La Stampa, 30 maggio 2023
La sinistra suicida
Si dice cappotto quando in una partita la vittoria di una delle due squadre è talmente forte, sproporzionata, da lasciare senza speranze l’altra. Esattamente così è andata tra destra-centro e centrosinistra nei ballottaggi che, segnati da una scarsissima, sotto il 50 per cento, affluenza ai seggi hanno chiuso la tornata amministrativa di maggio, e nel primo turno del voto in Sicilia, dove in molti casi i sindaci sono risultati subito eletti. Si sa: ogni test locale, per quanto esteso – e questo, sulla carta, coinvolgeva oltre dieci milioni di elettori, anche se domenica e ieri se ne sono presentati molti di meno – vale fino a un certo punto per disegnare un nuovo quadro nazionale. Ma una tendenza, a otto mesi dalla vittoria del destra-centro, quella sì: il consenso alla coalizione di governo guidata da Meloni, non solo è ancora molto forte, ma se possibile s’è accresciuto. E, con la sola eccezione di Vicenza, la sconfitta del centrosinistra, in tutte le versioni in cui s’è presentato – Pd-5 stelle, Pd-Terzo polo, con o senza liste civiche -, è perfino più cocente di quella di settembre 2022.
La spiegazione di tutto ciò è chiara ed è una sola: le opposizioni non sono riuscite in questo periodo a costruire un’alternativa credibile, né ci hanno provato. L’illusione del Pd di contrapporre Schlein, con il suo notevole tasso di novità, alla prima donna premier, s’è rivelata artificiosa. Anche in caso di dubbi, gli elettori, quei pochi che vanno a votare, preferendo esprimersi nelle urne piuttosto che nell’astensione, se cambiano, cambiano all’interno del centrodestra. Si vede soprattutto nel voto siciliano, dove le liti interne all’alleanza di governo hanno aperto la strada a sindaci “centristi” sostenuti da liste civiche e vittoriosi senza simboli di partito, ma riferiti sempre alle stesse maggioranze di destra.
Nel dettaglio, nella sfida di Ancona, il centrosinistra è stato battuto dove tentava di mantenere l’amministrazione per cambiare di segno la regione già passata al centrodestra. La premier Meloni aveva accettato la sfida, andando lì a chiudere la campagna elettorale, e ha vinto la scommessa. Lo stesso è accaduto a Pisa, Siena e Massa, dove il Pd puntava a riprendersi i sindaci sull’onda della vittoria in Toscana alle ultime regionali, e a Brindisi dove aveva riposto le sue speranze nell’unico asse con i 5 stelle riconosciuto da Conte, grazie al fatto che il candidato proveniva dalle file del Movimento.
Non serve qui ripercorrere la mappa dei risultati comune per comune, dato che si votava in 41 differenti realtà: basta annotare che il destra-centro ha prevalso dappertutto; e che a Vicenza, la sola eccezione, il neo-sindaco ha vinto quasi a dispetto, più per le sue apprezzate qualità personali che per il sostegno del Pd e del Terzo polo. I cui due leader, Calenda e Renzi, hanno passato a litigare e a coprirsi di insulti e accuse reciproche le due settimane che separavano il primo dal secondo turno elettorale. Non va poi ignorato che in Sicilia nella maggiore città in cui si votava, Catania, la vittoria del centrodestra ha raccolto i due terzi dei voti, e in molti casi non saranno necessari i ballottaggi, grazie alla legge elettorale regionale che dichiara vincitore chi supera il 40 per cento. Si dirà che in Italia soffia lo stesso vento che in Europa e fuori – lo dimostrano i risultati delle elezioni in Spagna e in Turchia – spira vigorosamente nelle vele della destra di governo, e non solo di quella estrema e xenofoba che aveva già fatto suonare un campanello d’allarme negli anni scorsi. È possibile. Ma c’è qualcosa di caratteristico, nazionale e locale, in ciò che sta accadendo nel nostro Paese: dopo un quarto di secolo, bene o male, di bipolarismo e alternanza di governo, in cui le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra si erano date il cambio, da Palazzo Chigi alle Regioni e alle città, la destra vince malgrado tutti i suoi limiti e difetti, correggendoli oppure no. Mentre la sinistra gioca per perdere. E ci riesce benissimo. —