la Repubblica, 29 maggio 2023
Intervista a Frankie Dettori
«Ci sono i fantini e poi c’è lui, un semidio». Per una volta l’enfasi dello speaker di Capannelle nel 140esimo Derby che Lanfranco “Frankie” Dettori ha corso domenica 21 a Roma non era eccessiva. Perché Dettori, italiano ma trapiantato da decenni in Inghilterra, ha vinto al galoppo tutto quello che c’era da vincere. E l’ha rivinto, e ancora e ancora. Nell’anno in cui ha deciso di lasciare le gare, basta ricordare le sei volte in cui ha tagliato in testa il traguardo all’Arc de Triomphe di Parigi (nessuno come lui).I primi ricordi legati al cavallo?«Mi ricordo quando ero un bambino che mi mettevano sopra i cavalli, i purosangue della scuderia del mitico Carlo d’Alessio, la famosa Cieffedi.Erano cavalli che avevano finito di correre e il pomeriggio, stanchi, venivano passeggiati per farli raffreddare».Paura lassù?«Altroché, erano così alti! Pensavo: Madonna mia, chissà che mi succede se cado!».Lei è figlio d’arte, Gianfranco Dettori è stato un grande protagonista dell’ippica italiana.Che padre era?«Severo. Poi, essendo sardo, oltre a essere duro era anche un po’ testardo».Lei che padre è?«L’opposto del mio. In famiglia sono il “poliziotto buono”, quello che dà tutto ai figli e non li sgrida mai. Mia moglie fa tutto il resto».Nella sua lunga carriera ci sono molti record, ma uno su tutti è entrato nella leggenda: the Magnificent Seven. Il 28 settembre 1996 ad Ascot, di fronte a migliaia di inglesi impazziti, lei ha vinto tutte e sette le corse in programma. Il Time scrisse che risultati del genere “trasformano gli uomini in dei”. Si è sentito un dio quel giorno?«Quel giorno no, ero troppo emozionato e confuso… il giorno dopo sì! Quando ho aperto la porta per prendere il giornale c’era una torma di giornalisti fuori con le telecamere. Wow! Io ero in mutande e canottiera e ho subito richiuso la porta».Sembra la scena di Hugh Grant in Notting Hill.«Uguale. Lì ho capito che era successo qualcosa».Lei è stato definito il Robin Hood delle corse, il campione del popolo che ha battuto i pronostici tirando fuori l’impossibile. Il giorno delle Magnificent seven i bookmaker persero 40 milioni di sterline…«Sono passati 23 anni e ancora adesso incontro persone che mi ringraziano: tassisti, infermiere, l’avvocato e il pensionato. Ci sono persone che quel giorno hanno vinto, puntando poche sterline, una marea di soldi. Chi mi racconta che gli ho pagato il mutuo, chi il matrimonio, chi la barca o la macchina nuova».Nella sua vita, come nella carriera, lei ha avuto alti e bassi e, da un certo punto di vista, si può considerare un sopravvissuto.Come andò l’incidente d’aereo che la coinvolse?«Era il primo di giugno del Duemila.A quel tempo avevo un mio aereo personale, con il mio pilota, a sei posti, però in quel momento era in manutenzione e ne avevamo preso uno in affitto quasi uguale.Purtroppo il mio pilota e amico, Patrick MacKay, ha perso la vita e io sono sopravvissuto. L’incidente avvenne al decollo e ho rischiato di morire due volte: sia all’impatto con il suolo che dopo, perché mi ero rotto la gamba e non sarei riuscito a uscire da quell’inferno di fuoco senza l’aiuto del mio collega Ray Cochrane,anche perché dopo l’aereo è esploso».Ha pensato: oddio, sto per morire?«Sì. Quando l’aereo stava precipitando ho pensato che fosse davvero finita, ma non ho avuto davvero paura. È strano. Ho provato questa sensazione di disappunto. Mi dispiaceva che finiva così. Cavolo, ho 29 anni, ho appena fatto un figlio, le cose mi stanno girando benissimo e mi porti via adesso».Poi c’è stato anche l’episodio della cocaina nel 2012 e la sospensione dalle gare per sei mesi. Come è riuscito a rialzarsi?