la Repubblica, 2 giugno 2023
All’Europa manca anche la polvere da sparo
Non solo non si trovano più le munizioni, ma si fatica persino a reperire la polvere da sparo. L’Europa trascinata nell’incubo della guerra dall’invasione russa dell’Ucraina scopre di non avere gli ingredienti base dei conflitti, quelli che dal quindicesimo secolo hanno deciso le sorti di qualsiasi battaglia. La carneficina del Donbass sta consumando miliardi di cartucce per i Kalashnikov e milioni di colpi per l’artiglieria. Lo scorso anno le batterie di Mosca hanno sparato dodici milioni di grossi calibri, adesso hanno ridotto il ritmo ma si stima che entro il 2023 ne tireranno sette milioni. Per sostenere la resistenza di Kiev gli arsenali della Nato sono stati svuotati, rastrellando gli ultimi avanzi degli anni Ottanta, e adesso si va alla questua negli angoli più remoti del pianeta, dove la produzione bellica non si è mai fermata: dal Pakistan alla Corea del Sud, da Singapore alla Turchia. Sono stati spediti persino emissari in Libia a frugare nei colossali depositi accumulati da Gheddafi per vedere se c’è rimasto qualcosa di funzionante. Ovunque però si registra il tutto esaurito.
La domanda di ordigni è cento volte superiore all’offerta, con unmercato in cui i prezzi salgono senza sosta. Il governo Zelensky non può lanciare l’offensiva prima di avere accumulato scorte sufficienti: chiede almeno due milioni di proiettili da 155 millimetri per gli obici donati dall’Occidente, che attualmente rischiano di restare a secco dopo due settimane di combattimenti. Ma tutti i governi dell’Alleanza atlantica invocano munizioni: la scorsa estate l’Italiaha stanziato 2.776 milioni di euro per uno shopping lungo dieci anni, già reso obsoleto dal rincaro dei listini e dalla lezione del conflitto. Una fame di pallottole insaziabile.
Gli Stati Uniti hanno già raddoppiato la produzione, passando da 200 mila a 400 mila colpi l’anno e nel 2025 contano di superare il milione. L’Europa è ferma a 50 mila. Numeri che rischiano di rendere impossibili i piani dei generali di Kiev e congelare la linea del fronte. Il problema è che non mancano solo le fabbriche per confezionali ma pure la materia prima: l’esplosivo per le ogive. Nell’intera Ue c’è un solo impianto attivo e si trova in Francia, gli altri sono smantellati dopo la caduta del Muro. Prima di allora nella Penisola ne esistevano una decina. La storica Sipe Nobel di Spilamberto, in provincia di Modena, nel 1992 è stata venduta a un gruppo parigino che ha traslocato l’intera attività nella Repubblica ceca. Pochi anni dopo pure la struttura di Orbetello, nel Grossetano, ha chiuso definitivamente i battenti, rimanendo uno scheletro di archeologia industriale.
Adesso i finanziamenti messi a disposizione da Bruxelles vogliono rivoluzionare la situazione, ma nonostante il mezzo miliardo di euro messo sul piatto per moltiplicare le catene di montaggio – più altrettanti fondi a discrezione dei singoli governi – l’obiettivo di sfornare un milione di proiettili da 155 millimetri ogni dodici mesi pare molto ambizioso. Bisogna reinventare l’intera filiera, partendo dal settore chimico per il Tnt che promette profitti altissimi ma pure problemi ambientali e di sicurezza.
Nella Penisola l’operazione potrebbe interessare sei poli. Tre sono privati e fanno capo a holding straniere: uno in Lombardia, uno nel Lazio e uno in Sardegna. Tre appartengono direttamente allo Stato – a Baiano di Spoleto, Capua e Fontana Liri – e sono stati visitati due giorni fa da una delegazione dell’Ue, accompagnata dal direttore generale dell’Agenzia Industrie Difesa Nicola Latorre e dal direttore nazionale degli armamenti, il generale Luciano Portolano. Una stima ufficiosa ritiene che nel futuro prossimo possano arrivare a un volume di 400 mila munizioni l’anno, destinate ad artiglieria e mezzi corazzati. Ammesso che si riesca a ottenere il tritolo: ne servono 4.000 tonnellate. Tutto dipende dalle decisioni dell’Eliseo. Con una sola alternativa per accelerare i tempi: importarlo dagli Stati Uniti, che sembrano capaci di bruciare le tappe per tornare a essere competitive nella sfida tra potenze. D’altronde i primi proiettili da 155 millimetri che il governo Draghi ha recuperato dai magazzini dell’Esercito per spedirli in Ucraina avevano sopra una scritta risalente al 1970: “Dono degli Usa agli alleati”.