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 2023  maggio 29 Lunedì calendario

Intervista a Mustafa Akyol

Nessuna sorpresa, ma una forte preoccupazione per quello che verrà. Mustafa Akyol è uno dei maggiori esperti di Turchia a livello globale: senior fellow al Cato Institute di Washington, in primo piano nei dibattiti sul suo Paese allaCnncosì come su Foreign Policy e
Foreign Affairs, nei giorni scorsi aveva descritto in un articolo sul
Washington Post l’esatto scenario che si è verificato ieri sera alla chiusura delle urne.
Aykol, la vittoria di Erdogan è netta: che succede ora?
«Succede che al termine del suo mandato avrà guidato la Turchia per 26 anni, quasi il doppio di quelli di Kemal Ataturk, il padre del Paese moderno, che fu al potere per 15 anni. E dunque alla fine Erdogan non avrà solo governato, ma avrà trasformato il Paese, imponendo la sua visione di ciò che la Turchia dovrebbe essere. Nei prossimi anni dobbiamo aspettarci media meno liberi e università più controllate dallo Stato, più nazionalismo e tradizionalismo religioso. E una nuova Costituzione, di cui sappiamo ancora poco ma ai cui contenuti dovremmo fare molta attenzione».
Pessimi risultati economici, inflazione alle stelle, ricostruzione post-terremoto a rilento, precedenti errori che hanno portato ai danni drammatici provocati dal sisma: perché, in questo quadro, ha vinto ancora Erdogan?
«È una questione di appartenenze: i religiosi, i nazionalisti, non avrebbero mai votato per qualcun altro. La Turchia è divisa in aree culturali che sono anche politiche.
Basta guardare la mappa: l’Anatolia conservatrice ha votato tutta per Erdogan, le zone curde e la coste,più progressiste, sono andate a Kilicdaroglu. In generale, si può dire che i conservatori sono il 50 per cento dell’elettorato turco e non hanno tradito il loro uomo. Del resto, Erdogan ha consolidato l’idea dell’appartenenza identitaria come base della politica. “Noi siamo bravi musulmani, loro sono senza morale e senza religione”, ha detto ai suoi elettori. Il messaggio è stato rilanciato senza sosta dai media, controllati al 90 per cento dal governo: è arrivato persino nelle soap operas. Non è una strategia molto diversa da quella che ha usato Trump negli Stati Uniti. Ma con una differenza importante».
Quale?
«In America il sistema di bilanciamento dei poteri funziona.
Trump ha potuto sconvolgere alcune strutture dello Stato ma fino a un certo punto: da noi non è così».
Cosa dobbiamo aspettarci ora dal punto di vista della politica estera?
«Credo che Erdogan continuerà nell’approccio pragmatico e transnazionale che ha usato negli ultimi anni. Non lascerà la Nato ma detterà condizioni per permettere alla Svezia di unirsi. Cercherà relazioni commerciali più forti con l’Europa ma non si impegnerà a rispettare i valori fondanti dell’Unione in termini di libertà personali e civili. E continuerà, quando potrà, a svolgere un ruolo di mediazione che gli consente di guadagnare prestigio internazionale, come ha fatto nell’accordo sul grano fra Ucraina e Russia».
Dove ha sbagliato l’opposizione?
«È andata alle urne con un leader poco carismatico e gli elettori questo non lo hanno perdonato. Se al posto di Kemal Kilicdaroglu ci fosse stato il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, forse le cose sarebbero andate in modo diverso: ma la coalizione era divisa. E comunque Erdogan aveva provveduto a fermare la corsa di Imamoglu in maniera preventiva, facendogli piovere sulla testa una condanna che gli ha impedito di correre».
Se dovesse scegliere un elemento da seguire con più attenzione degli altri nei prossimi mesi per capire dove andrà la Turchia…
«Sceglierei senza dubbio alcuno l’economia. Le riserve monetarie della Turchia sono sotto zero: Erdogan ha fatto spese folli prima e durante la campagna elettorale per assicurarsi il supporto del suo elettorato, ha aperto cantieri, raddoppiato stipendi, speso molto più di quanto le casse dello Stato potevano sopportare. Alle urne il pessimo stato dell’economia non ha contato per gli elettori perché hanno creduto alla teoria dell’attacco dell’Occidente messa in giro da Erdogan: “la nostra economia è in crisi perché vogliono boicottarci”».