il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2023
Un libro sulla cucina e il sessismo
In tutte le società sono le donne a cucinare nella vita di tutti i giorni, ma gli chef nei ristoranti sono uomini. Un paradosso. Alcuni numeri: in Francia, stando all’Insee, l’Istituto nazionale di statistica, il tempo medio passato in cucina ogni giorno, nelle coppia eterosessuali, è di 50-59 minuti per le donne, 15-18 minuti per gli uomini. Ma il 94% degli grandi chef è uomo. È da qui che prende il via la riflessione di Nora Bouazzouni, giornalista e traduttrice, in Faminismo. Il sessismo è in tavola, un saggio uscito nel 2017 in Francia e da oggi anche in Italia per Le plurali editrice.
Il patriarcato, sostiene Nora Bouazzouni, affonda le sue radici (anche) a tavola. È qui, a partire dai pasti condivisi in famiglia, che si perpetuano quegli stereotipi legati al cibo che condizionano le donne per tutta la vita e garantiscono la continuità delle disuguaglianze di genere. Come lei stessa sottolinea, l’autrice, classe 1986, non è né antropologa né sociologa. È giornalista, femminista e si interessa all’alimentazione. Nel suo testo, cita dati della Fao e dell’Onu, riprende studi sociologici e di psicologia sociale – tra cui Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti –, si rifà a inchieste giornalistiche e a saggi femministi – tra cui Il femminismo o la morte di Françoise d’Eaubonne, che per prima, nel 1974, elaborò il concetto di “ecofemminismo”. Si basa anche su esperienze personali. Il suo non è un testo scientifico, ma un saggio rivolto a tutti(e), scritto con stile scorrevole, ricco di esperienze in cui – ahimè – tutte le lettrici possono (ancora) riconoscersi.
La questione di partenza dunque è: “Perché le donne, nonostante siano detentrici di un sapere che da tempo si tramanda di madre in figlia, non occupano di più le cucine dei ristoranti?”. Nora Bouazzouni, che nel frattempo in Francia ha scritto anche Steaksisme (2022) e prepara un terzo volume, avanza una spiegazione e ci spiega al telefono da Parigi: “Si ritiene normale che la cucina quotidiana delle donne non venga remunerata né valorizzata, invece quando la cucina passa dalla sfera privata a quella pubblica, si professionalizza, sono gli uomini a trarne profitto, fama e denaro. L’attività viene valorizzata e valorizza chi la esegue”.
Emerge che l’ambiente dell’alta cucina è particolarmente ostile alle donne. Paul Bocuse, detto il “cuoco del secolo” (morto nel 2018, dichiarò, nel 1977, che “le donne sono ottime cuoche per una cucina tradizionale, per nulla inventiva, ma non sono delle buone chef”. Eppure ebbe come maestra Eugénie Brazier, considerata la madre della cucina moderna francese. Le prime difficoltà si incontrano nelle scuole. Constance, entrata a 18 anni nel prestigioso istituto Ferrandi, ha raccontato per la trasmissione tv Complément d’enquête il “calvario” quotidiano subito, fatto di insulti sessisti, umiliazioni e mani morte. Quando aveva voluto denunciare i fatti, l’insegnante le aveva risposto: “Devi abituarti, sarà così per tutta la vita”.
Tra le credenze sessiste legate al cibo, che la pubblicità e le riviste femminili contribuiscono a veicolare, c’è anche per esempio che le donne hanno una preferenza “innata” per il rosé, lo yogurt e le verdure. Mentre gli uomini preferirebbero la carne e i super alcolici. Insomma “ai cibi viene associato un genere”. La carne, in particolare, rinviando ai muscoli e alla forza, è un “simbolo di virilità”. Bouazzouni fa l’esempio del barbecue, un’attività che resta prettamente maschile (stando un sondaggio Ifop del settembre 2022, nel 78% dei coppie eterosessuali in Francia, sono gli uomini a occuparsene). Sul barbecue lo scorso anno era scoppiata anche un’accesa polemica in Francia, quando la deputata ecologista Sandrine Rousseau affermò che il barbecue è un “simbolo virile”: “Il barbecue – spiega Bouazzouni – , dal momento che non è cucina quotidiana ma si fa nei giorni di festa, con gli amici, per lo più all’aperto, è un luogo maschile. L’attività viene valorizzata ed è valorizzante. L’uomo viene applaudito perché griglia delle salsicce, mentre alle donne che cucinano tutti i giorni spesso non si dice neanche grazie”.
Da quando ha pubblicato il suo primo libro, la giornalista è vittima di minacce e di insulti sui social, soprattutto da parte di uomini. Uno dei più frequenti: “Statti zitta e torna in cucina”. Ma alle conferenze a cui partecipa o negli incontri con le scolaresche, incontra sempre più adolescenti pronte a difendere la causa femminile. Alcune le dicono che hanno trovato nel suo saggio gli “strumenti per armarsi” contro le frasi sessiste della vita quotidiana. Tante hanno un fratello a cui viene servito (ancora) un piatto più copioso. Tante si sentono (ancora) dire: “Non esagerare, altrimenti ingrassi”. ”I codici della femminilità accettabile, che comprendono il principio della snellezza e il self care, si integrano molto presto – osserva Bouazzouni –. Sin da bambine impariamo che, in quanto donne, non abbiamo diritto a lasciarci andare e di conseguenza passiamo tutta la vita a controllarci o a sentirci in colpa se cediamo”.
Più degli uomini, le donne sono vittime di grossofobia e sviluppano disturbi alimentari come anoressia e bulimia. Allora gli stereotipi legati al cibo diventano anche problema di salute pubblica ed è anche per questo che la battaglia va combattuta. Malgrado gli innegabili progressi fatti, la lotta femminista per Nora Bouazzouni è infatti ancora “una necessità”. E conia un neologismo, “faminismo”: “Con questo termine – spiega – voglio dire che l’emancipazione, la distruzione degli stereotipi, passa anche per la cultura alimentare. Che il cibo può essere una potente leva d’azione perché ci riguarda tutti, tocca la nostra intimità e fa parte della nostra cultura. Le cosiddette tradizioni non sono immutabili”.