La Stampa, 29 maggio 2023
In Italia il lavoro c’è (ma è sottopagato)
Puntuale, all’inizio di ogni estate, giunge l’allarme: nel settore turistico manca personale. Per la verità, da che la ripresa post-pandemia ha preso abbrivio, sono molte le industrie italiane che lamentano una carenza strutturale di manodopera: l’edilizia, l’agricoltura, la manifattura. Stando ai dati più recenti diffusi da Anpal, per le aziende è difficile reperire il 46% del personale ricercato.
Questo squilibrio fra domanda e offerta di lavoro viene generalmente spiegato con la scarsità delle competenze necessarie in un’era di profonda trasformazione industriale. Le transizioni gemelle, digitale e verde, giocano certo un ruolo, ma uno studio della Confederazione europea dei sindacati (Etuc) avanza un’altra interpretazione: le imprese non trovano dipendenti perché non li pagano abbastanza.
I settori interessati dalla maggior carenza di manodopera in 22 Paesi europei offrono in media stipendi del 9% più bassi rispetto a quelli che non ne soffrono, spesso al di sotto della soglia del 60% del compenso mediano che l’Unione europea vorrebbe fissare come parametro per il salario minimo.
Il divario più ampio si riscontra in Italia, dove le industrie più in difficoltà nel reperire lavoratori pagano il 23% in meno rispetto alle altre che invece non hanno problemi a trovarne. In termini numerici, il compenso orario lordo è di 14,30 euro negli uni e di 18,47 euro negli altri.
Negli stessi settori si riscontra un’incidenza maggiore di contratti precari o a tempo parziale. Inoltre, le persone che vi lavorano sono più inclini a dichiarare di svolgere mansioni ripetitive, di sentirsi sotto pressione e di non avere alcun controllo sulla propria occupazione.
«Una paga dignitosa fa bene ai lavoratori, fa bene ai datori di lavoro e fa bene all’Europa», sottolinea il segretario generale dell’associazione, Esther Lynch. «La bassa retribuzione sta alimentando la crisi del costo della vita, mentre la carenza di manodopera sta danneggiando le prestazioni economiche e i servizi pubblici. Dai dati emerge che la bassa retribuzione è uno dei principali fattori che motivano le difficoltà di reclutamento in Europa».
Il dato è in parte dovuto al fatto che settori come edilizia e ristorazione impiegano spesso lavoratori più vulnerabili, che siano giovani, poco scolarizzati o immigrati, disposti quindi ad accettare salari inferiori. Ma, anche tenendo conto di questi fattori, secondo Etuc la differenza retributiva resta sensibile e il legame con la carenza di manodopera evidente.
Non è sempre stato così: prima del 2020, il tasso di disoccupazione era superiore e la disponibilità ad accettare paghe basse era maggiore. Poi l’emergenza sanitaria ha cambiato il mercato del lavoro sotto almeno tre profili, esacerbando le carenze di manodopera. Anzitutto, la ripresa repentina della domanda ha sorpreso alcune industrie, impreparate a gestire simili picchi.
La chiusura dei confini e il rientro in patria di molte persone hanno poi ridotto la disponibilità di lavoratori migranti dall’interno e dall’esterno dell’Unione europea. La pandemia ha infine indotto una svolta “psicologica”, riducendo la tolleranza per i posti insicuri e malpagati.
«Questo cambiamento è stato molto chiaro tra i lavoratori “in prima linea” che hanno ricevuto tante lodi, ma pochissimi benefici e a cui si chiede ancora di lavorare in posizione precarie», nota l’analisi dell’Etuc. Il riferimento è al settore sanitario.
Secondo le stime Ocse, i medici italiani guadagnano in media il 70% in meno dei tedeschi, il 41% in meno dei britannici e l’8% in meno dei francesi. Gli infermieri italiani, poi, incassano non solo uno stipendio più basso del 61% rispetto ai tedeschi, ma anche del 30% rispetto ai colleghi spagnoli.
Divari fra Italia e Germania si riscontrano anche nei salari delle costruzioni (18%), del turismo e ristorazione (8%) e delle professioni (27%). In Europa e in Italia, conclude insomma l’associazione dei sindacati, «non manca manodopera in generale, ma manodopera disposta a svolgere lavori di bassa qualità». —