«La droga è dappertutto e ci sono finito dentro anche io. Non erodipendente, ne facevo un uso ricreativo. Mi sono fatto coraggio e sono ripartito, sono debolezze dell’uomo. Non sono stato il primo e non sarò l’ultimo».Ha provato vergogna quando è tornato sulla scena?«Sicuramente sì, solo adesso che ho passato i 50 anni non mi sento più in imbarazzo e posso dire cose che non avrei detto dieci anni fa. Fa parte dell’arcobaleno della mia vita: non puoi dire che c’è stato solo il giallo e il rosso, ma anche il nero e il viola. I posti belli e quelli brutti, nessuno ha fatto la vita perfetta».Ha qualche oggetto o rituale scaramantico, come molti fantini?«Li avevo tutti! Portavo al collo unacatena che sembravo Mr-T di A-team: avevo un corno, un ciondolo a forma di trifoglio, ogni cosa. Alla fine un giorno mi sono tolto tutto, era diventata una cosa ossessiva».E ha continuato a vincere anche senza amuleti. Crede in qualcosa, fortuna a parte?«Sono cristiano, credo in Dio, basta quello».Come si fa ad avere a 52 anni un fisico come il suo?«Corsa leggera tutti i giorni sul tapis roulant. Ma lo faccio non tanto per allenarmi, quando per poter mangiare e bere quanto voglio.Altrimenti la vita del fantino è sempre sulla bilancia, devi essere come un monaco… non fa per me».Quindi è una leggenda che beva solo acqua?«Ma certo! Nella mia carriera avrò bevuto milioni di litri di champagne».È vero che mangia solo il pollo?«No, anche il pesce (ride). La pasta, 4 volte all’anno».Sceso da cavallo, che fa?«Sono abbastanza casalingo. Mi metto le pantofole, mangio, guardo lo sport. Ho una sala per la tv dove ho imposto tre regole: niente donne, figli o animali».Il calcio italiano lo segue?«Poco. Sono molto amico di Max Allegri e sono anche della Juve. Max è un appassionato di cavalli, ha anche suoi cavalli in Francia e in Italia. Ma è già difficile seguire il campionato inglese, figuriamoci quello italiano».Si è molto favoleggiato del suo rapporto con la regina Elisabetta, i vostri cocktail Martini…«Era Gin&Tonic».Cosa c’è di vero?«Tutto. È stato un bel rapporto, durato trent’anni. All’inizio avevo un po’ di soggezione, aveva sempre questa presenza bellissima, carismatica. Però poi siamo entrati in confidenza. Due volte l’anno veniva nella mia scuderia, prendevamo il tè assieme, voleva sapere sempre tutti i retroscena sulle altre scuderie, sui fantini e i cavalli. E io allora le raccontavo un po’ di gossip, gli scandali, le davo quello che voleva».Perché il pubblico inglese l’ha subito adottata?«Forse perché cercavano una persona diversa. Quelli di prima erano tutti freddi e seri. Io ho portato un po’ di gioia nell’ippica degli anni Novanta quando non c’era, avevo un carattere aperto, mediterraneo. La gente finalmente poteva avvicinarsi al nostro sport, che prima era visto come lo sport dei re, dei principi e dei ricchi. Io ho unito la gente e le élite».Quest’anno finirà con l’agonismo. Dove?«Il 15 ottobre farò la mia ultima corsa in Italia, a Milano. Il 21 ottobre ad Ascot sarà l’ultima volta sul suolo europeo. Ma non ho ancora deciso l’ultima gara in assoluto, tra America, Giappone e Australia».E dopo il 2023? Quale sarà la seconda vita di Dettori una volta sceso, come quel bambino, dalla sella?«Sono in trattativa con alcuni canali tv per fare il commentatore, ma ancora non c’è niente di scritto».Lascia mentre è in cima alla vetta. Il sentimento prevalente è il rammarico o addirittura, forse, c’è un senso di liberazione?«Il mio cuore vorrebbe continuare ma la testa dice che è questo il momento giusto per fermarmi. C’è l’angelo e c’è il diavolo… Sarà molto doloroso lasciare, ma anche mio padre mi ha messo in guardia: uno sportivo muore due volte, la prima quando smette di correre e poi quando muore veramente».