dalla Finanza. Peccato che la vedetta “5006” a quell’ora non era in mare.
«Lungi dall’essere in navigazione alla ricerca del target si trovava in realtà all’interno del porto di Crotone». Così scrivono il procuratore Giuseppe Capoccia e il sostituto Pasquale Festa nel decreto di sequestro che ieri, accompagnato dall’iscrizione nel registro degli indagati di tre nomi di ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza (ma altri tre iscritti sono coperti da omissis), ha segnato l’attesa svolta nell’inchiesta sui mancati soccorsi al caicco naufragato a Cutro, con 94 morti recuperati e 30 dispersi.
Anomalie nel giornale di bordo di quella notte (come rivelato da Repubblica nelle settimane successive alla tragedia), registrazioni audio che mancano dai server della Finanza, contraddizioni nelle relazioni di servizio, ritardi e scelte operative poco comprensibili. Quanto basta perché la Procura, per andare a fondo, decida di sequestrare pc, telefonini e tablet di ufficiali e sottufficiali in servizio quella notte, a Vibo Valentia, a Crotone, a Taranto per valutare – si legge – «gli atti dell’ufficio compiuti, rapporti interni, rapporti tra uffici relativi all’operazione di law enforcement, le fasi antecedenti all’affondamento, le modalità operative prescelte, le fasi e i momenti successivi al ritorno in porto», ma anche «reazioni, sfoghi o più in generale commenti rispetto all’operato».
E così il fascicolo contro ignoti è diventato tecnicamente un “modello 21” con i nomi dei primi tre indagati già ascoltati ieri: il tenente colonnello Alberto Lippolis, 48 anni, comandante del Reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia, il tenente colonnello Nicolino Vardaro, 49 anni, comandante del gruppo aeronavale di Taranto, e il luogotenente Antonino Lo Presti, in servizio quella notte alla sala operativo di Vibo Valentia.Omicidio colposo in conseguenza di altro reato che sarebbe poi l’omissione di soccorso, l’ipotesi di reato seguita dai magistrati che hanno disposto il sequestro di telefonini e tablet anche per altri due ufficiali che non sono però indagati, il comandante della motovedetta “V 5006” e quello del pattugliatore Barberi, i due mezzi coinvolti dall’operazione di polizia di quella notte. Altri tre nomi coperti da omissis risultano iscritti come indagati.
Dal decreto di sequestro emerge un’altra circostanza sconcertante. A parte le scelte operative e i ritardi nelle operazioni di quella notte, il caicco la Guardia di finanza lo aveva pure intercettato sul suo radar alle 3.34 del mattino, mezzora prima del naufragio, ma inspiegabilmente, alle 3.59, «sebbene il target fosse monitorato da 24 minuti», scrive la Procura, l’operatore della Gdf lo nega al collega della Guardia costiera. «Anche noi dal radar...dal radar al momento non battiamo nulla».
I trafficanti e gli scafisti di certo (cinque quelli arrestati e per i quali è in corso l’incidente probatorio) ma non solo. Dopo tre mesi di indagini con un fascicolo contro ignoti, leggendo la gran mole di atti, relazionidi servizio, note di trasmissione di Frontex, Guardia di finanza, Guardia costiera, carabinieri, sentite le testimonianze dei sopravvissuti e non solo, gli inquirenti di Crotone si sono convinti che le tante domande ancora senza risposte, a cominciare da quelle sulle regole di ingaggio scritte al Viminale con il ministro Matteo Salvini che privilegiano le operazioni di polizia a quelle di soccorso, meritassero una risposta.
«Siamo sempre stati convinti che il procedimento per i mancati soccorsi fosse nelle mani di magistrati che cercano la verità senza guardare in faccia nessuno – dice l’avvocato Francesco Verri, difensore dei familiari di alcune vittime —. Oltre cento morti reclamano questa verità. Avremo un processo per la strage di Cutro. Lo Stato ha responsabilità evidenti e la Procura di Crotone le accerterà per portare chi ha sbagliato davanti al giudice».