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 2023  maggio 31 Mercoledì calendario

Intervista a Daniele Silvestri

«Per fare un sacco di clic ci vuole un ospite X, per un miliardo di stream almeno un paio di feat», canta Daniele Silvestri in Intro X, la canzone che apre il suo nuovo album Disco X (la ics sta per la lettera con la quale nella numerazione latina si indica il numero dieci, tanti quanti i dischi incisi da Silvestri), criticando con sarcasmo le logiche attuali della discografia. Guai a fargli notare che nel suo disco, in uscita 9 giugno, ci sono più duetti che in quello di un trapper, dieci in tutto: da quello con Giorgia su Cinema d’essai a quello con Fulminacci su L’uomo nello specchio, passando per quello con Franco126 su Bella come stai, con i Selton su Il talento dei gabbiani, con Frankie Hi-Nrg e Wrongonyou su While The Children Play, con Eva su Mar Ciai, con Davide Shorty su Up In the Sky e con Emanuela Fanelli su Tutta. Il 54enne cantautore romano contrattacca: «Non mi sembrano duetti modaioli, ma collaborazioni nate da rapporti di stima. Nel soul di Cinema d’essai mi sembrava doveroso chiamare Giorgia. Nel racconto di una Roma un po’ distopica, ispirata a Siccità di Paolo Virzì, tra cupole che esplodono e fontanelle dalle quali fuoriesce arsenico, non potevo non chiamare uno come Franco126, che sa raccontare benissimo la nostra città», spiega.
Se la X del titolo fosse una preposizione, per chi sarebbe questo disco?
«Per chi non si accontenta. A chi cerca qualcosa di rapido e immediato, consiglio di andare altrove (ride). A 54 anni è inutile che provi a giocare in campionati che non ti appartengono: continuo a fare il mio, tirandomi fuori dai giochi».
Che numeri fa su Spotify?
«Non lo so. Però vengo da un tour teatrale entusiasmante, tra sold out e date multiple. Ho "sequestrato", si fa per dire, per quattro ore a sera i fan e sono rimasti sempre ad ascoltarmi fino all’ultimo: mi va bene così».
In "L’uomo nello specchio" dice di non riconoscersi nell’immagine riflessa: racconta una crisi di mezza età?
«Sì. Ma in modo poetico, non patetico, insieme a Fulminacci, che mi ricorda il Silvestri degli esordi. Lo smarrimento che canto è personale: ho provato la sensazione di aver perso qualcosa, in questi anni».
Cosa?
«Il bimbo dentro. Chi fa il mio mestiere spesso si sente obbligato a rimanere giovane. Qualcuno, non faccio nomi, lo fa in maniera grottesca, tingendosi i capelli o assumendo atteggiamenti giovanilistici».
E lei?
«Mi ci vede con i capelli tinti (ride)? Io quel fanciullino l’ho ritrovato recuperando la spontaneità che avevo quando ho iniziato. Mi sono pensato cantastorie, più che cantautore».
Qual è la differenza?
«Ho chiesto al pubblico di raccontarmi delle storie, di vario tipo. Me ne sono arrivate tante e su queste ho provato a scrivere canzoni durante i concerti del tour. Alcuni tentativi si sono concretizzati e sono canzoni come Tutta, Il talento dei gabbiani e Scrupoli. Altri sono falliti. Volevo fare qualcosa di non ordinario».
While The Children Play parla della guerra: come si evita la retorica, nel cantare di certe tematiche?
«Non si evita. Racconto la tragedia dal punto di vista dei bambini. È un pezzo vecchio che non c’entra con la guerra in Ucraina».
Con Niccolò Fabi e Max Gazzè non avete mai pensato di replicare l’esperienza del trio?
«Ci siamo ripromessi di farlo non per guadagnare, ma per un motivo superiore».
Ad esempio?
«Sposare una causa importante o andare a suonare da qualche parte per una buona ragione».
Le maratone musicali di beneficienza per gli alluvionati potrebbero essere l’occasione giusta?
«No. Accadrà senza forzature, quando i tempi saranno maturi».
Dopo il tour estivo al via l’1 luglio da Sogliano al Rubicone, in provincia di Forlì-Cesena, che chiuderà l’1 settembre a Prato (a Roma passerà il 25 luglio alla Cavea), cosa farà?
«Andrò a suonare in Sud America. Sempre per fare qualcosa di non ordinario».
Sanremo è nei piani?
«Vediamo. Anche quello, di campionato, non mi appartiene più: oggi lì mi sentirei un po’ anzianotto».