La Stampa, 29 maggio 2023
Intervista a Carlo Rossella
La cifra della destra meloniana? «Disporre e imporre». Per Carlo Rossella giornalista, già direttore del Tg1, del Tg5 e molto altro ancora, con «questo governo non si può lavorare, meglio lasciare e andarsene, anche io lo avrei fatto, mi sarei dimesso».
Scusi Rossella, quindi hanno fatto bene Fabio Fazio ad andarsene e Lucia Annunziata a sbattere la porta dicendo che così «non ci sono più le condizioni per lavorare»...
«Si certo, questo è un regime, come fai a lavorare con un regime...».
Come regime, è un governo votato dai cittadini e anche nel passato il centrodestra ha governato?
«Ma questo è un governo di destra-destra. La Rai di Meloni non è paragonabile a quella del passato, e bene hanno fatto Fazio e Annunziata ad andarsene. Quel tipo di lavoro si può fare con un governo di centro-sinistra dove c’è libertà, non con loro. Lo dice uno che l’ha fatto con il centrosinistra e sa di cosa parlo, con Letizia Moratti presidente e con Romano Prodi presidente del Consiglio».
Sarà anche diverso ma la lottizzazione è parte integrante della storia della Rai...
«Sì, ma il motto di questa destra è quello di disporre e imporre. E in un contesto così non si può lavorare, ha ragione Lucia Annunziata non ci sono le condizioni».
Ma l’ex ministro della Difesa di Forza Italia, Cesare Previti diceva «se vinciamo non faremo prigionieri», eppoi mica si può dimenticare l’editto bulgaro di Berlusconi...
«Non è paragonabile quello che succedeva ieri con quello che accade oggi. Mi viene da dire che questa destra, forse, non conosce bene la Bulgaria come la conoscevano altri. Quell’editto bulgaro rispetto a quello che succede ora è acqua di rose. E poi, quali prigionieri di Previti, Silvio Berlusconi semmai voleva spalancarle le carceri...»
Vuole dire che c’è una differenza tra lottizzazione e lottizzati? Che quelli di oggi sono diversi da quelli di ieri, ma pur sempre lottizzati erano o non è così?
«Ma questa è una lottizzazione selvaggia, che non ha eguali. La Rai è vero che è da sempre la patria dei lottizzati ma nel passato la qualità era migliore, era una lottizzazione più benevola, ma così come la vediamo in queste settimane io non l’avevo mai vista e spero di non vederla più. Quando dirigevo il Tg1 avevo una squadra di super professionisti: da Massimo De Strobel a Lilli Gruber, contraltari alla direzione ma di grande qualità con i quali si discuteva e si trovava sempre una sintesi editoriale autorevole».
Le nomine appena fatte, invece, non vanno in quella direzione?
«Dico solo che la redazione del Tg1 non è una redazione facile, che è sempre stata una redazione libera, e che ha sempre difesa all’arma bianca la sua autonomia».
Ma metti uno lì e caccia un altro di qua, il rischio per la Rai è di perdere la propria centralità?
«Sì, e anche la sua missione di servizio pubblico che è quella di rendere conto a tutti i cittadini che la finanziano con il canone di cosa fa con i lor soldi, quali programmi realizza e con chi li realizza. Io non voglio che con i soldi del mio canone la Rai finanzi le campagne elettorali di Giorgia Meloni e della destra e risponda solo a una parte».
Ma non è detto che questo accada. E comunque bisogna dar tempo alla nuova dirigenza di avviare delle scelte, guardare i risultati e poi formulare un giudizio: sono solo dieci giorni che si sono insediati al vertice di viale Mazzini...
«Ma il giudizio è semplice, da queste prime nomine si evince che si sta cercando di trasformare il servizio pubblico in un servizio privato. E il servizio privato non risponde ai cittadini ma a una sola parte che in questo caso è la destra la cui cifra si può riassumere in questo slogan: posso, voglio, comando».
Una deriva pericolosa a sentirla…
«Pericolosa? Siamo già oltre la deriva sovranista e purtroppo una Rai in mano a un regime come quello della Meloni è davvero messa male».
Sul fonte del pluralismo o su quello del mercato?
«Su entrambi. Oggi non c’è più il monopolio e la Rai per restare nel mercato deve confrontarsi con competitor agguerriti e sempre più globali. Questo significa che se perde una serie di professionisti di valore come sta accadendo rischia di perdere in fretta anche il suo pubblico, il suo patrimonio di ascolti e una fetta importante dei suoi ricavi da pubblicità. Indebolendosi viene meno, naturalmente, la sua centralità nel panorama editoriale e questo decreterebbe la fine della sua storia».
E secondo lei l’uscita di Lucia Annunziata e di Fabio Fazio possono costituire una perdita così importante per il servizio pubblico?
«Si tratta di due grandi professionisti. Per giunta costretti ad andarsene. Due personaggi molto popolari per milioni di italiani, un danno vero di immagine per l’azienda. La Rai perde molto con la loro assenza in video. Le loro trasmissioni non potranno essere sostituite facilmente: da un lato chiude un pezzo di Raitre e dall’altro viene meno un appuntamento importante, familiare per il pubblico». —