Corriere della Sera, 31 maggio 2023
Intervista alla moglie dell’oppositore Kara-Murza (in carcere)
Vladimir Kara-Murza è, con Alexei Navalny, l’oppositore più importante nelle carceri russe. È sopravvissuto a due avvelenamenti, nel 2015 e nel 2017. È stato arrestato un anno fa. È stato condannato di recente a 25 anni «per alto tradimento». Da allora Evgenia Kara-Murza, sua moglie, dedica dall’esilio tutta la sua energia alla battaglia contro il regime di Vladimir Putin.Signora, lei poteva pensare ai figli e starsene tranquilla. Perché mettersi in pericolo proprio ora?
«Non credo che avrei potuto fare altro, anche perché abbiamo tre figli. È loro padre, devo lottare per lui. Tutto quel che è successo è devastante per me come russa, come madre, come moglie. Ma non vedo possibilità di starmene buona e aspettare che le cose succedano da sole. La guerra infuria nel cuore d’Europa, c’è gente in Ucraina che muore, gente in Russia che viene picchiata e sbattuta in carcere per 15 anni solo perché si oppone a questa guerra genocida. Io sono in una situazione molto migliore».
Anche lei ha ragione di temere per la sua vita, no?
«Sa cosa? Non me lo chiedo, perché non mi posso fermare. La vita di mio marito dipende dal fatto che io continui a far luce sul suo caso e su quelli degli altri prigionieri politici, perché rendere tutto pubblico è la mia sola arma. Gettando luce sulla persecuzione in Russia, credo di poter dare a mio marito in carcere almeno un po’ di protezione in più. Lui è nelle mani di quelli che hanno già cercato di ucciderlo due volte. Io non rischio come gli ucraini che vanno a letto ogni sera sapendo che nella notte può arrivare un altro bombardamento. È mio dovere continuare».
Esiste ancora una società civile in Russia?
«Molta gente ha subito un lavaggio del cervello della propaganda. Poi ci sono i meccanismi dello Stato russo, veramente atroci. Incluse la psichiatria punitiva e la violenza sessuale. Della tortura non si stupisce neanche più nessuno».
Parla delle carceri?
«Certo. In Unione sovietica chiunque si opponeva alla narrazione di regime veniva bollato come pazzo o criminale. Oggi succede lo stesso».
Può fare degli esempi?
Putin pensava a una guerra breve. Come fu per l’Urss dopo l’Afghanistan, il regime collasserà
«Maria Ponomarenko. L’hanno arrestata l’anno scorso per un post in rete sul bombardamento del teatro di Mariupol. È stata per mesi detenuta in attesa di processo, l’hanno trasferita in ospedale psichiatrico, l’hanno torturata e le hanno iniettato una sostanza che le ha fatto dimenticare i suoi giorni là dentro. Ai dissidenti sovietici davano l’haloperidol, qui sarà qualcosa di più avanzato. Ma è sempre psichiatria punitiva».
Cosa sa di suo marito?
«È a Mosca, in attesa dell’appello. L’hanno messo in un blocco ad alta sicurezza insieme a omicidi e stupratori. Riesce a parlargli solo l’avvocato, noi non abbiamo contatti da un anno. Lui ha chiesto un paio di volte di parlare ai nostri figli, che hanno 11, 14 e 17 anni. Gliel’hanno rifiutato perché ciò avrebbe ostacolato l’inchiesta, hanno detto. La seconda volta l’hanno motivato con il fatto che i ragazzi vivono in America».
Suo marito come sta?
«Dopo gli avvelenamenti, ha subito danni al sistema nervoso e stava perdendo sensibilità alla mano e al piede sinistro. Teneva i sintomi sotto controllo con l’esercizio. Ma con la detenzione e il tempo passato nelle celle disciplinari, i sintomi sono tornati e si sono estesi a destra. Rischia una paralisi. La diagnosi – polineuropatia – gli è stata fatta dallo stesso neurologo carcerario e dovrebbe bastare per il rilascio. Ma il giudice Sergei Podoprigorov, già sotto sanzioni in molti Paesi, ha detto che non gli interessa».
Come Mikhail Khodorkovsky nel 2003 e Navalny nel 2021, suo marito ha scelto di tornare in Russia sapendo che sarebbe stato arrestato. Ne avete parlato prima?
«È veramente buffo, sa? Ci sono tutte queste attese che i russi insorgano contro il regime. Poi gli stessi ci chiedono anche perché tornare in Russia e affrontare il carcere. Mio marito aveva deciso da anni. Si è sempre considerato un politico e come tale ha sempre pensato che doveva condividere i rischi e i problemi dei russi. È un uomo dolorosamente onesto. Onesto, in primo luogo, con se stesso. Credeva che non avrebbe avuto il diritto morale di chiedere ai russi di opporsi rimanendo altrove, al sicuro. Ha sempre detto: è il mio Paese, perché dovrei fuggire? Per lui insorgere significa farlo con i russi in patria».
I fallimenti della guerra in Ucraina hanno indebolito Putin?
«Dopo la Cecenia, la Georgia, la Siria e la Crimea, ha goduto di una continua impunità e ha finito per pensare che poteva fare qualunque cosa e passarla liscia. Per lui, nella sua mente distorta, era logico lanciare una guerra pensando che fosse breve e vittoriosa. Ma nella nostra storia abbiamo avuto la guerra russo-giapponese del 1904-5 e la guerra afgana degli anni ‘80 che contribuirono al collasso dei regimi precedenti. Mi pare inevitabile che accada lo stesso questa volta».