la Repubblica, 29 maggio 2023
Dietro la pace cinese
Prende corpo quella che alcuni diplomatici di alto rango chiamano “la trappola cinese”: una pace sotto la regia di Xi Jinping che avrebbe sì il pregio di far tacere le armi, ma che lascerebbe a Putin la possibilità di rivendicare la vittoria e di preparare nuove invasioni illegali. È questo il timore che agita le cancellerie occidentali dopo che negli ultimi giorni i contatti tra i paesi non allineati si sono moltiplicati. Anche Stati Uniti ed Europa vogliono mettere fine alla guerra entro la fine dell’anno, ma non con una soluzione che rafforzi il leader russo e tenga impegnato l’Occidente a tempo indeterminato in Ucraina, lasciando spazio alla Cina nel Pacifico (Taiwan). Ecco perché gli alleati al G7 di Hiroshima hanno avviato una tela negoziale per ottenere una pace “giusta” per Kiev. Una sfida diplomatica che guarda all’autunno.
Le cancellerie occidentali hanno notato che l’iniziativa di pace cinese si sta saldando con le mosse di India, Sudafrica, Brasile e Indonesia. Quel “Sud Globale” che a Hiroshima il G7 sperava di avere sganciato da Pechino. Ora però si teme che i paesi non allineati possano convocare un vertice di pace o quanto meno portare un documento congiunto all’Assemblea generale dell’Onu di New York di settembre che, come ha fatto capire l’inviato cinese Li Hui, contemplerebbe un cessate il fuoco immediato con il congelamento dellasituazione sul terreno. Consentendo a Putin di tenersi i territori annessi illegalmente lo scorso anno.
Una proposta formale, sostenuta da un massiccio numero di governi potrebbe sommarsi alla voce di Papa Francesco, la cui missione affidata al Cardinale Zuppi si fonda proprio sul cessate il fuoco. Non a caso venerdì scorso il Cremlino ha aperto all’iniziativa vaticana, quasi invocando un contatto diretto. Uno scenario che metterebbe l’Occidente nella scomoda posizione di dire di “no” alla pace rischiando di passare di fronte all’opinione pubblica internazionale per guerrafondaio.
Al contrario, spiegano fonti di diverse capitali, gli Stati Uniti vogliono far finire al più presto la guerra visto che per Biden presentarsi alle presidenziali del 2024 contro Trump con la ferita ucraina aperta sarebbe un handicap. Anche i governi di Francia, Germania e Italia non sanno per quanto ancora potranno contare sul favore degli elettori sull’impegno con Kiev. In generale gli alleati stanno esaurendo le risorse politiche, finanziarie e militari.
Ma se la fine delle ostilità anziché sfociare in una vittoria di Kiev desse vita a un “conflitto congelato”, con Putin ancora saldo in sella, Washington e Bruxelles correrebbero due rischi. Primo, il leader russo avrebbe il tempo di riorganizzare l’esercito e tornare all’attacco. Secondo, uno scenario alla coreana lascerebbe una zona di crisi nel cuore dell’Europa distraendo risorse ed energie alPacifico, il vero scacchiere del Ventunesimo secolo. Ecco perché Xi ha interesse al cessate il fuoco non risolutorio, al “frozen conflict”: ridarebbe fiato ai commerci internazionali fondamentali per la Cina e allo stesso tempo indebolirebbe Usa e Ue.
Per non ritrovarsi in questo vicolo cieco, l’Occidente cerca di giocare in anticipo. Al G7 giapponese i grandi del pianeta hanno iniziato a parlare di pace sdoganando l’idea di Zelensky di convocare a luglio un vertice di pace in Ucraina senza la Russia. Sarebbe un’occasione per tornare in pressing sui non allineati e di rilanciare la centralità, sempre in vista dell’Assemblea generale dell’Onu, del piano in 10 punti ucraino, l’unico riconosciuto dagli alleati come base negoziale per una pace giusta. Tuttavia, spiegano autorevoli fonti occidentali, Usa e Ue stanno spingendo su Zelensky affinché il suo testo venga ammorbidito, rendendolo più accettabile per il “Global South”. Un piano insomma che continui a menzionare la sovranità ucraina ma che lasci spazio negoziale sui territori occupati da Putin (leggi Crimea). In parallelo, spiegano fonti impegnate sul dossier, il G7 sta segretamente lavorando a forti “garanzie di sicurezza” da offrire a Kiev in caso di pace per contenere Putin, ovvero la costruzione di un impenetrabile meccanismo di difesa per l’Ucraina. D’altra parte Washington e le maggiori capitali Ue sono contrarie ad assecondare le spinte di Polonia e baltici sull’ingresso di Kiev nella Nato che lascerebbe intatta la tensionecon Mosca, ma prendono sul serio il timore di Zelensky che Putin possa tornare con i tank e quello dell’Europa orientale di essere la prossima vittima dell’autocrate russo. Per questo in vista del summit dell’Alleanza atlantica di Vilnius si pensa alla creazione di un Consiglio Nato-Ucraina che rafforzerebbe i rapporti politici e di assistenza militare a Kiev, dotandola appunto di un sistema difensivo all’avanguardia tecnologica per tenere lontano Putin (una forza di interposizione internazionale è inimmaginabile). Come garanzia politica, invece, a Kiev verrebbe concesso l’avvio dei negoziati di adesione alla Ue. Se è ormai certo che a settembre Bruxelles aprirà, decisivo sarà il vertice dei leader di dicembre: accetteranno la sfida storica e il rischio che un’Europa a 35 (l’ingresso di Kiev porterà con sé i Balcani) senza profonde riforme possa implodere come sognato da Mosca e Pechino?
Ago della bilancia per la pace resta la controffensiva ucraina: se dovesse riuscire a riprendere parte del Sud del Paese, isolando la Crimea e restituendo a Kiev l’accesso al mare di Azov, sarebbe più facile imporre alla Russia una pace “occidentale”. Se invece in autunno gli equilibri sul terreno resteranno invariati, Usa e Ue si troveranno di fronte a una questione esistenziale alla quale oggi nessuno sa rispondere: accettare la pace “cinese” o andare avanti con una guerra che nessuno vuole più e che potrebbe sfibrare le democrazie liberali?