la Repubblica, 30 maggio 2023
Intervista a Marcel Jacobs
Si definisce One Man Army, l’Esercito di un solo uomo: sembra un richiamo all’enorme dispetto che ha fatto ad americani, caraibici e britannici, prendendo da italiano il trono olimpico di Usain Bolt. Marcell Jacobs si allena ascoltando trap, ha l’aria da duro, ma sorride sempre e ha figli piccoli che lo aspettano a casa. Ha delle paure, ma qualcuna l’ha sconfitta. Dopo il no a Rabat per una sciatalgia curata con successo a Monaco, si sta preparando per il Golden Gala di venerdì, altrimenti sarà il 9 giugno a Parigi, sede di un’Olimpiade che si avvicina a passi veloci. Le sconfitte invernali con Samuele Ceccarelli sui 60 lasciano spazio alle sfide col campione del mondo dei 100, il cupo Fred Kerley, con cui la rivalità è sempre più accesa.
Quanto accesa, Jacobs?
«Questo trash talking con Kerley mi piace, mi dà tanta energia. Fa parlare dell’atletica, crea un’aspettativa attorno alla gara. Bisogna replicare quel che c’è nella boxe, un belface to faceprima delle gare».
È per questo che sta postando foto di allenamenti di boxe?
«È uno degli sport che più amo, seguo tutti gli incontri. Ali-Foreman? Non guardo tanto i match d’epoca, ma quelli moderni: Canelo Alvarez, Anthony Joshua, Gervonta Davis.
Praticare la boxe mi piace, poi ci siamo resi conto che farlo prima di una seduta di pesi aiuta a livello organico perché usi tutti i muscoli del corpo. Un grande allenamento alla resistenza, da ripetere tre volte a settimana anche per divertimento».
Cosa le manca di Kerley, e viceversa?
«A me non manca niente di quel che ha lui, sinceramente sto bene così.
Ogni atleta corre a modo suo, c’è chi come me è più spensierato, senza cattiveria o aggressività a tutti i costi, o chi ha bisogno di intimidire per caricarsi. Io più sono felice meglio corro, è la mia natura correre con disinvoltura e felicità».
Anche con gli altri azzurri della 4x100 oro a Tokyo? Ci sarà ancora?
«L’argomento staffetta dipende da chi ne parla. Io non ho mai annunciato di non correre la staffetta, mai pensato di non farne più parte. Anzi, sappiamo che abbiamo vinto a Tokyo perché abbiamo fatto un percorso, tante gare e allenamenti insieme, ci fidiamo ciecamente l’uno dell’altro. È normale che non siamo sempre tutti disponibili, però al grande evento o alle gare per qualificarsi io ci sarò sempre. Siamo campioni e l’obiettivo è andare a Parigi a ripeterci».
Perché One Man Army? Si sente solo?
«È vero che ho un grandissimo team che mi segue e sostiene tutti i giorni, però quando scendiamo in pista siamo solo noi, contro tutti, e dentro di sé bisogna avere l’esercito più grande per battere gli altri».
Quanto l’ha colpita la morte della sprinter americana Tori Bowie, abbandonata in casa a 32 anni?
«Dall’altra parte del mondo sono molto legati ai risultati, non viene preso in considerazione quel che una persona può provare. Non si pensa a come accompagnare l’atleta quando smette di fare sport. A volte gli atleti finché vanno forte si usano, poi a un certo punto si dimenticano. E a noi fa male: diamo tutto per la nazione, poi non ci sostengono come vorremmo.
Se mentalmente non sei forte, queste disgrazie possono accadere. È qualcosa che deve far riflettere».
Lei ce l’ha un piano B?
«Non ci ho ancora pensato, perché ho tantissimo da dare in pista. Dopo le Olimpiadi ci sarà un altro Mondiale. È giusto che uno si prepari a quel che può succedere domani, anche se io ho sempre avuto solo un piano A, quindi continuo con quello».
Lei soffriva di vertigini, poi ha postato una foto in cima agli 800 metri del Burj Khalifa di Dubai.
«Sono salito col mio staff, non potevo far la figura di quello che ha paura. Ho fatto finta di niente, ho cercato di essere più rilassato possibile, anzi mi sono fatto fare pure una foto vicino al vetro, dove vedevi tutta la città. Sulla paura ci si lavora, per farla diventare un punto di forza. La vita ti porta difficoltà che devi prendere come un insegnamento, per diventare ancora più capace, consapevole».
Si allena a tempo di trap.
«Trap e rap mi aiutano a concentrarmi, le parole mi gasano e mi aiutano a rivivere momenti passati, mi danno l’energia per ricordare la strada che abbiamo fatto e dove vogliamo arrivare. Sono uscito spesso con Sfera Ebbasta, la sua musica mi piace».
Sono pronte le scarpe che ha atteso a lungo in inverno?
«Devo ringraziare Puma, sono riusciti a modificare un modello adattandolo alle mie caratteristiche.
Abbiamo trovato la scarpa giusta, non vedo l’ora di scendere in pista e provarla».
Ceccarelli ce la farà atrasformarsi in centometrista?
«Dipende dalla preparazione, quella per i 60 è stata eccellente. 40 metri in più sembrano pochi ma in realtà sono lunghissimi. Lui deve sognare i traguardi più grandi come ha fatto questo inverno».
Spuntano giovani fenomenali: Issam Asinga, Letsile Tebogo. Ai Mondiali di Budapest e a Parigi vincerannoloro o voi veterani?
«Ai grandi appuntamenti si ritrovano quasi sempre gli stessi: devi superare i turni e non è così facile, bisogna fare tanta esperienza per essere pronti. A Budapest e Parigi arriverà chi ha sempre fatto le finali».
Ha inaugurato a Desenzano un’Academy che porta il suo nome, parlando di sé da bambino.
«Desideravo una struttura dove potermi allenare nel migliore dei modi. Volevo diventare famoso per ispirare i più piccoli, e oggi posso dar loro la possibilità di fare sport».
Non vuole parlare della lite all’inaugurazione tra sua moglie Nicole e la sua ex compagna Renata. Ma quanto è difficile gestire il presente della sua famiglia col suo passato?
«Se non avessi avuto il mio passato non sarei qui, a parlare delle mie vittorie. Se potessi tornare indietro rifarei tutto allo stesso modo, perché questo mi ha portato dove sono. La mia vita è stata di alti e bassi, esperienze e difficoltà mi hanno portato a vincere l’oro olimpico».
Sua madre Viviana è una figura chiave della sua storia.
«Fin da piccolo mi ha spronato a credere nei miei sogni e nelle mie capacità, e prendere tutto come un insegnamento. Anche oggi si preoccupa di farmi stare più tranquillo possibile, a costo di fare da babysitter dei miei figli quando vado in vacanza e ho bisogno di relax».
Ma quanto l’hanno cambiata quasi due anni da campione olimpico dei 100?
«Ho più consapevolezza nei miei mezzi, ma mi sento sempre lo stesso ragazzo di prima, che ama venire al campo e fare lo sport che ha sempre desiderato. Mi godo i momenti belli che la vita mi sta regalando. Ho una famiglia, dei figli, e questo mi dà energia. Spesso gli atleti si possono perdere, ma io ho la responsabilità di pensare a loro: ho capito quale sia la mia strada, e dove devo rivolgere le mie energie».