la Repubblica, 29 maggio 2023
Le scuole chiudono per sempre
L’Italia chiude le sue scuole, e continuerà a chiuderle nelle prossime stagioni con frequenza crescente. Il crac di un Paese, il suo fallimento ontologico, è tutto qui, nei dati elaborati da T uttoscuola, da quarant’anni sentinella editorile del mondo scolastico italiano: nell’ultimo decennio sono stati definitivamente sbarrati i portoni di 2.621 istituti.
Le 393.000 nascite del 2022, minimo storico nella storia del Paese all’interno di un autunno demografico iniziato nel 2009, sono il segnale dell’inaridimento della comunità intera e la sua prima istituzione – la scuola, al centro di una nazione secondo il pensiero di Piero Calamandrei – subisce l’impatto più forte e visibile. Sono istituti, quelli abbandonati, tutti dell’infanzia e della primaria: 1.756 realtà destinate all’istruzione iniziale (3-6 anni) e 865 elementari (6-11 anni).
Da una parte si certifica il crollo, acuito nella stagione pandemica, delle scuole paritarie: 1.445 sedi. La questione potrebbe essere liquidata con l’impossibilità per un numero sempre più alto di famiglie ad onorare la retta mensile. Chiude, tuttavia, anche il pubblico. Sono 1.176 i plessi statali dell’infanzia e della primaria non più riaperti per la mancanza di alunni. Il periodo più critico, e questa potrebbe essere l’unica notizia confortante in questa analisi, è indicato nel biennio 2014-2016.
Il Paese, tutto, mostra da tempo edifici scolastici trasformati in circoscrizioni, supermercati. Ora si apprende che il decennio ferale ha colpito soprattutto al Sud: due terzi degli istituti chiusi – 1.705 – erano collocati nel Meridione e nelle Isole. Il 15 per cento nel Nord-Ovest, l’11 per cento al Centro e il 10 per cento nel Nord-est. Per comprendere dove si situano i guai peggiori, in dieci anni sono state chiuse tre scuole dell’infanzia in Piemonte e 88 in Calabria. Le province più svuotate sono, nell’ordine, Cosenza, Reggio Calabria e Salerno.
«I piccoli centri, in particolare nei territori montani, hanno pagato ilprezzo più alto, perdendo quello che è il primo centro di aggregazione della comunità locale, presidio di cultura e relazioni educative», dice Giovani Vinciguerra, direttore diTuttoscuola.
La questione si proietta sul futuro. Con questo passo demografico si possono ipotizzare altre 1.200 scuole da dismettere. Seguendo le stime offerte dallo stesso ministero dell’Istruzione e del merito, fra dieci anni gli studenti del Paese saranno poco più di sei milioni contro i 7,4 milioni del 2021: la contrazione si realizzerà al ritmo di 120.000 ragazzi in meno ogni anno. La proiezione ora coinvolge le scuole medie e superiori, è una questione di tempo.
Gaetano Vecchione, consigliere scientifico dell’Istituto Svimez (Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno), dice: «I tassi del declino demografico sono noti e prevedibili e la scuola ne è la prima vittima. È il frutto di una mancanza di politiche ordinarie che altrove, Germani, Francia e Danimarca, hanno consentito di invertire la traiettoria delle nascite. Al Sud c’è una bassa presenza di scuole con la mensa: esiste il servizio, non l’infrastruttura. In molti istituti mancano le palestre. Tutto questo scoraggia i potenziali genitori a lasciare il figlio a scuola. L’incapacità dello Stato di investire nella filiera dell’istruzione impatta sulle scelte personali. Nel commercio e nel terziario avanzato le famiglie non conoscono flessibilità rispetto al tempo del lavoro e non possono costruirsi un’agenda quotidiana per progettare un figlio. Al centro di questa esplosione di denatalità ci sono Campania e Puglia».
Il governo del fenomeno da parte del ministero dell’Istruzione per ora si limita a prendere atto della desertificazione urbanistica. Con una norma in Legge di bilancio che si attiverà dal 2024-2025, ma che farà sentire i suoi effetti già dal prossimo anno scolastico, si prevede un accorpamento degli istituti con meno di 900 alunni: si calcola siano 900. In alcune aree della Sardegna si può ipotizzare un’unica scuola a coprire 40 Comuni. Quattro Regioni guidate dal centrosinistra hanno impugnato la norma in Corte costituzionale, ma si sono già opposte Veneto e Abruzzo, loro con giunte di centrodestra.