Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  maggio 27 Sabato calendario

Incipit di "Babysitter" di Joyce Carol Oates (La nave di Teseo)

Non disturbare
Al sessantunesimo piano della torre dell’hotel lui l’aspetta.
Nessun nome per lui ragionevolmente vero. Pochissimo di lui che sia ragionevolmente vero. Sufficiente per lei sapere – lui, di lui.
Lei è l’unica persona dentro l’ascensoreche è un lucido cubicolo di vetro che sale rapido e silenzioso nell’atrio come se penetrasse nel vuoto.

Al di sotto, la lobby dell’hotel si inabissa. Accanto a lei, i piani aperti e le inferriate scorrono verso il basso.
Un nuovo lucido modo di ascendere, così diverso dai grossi, lenti e macchinosi ascensori della sua infanzia.
In quegli ascensori, c’erano spesso degli operatori in uniforme che indossavano dei guanti. In ascensori come questi, sei tu a operare. Persiste nell’ascensore un tenue aroma sbiadito, è sigaro?

È il dicembre del 1977. Fumare nelle aree pubbliche degli hotel non è ancora stato proibito.
Sente un senso di vertigine, nausea. Il fumo del sigaro tenue come un ricordo. Chiude gli occhi per mantenersi in equilibrio.

La sua borsa italiana in pelle lucida non la porta appesa al polso destro come al solito ma infilata sotto il braccio, e l’assicura e la sostiene con la mano sinistra, perché è visibilmente più pesante del solito.
Anche così, la borsa è messa in modo tale da far scintillare verso l’esterno il luccicante marchio in ottone: Prada.
Per istinto, inconscio, un gesto di vanità persino in questo giorno: Prada. È l’ultimo giorno della sua vita questo, è l’ultimo giorno di una vita?

Certo che ha memorizzato il numero: 6183. Potrebbe essere un tatuaggio sul suo polso. Il diritto che lui vanta su di lei.
Diritto. Destino. Lei non è una poetessa, non è una persona abile o a suo agio con le parole, eppure queste parole sembrano portarle conforto come pietre fredde e lisce poggiate sugli occhi chiusi dei morti per dare loro pace.

La stanza di lui. In realtà è una suite, due spaziose camere che si affacciano sul Detroit River dove lui soggiorna quando sta a Detroit.
Anche se è possibile che abbia camere diverse per ospiti diversi. Lei non saprebbe dirlo, lui non glielo ha mai confidato.
Al sessantunesimo piano, il cubicolo si ferma con uno scatto lieve e sibilante. Le porte in vetro si aprono, non ha altra scelta che uscire. È stato deciso, lei non ha scelta.

Aggrappandosi alla borsetta sotto al braccio. Non ha scelta? Chiedendosi se lui la stia aspettando, vicino all’ascensore? Ansioso per il suo arrivo?
Non vede nessuno. In nessuna direzione, nessuna figura umana.
Puoi ancora voltarti.
Se lo fai ora, non lo saprà nessuno.

Davanti alla fila di ascensori, una parete di vetro che dà sul lungofiume, il fiume, un fiero sole bianco. Uno scorcio della Woodward Avenue giù in lontananza, traffico senza rumore.
Perché non è chiaro. Perché lei sia venuta qui, rischiando così tanto.
Non chiedere mai perché. La sfida è l’esecuzione – come.

Incamminandosi lungo un corridoio senza finestre seguendo i numeri delle camere mentre aumentano: 6133, 6149, 6160…I numeri crescono così lentamente che sente un brivido di sollievo, non arriverà mai alla 6183.

Sotto i piedi, una moquette soffice e spessa, rosea come l’interno di un polmone. Il fondo del corridoio è scomparso. Le porte chiuse all’orizzonte che si rimpicciolisconomentre si approssimano all’infinito.

Non c’è ragione per cui debba arrivare alla 6183 solo perché la persona che la sta aspettando all’interno della camera l’ha convocata, se vuole può tornare indietro.
… come se non fossi mai stata qui.
Come se non fossi mai uscita di casa.
Chi lo saprebbe? Nessuno.
Eppure, non torna indietro. Si sente inesorabilmente attratta in avanti.
Se ti trovi dentro un enigma l’unico modo per risolverlo è spingere verso la fine.
Come il lucido cubicolo di vetro saliva rapido e senza esitazioni fino al sessantunesimo piano, così lei procede fino alla suite che è la suite di lui.

Un tenue odore di sigaro tra i capelli, nelle narici che pizzicano di una nausea tanto remota da essere solo un residuo, un ricordo.
Che cosa indossa?Una mise che ha scelto con cura, il lino bianco è sempre discreto, una camicetta di seta, una sciarpa in seta Dior rossa annodata vivacemente al collo.
Tacchi alti elegantemente scomodi, pelle di capretto Saint Laurent, affondano nella moquette. Se dovesse improvvisamente voltarsi e correre, correre per salvarsi la vita, le scarpe strette e la moquette glielo impediranno.
Uno di quei sogni in cui è di nuovo bambina. Corre, corre.I suoi piedi affondano in qualcosa simile a sabbia, che sembra morbida ma morbida non è.
Senza compiere mai alcun progresso. Ogni volta che ha corso.

Ogni volta, lui che incombe dietro di lei. Le mani forti di papà che minacciano di acciuffarla, di sollevarla dai fianchi…
Il diritto di un uomo, un destino.

I numeri delle camere accelerano. È un fatto della vita cui non ci adattiamo mai abbastanza, come lì fuori le cose si muovano alla velocità assegnata, non importa cosa speriamo noi qui dentro.
Mentre si avvicina alla 6183 comincia a tremare. È sempre uguale, l’ha già provata la palpitante sensazione di un veicolo che va troppo veloce, pericolosamente veloce, dentro la pioggia accecante, dentro pozze profonde che si sollevano come onde contro i finestrini.

La sua nuca riposa contro un gelido tavolo di acciaio inossidabile,c’è un tubo di scarico proprio lì sotto. I suoi occhi sono aperti, senza vedere. Solo quando i tuoi occhi non vedono, è allora che vedi tutto.

Eppure, procede.Nei tacchi Saint Laurent è ancora il dicembre 1977, non è ancora entrata nella stanza per l’ultima volta. È determinata a giungere alla fine dell’enigma.

La placca di ottone sullo stipite della porta dice 6183, ogni volta è stato 6183.
E il cartello appeso al pomello, lettere argentate su un fondo nerolaccato – lo stesso identico cartello di avvertimento:
PRIVACY PER FAVORE!
NON DISTURBARE