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 2023  giugno 02 Venerdì calendario

Estratto dell’autobiografia di Raf

Pubblichiamo un capitolo della biografia scritta da Raf insieme a Cosimo Damiano Damato, “La mia casa”, edita da Mondadori.


Quanto mi manca Pino. Comprai i primi dischi, amai subito la sua voce, il linguaggio napoletano e quello sguardo sul mondo da giovane coraggioso e anticonformista. Entrò subito nel mio cuore, forse l’unico vero riferimento artistico italiano insieme a Francesco De Gregori. Pino venne ad abitare a poche centinaia di metri da casa mia. Ebbe inizio la nostra amicizia. Tutto ciò che era nel suo orizzonte visivo era filtrato come dalla piccola fessura di una mano chiusa a pugno, e per vedere doveva guardare il mondo in obliquo, come nelle poesie di Pessoa. È la malasorte dei grandi poeti, che colpisce la vista dopo che hanno guardato e raccontato la vita anche nei loro angoli più nascosti e segreti. Penso a Borges. Anche Pino aveva raccontato la sua Napoli come il grande poeta argentino Buenos Aires. Mi raccontava con entusiasmo della casa al mare e del suo motorino a forma di moto ma che in realtà poteva spingersi al massimo a quaranta-cinquanta chilometri all’ora. Quasi sempre c’era qualcuno che gli faceva strada e, in bici tra le campagne intorno a casa, a volte c’ero io. Giravamo per i campi aperti, era una forma di libertà e non serviva neanche mettere a fuoco la strada. Pedalava sempre a poca distanza da me. Era divertente. Era diventato un amico e basta. Tolleravo con ironia il suo temperamento lunatico, la sua capa tosta. Era difficile fargli cambiare idea su un qualche argomento, ma non ho dovuto mai insistere perché quasi sempre mi trovava d’accordo. Come me amava i festival, tranne quello di Sanremo. Intrappolare la musica nelle dinamiche dell’intrattenimento televisivo è come annichilire la sua essenza. (…) Pino era radicale nelle sue convinzioni. Aveva spesso poi un atteggiamento premuroso, paternalistico, senza la presunzione di volere insegnare qualcosa, la sua era una manifestazione d’affetto, di cura, di protezione. Col passare degli anni qualcosa in lui era cambiato, rispetto al Pino Daniele-Masaniello pazzo, quell’incoscienza di giovane ribelle aveva lasciato spazio a una sorta di silente saggezza quasi sofferta, anche se non aveva perduto la tempra di dire le cose che non condivideva. I problemi di salute gli avevano stravolto l’esistenza (…). Non conosceva mezzi termini: o ti dimostrava il suo affetto totale e sincero o ti ignorava. Spesso passavo la notte in studio per finire una canzone, e andavo a letto all’alba, ma appena addormentato, intorno alle otto, un paio di volte mi è capitato di sentire il citofono. Era Pino che mi proponeva un giro in bici, e anche se stanco io mi infilavo i pantaloni e in pochi minuti ero pronto, come Sancho a cavallo della mia bicicletta Ronzinante al fianco del suo amico Don Chisciotte. L’ultima volta che l’ho visto è stato a Courmayeur per il Capodanno televisivo di Rai Uno. Ci salutammo. Io ero con Gabriella, lui con la sua nuova compagna. Aveva un’aria sofferente. Sento ancora quella sensazione di precarietà nello scambio del nostro ultimo abbraccio. Dopo tre giorni, il 4 gennaio, la notizia della sua resa nella corsa all’ospedale nella notte per rianimare un cuore oramai forse stanco. Ritrovarmi lì, di fronte al suo corpo sospeso, senza più nemmeno un impercettibile fiato di vita necessario per cantare ancora un ultimo blues, è stato devastante. Sembrava irreale, e incredulo ho liberato il dolore di quel momento in un lungo pianto. Mi mancano le nostre chiacchierate e le sue battute fulminanti in napoletano quando qualcuno o il mondo lo facevano incazzare. Sentenziava con il suo grande umorismo quando c’era da dire le cose in faccia. Quello che il mondo era diventato non gli piaceva. Parlavamo di musica, di blues, dei suoi incontri con artisti giganteschi. E poi la malinconia. La rabbia del Pino dei primi tre album con il tempo era anche diventata serenità, pacificazione forse anche grazie alla magia di una nuova, importante storia d’amore, all’amore verso i figli. Poi qualcosa era stato infranto e allo stesso modo di altri grandi della nostra generazione, nelle sue ultime canzoni aleggiava un sentimento di resa (…). Sono ancora fermo al semaforo. Le auto dietro di noi continuano a suonare e a sorpassarmi. Napoli è sempre quella cantata da Pino con il suo sole amaro, l’odore di mare e quella carta sporca che non importa a nessuno e tutti aspettano ancora ’a sciorta.