Il Messaggero, 1 giugno 2023
Le ventuno donne della Costituente
«È nata la Repubblica italiana». In una foto in bianco e nero del giugno 1946 campeggia il volto di una giovane donna, il cui nome si è scoperto dopo era Anna Iberti. La testa della ragazza “sbucava”, “usciva fuori” dalla prima pagina del Corriere della Sera, che annunciava l’avvento della Repubblica. Quello scatto, realizzato da Federico Patellani, sarebbe passato alla storia. L’avrebbe utilizzato il settimanale “Il Tempo”, che titolò Rinasce l’Italia. E poi altri giornali, libri di scuola, trasmissioni. Quello di Anna Iberti resta il “volto-immagine”, il simbolo di un’epoca di speranze e prospettive, di visione, lavoro e tenacia.IL VOTOSono passati tanti anni da allora e molte cose sono cambiate. Pur tuttavia, è significativo che fosse un viso femminile a incarnare l’avvento della Repubblica. Perché le donne, che avevano combattuto per la liberazione dal fascismo e c’erano, fra loro, esponenti di tutte le classi sociali e di tutte le età, di ogni parte della penisola, di ogni appartenenza politica e religiosa avevano rivestito un ruolo determinante anche nel decidere le sorti politiche del Paese. Per la prima volta, infatti, erano state chiamate a votare: l’Italia fu fra gli ultimi paesi insieme alla Francia a concedere loro il diritto di voto. Bisognava pronunciarsi nel referendum che doveva decidere fra monarchia e repubblica; quindi eleggere i rappresentanti del popolo all’Assemblea Costituente. Che doveva scrivere la Costituzione. E finalmente anche le donne purché avessero compiuto i venticinque anni potevano essere elette. La partecipazione femminile al voto fu molto elevata: tutti i partiti, del resto, volevano che esse scendessero nell’agone, anche se le ragioni erano diverse.Furono elette ventuno donne: nove democristiane, nove comuniste, due socialiste, una esponente del “Fronte dell’uomo qualunque”. Alcuni dei nomi sono rimasti impressi nella memoria collettiva, altri meno, ancorché molti siano i libri e gli articoli usciti su di loro, anche recentemente. Si tratta di Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria de Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Spano, Angela Gotelli, Angela (o Anna Maria) Guidi Cingolani, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Lina Merlin, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana Togliatti, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce, Ottavia Penni Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi e Vittoria Titomanlio.LE STORIEC’era chi aveva fatto la Resistenza, chi era rimasta in clandestinità, chi aveva dovuto aiutare la famiglia e non aveva studiato, chi invece era andata all’università. Tutte, però, erano delle “pioniere”.Certo, il numero delle donne che entrarono all’Assemblea non fu elevato: su 556 componenti, gli uomini erano 535. Ma si trattò di un passo avanti fondamentale, che avrebbe aperto la strada a molte altre nei decenni a venire. E cinque di quelle donne – Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce, Ottavia Penni Buscemi e Nilde Iotti – fecero parte della Commissione “dei 75”, che avrebbe redatto la nostra Costituzione.Diverse per provenienze politiche, sociali, culturali, seppero lavorare coese in nome di un progetto comune, un disegno alto. Sarebbero state chiamate “le Madri Costituenti”, “le madri della Repubblica”. Tanti erano i problemi nell’Italia del dopoguerra: ineguaglianze, povertà, ingiustizie, sullo sfondo di un paese da ricostruire e lacerato da drammatiche divisioni. E molti erano gli obiettivi da raggiungere: occorreva fra l’altro assicurare le libertà e la possibilità di avere un lavoro dignitoso, affermare la giustizia sociale, garantire una maggior solidarietà. Bisognava intervenire sia sul breve periodo, per sanare le difficoltà più urgenti, sia sul medio e lungo, per lanciare politiche di ampio respiro che investissero ogni campo del vivere. Bisognava avere un “Progetto Paese”, mantenendo il legame con l’Europa.LE BATTAGLIEQuelle ventuno donne contribuirono a modificare la società, partendo dagli assetti giuridici, dagli schemi sociali, dalle politiche culturali. Sapevano di avere sulle spalle una colossale responsabilità, capivano che occorreva imprimere una svolta non solo all’Italia, ma all’esistenza delle italiane. La famiglia, cellula della società, si fondava su basi arcaiche e andava modernizzata, pur continuando a proteggerla e tutelarla. Mirarono al raggiungimento della piena uguaglianza fra marito e moglie, sottolineando l’importanza dell’istruzione ai figli. Volevano raggiungere la parità. Volevano che le donne potessero accedere a tutte le carriere, un traguardo a cui si arrivò col tempo e la perseveranza. Un esempio classico è l’ingresso in magistratura. Molte furono le conquiste ottenute grazie al loro impegno: gli articoli della Costituzione sull’uguaglianza, la famiglia, il lavoro si debbono alla loro perseveranza. Ebbero “il coraggio di essere libere” e la generosità di lavorare per le altre. Se oggi ogni bambina può divenire – studiando, lavorando e impegnandosi – “tutto ciò che vuole”, può raggiungere ogni traguardo, lo deve anche a loro, alle “madri della Patria”.