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 2023  maggio 31 Mercoledì calendario

il bello e il brutto

Verso la fine del Quattrocento, parecchi autori si divertirono a mettere in gara il nero e il marrone olivastro per decidere quale fosse il colore più brutto. Vinceva quasi sempre il marrone.

La sfida era stata lanciata da un certo Sicille, araldo di Alfonso v di Aragona, nel suo Blason des couleurs en armes, livrées et devises, che aveva avuto una gran diffusione nel corso del secolo e conteneva un capitolo sulla bellezza dei colori. Il rosso era il colore più bello, il bruno quello più brutto.

Tuttavia l’araldo preferiva il verde: «E quando verrà il mese di maggio non vedrete portare altro che il verde». Ovvero il colore del giovane amore pieno di speranza, come cantava una famosa romanza dell’epoca:

Il te faudra de vert vestir
C’est la livrée aux amoureux.

Tra le combinazioni, Sicille loda quelle di giallo pallido e azzurro, di arancione e bianco, di arancione e rosa, di rosa e bianco, di nero e bianco. Azzurro-verde e verde-rosso sono molto in uso, ma non sono belli. Il costume maschile ideale da lui proposto è: giustacuore nero, braghe grigie, scarpe nere, guanti gialli. Nota che il blu è portato dai contadini e dagli inglesi; che il bianco si addice ai bambini fino al settimo anno e agli scemi; che il giallo è soprattutto per la gente di guerra, per i paggi e per i servi, e non piace se non è accompagnato da altri colori.



La storia della curiosa competizione rinascimentale deve essere arrivata fino a Winston Churchill. Grande statista e pittore dilettante non privo di talento, raccontò un giorno della sua sensibilità verso i colori: «Non posso pretendere di essere imparziale sui colori. Mi rallegro con quelli brillanti, e sono sinceramente dispiaciuto per i poveri marroni».

Nella lingua latina, grigio e marrone si confondono nel concetto di opaco, fumoso, indistinto: così cinereus è solo il color della cenere, caliginosus della nebbia, fuscus indica i marroni spenti. Orazio usò ravus per descrivere gli occhi bruno-rossigni dei leoni. Ovidio, con scarsa galanteria, attribuì il ravus agli occhi di una signora.