Corriere della Sera, 29 maggio 2023
Biografia di Recep Tayyip Erdogan
Polarizzante e popolare, autocratico e paterno, calcolatore e spericolato. Recep Tayyip Erdogan è il politico più camaleontico e più longevo che la Turchia abbia mai avuto. Nel 2003 ha conquistato il suo popolo facendo della libertà di espressione il suo cavallo di battaglia in modo da superare la laicità esasperata dello Stato, imposta dal fondatore della Repubblica Kemal Atatürk. In quell’epoca Baba Tayyip, come lo chiamano affettuosamente i suoi elettori, predicava l’apertura alle minoranze e la tolleranza.
Dieci anni dopo il Reis, il capo in turco, ha cambiato totalmente passo mostrando un volto autoritario e sprezzante. Il punto di non ritorno è stata la rivolta di Gezi Park, di cui ricorre proprio adesso l’anniversario. Quando i ragazzi lo sfidarono, occupando la zona verde prima che le ruspe radessero al suolo gli alberi, lui andò su tutte le furie. Si racconta che, durante una riunione di governo, spaccò in due un’ipad imprecando contro quei çapulcu (vandali in turco) che si mettevano sulla sua strada. Allora neanche la sua adorata figlia Sümeyye riuscì a calmarlo. E ancora oggi il Sultano, come è soprannominato dai suoi detrattori per le ambizioni neo-ottomane, fa presidiare Gezi Park dalla polizia nel timore che l’incubo si riaffacci.
Nato nel modesto quartiere di Kasimpasa, ad Istanbul, Erdogan è il prototipo del self made man. Da ragazzino, per aiutare la famiglia, scendeva in strada a vendere simit, la tipica ciambella turca ricoperta di sesamo. Ha studiato in una scuola islamica e si è affacciato alla politica a 15 anni, affascinato da Necmettin Erbakan, fondatore del Partito dell’Ordine Nazionale (Mnp), avversario dell’occidentalizzazione della Turchia. Nel frattempo perseguiva la carriera calcistica debuttando nell’Erokspor, squadra del suo quartiere di Istanbul. Si dice che la madre Tenzile fosse molto orgogliosa del figlio sportivo tanto da lavargli accuratamente calzoncini e maglietta.
Ma la vera passione è la politica. Nel 1994 diventa sindaco di Istanbul con un successo inaspettato. Cinque anni dopo arriva la condanna a 10 mesi di prigione (ne sconterà quattro) per «incitamento all’odio religioso» a causa della lettura pubblica di una poesia islamica. Paradossalmente, è quello che ora sta accadendo all’attuale sindaco della megalopoli turca, Ekrem Imamoglu, cui sono stati comminati quasi tre anni di carcere per «insulto a pubblico ufficiale».
Nel 2002 il suo partito conservatore Akp vince per la prima volta le elezioni e nel 2003 Erdogan, il cui carisma è riconosciuto da tutti, diventa premier alla guida del primo governo monocolore islamista della Repubblica. Negli anni a venire il Paese vivrà la stabilità e un notevole benessere economico. Ma già allora il premier mostra il suo caratteraccio. Non sopporta le critiche, strappa di mano i pacchetti di sigarette ai cittadini per cercare di costringerli a smettere, rimprovera i giornalisti che fanno domande difficili. Si dice che possa anche essere estremamente giocoso. Suo nipote Üsame racconta che lo zio fa gli scherzi telefonici chiamando casa con la voce in falsetto.
Nel 2014, dopo che un’inchiesta giudiziaria sulla corruzione ha coinvolto anche il suo partito, Erdogan diventa presidente e mostra tutta la sua megalomania facendosi costruire un palazzo presidenziale da 1.125 stanze nel cuore di Ankara. Quando alle politiche del 7 giugno 2015 l’Akp non ottiene una maggioranza granitica e i filocurdi dell’Hdp entrano in Parlamento, lui, che vuole il sistema presidenziale, indice nuove elezioni che vincerà, a novembre, in un clima di tensione per il riaffacciarsi del terrorismo islamico e curdo.
Da allora è tutto un crescendo. Dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016, di cui accusa l’ex alleato Fethullah Gulen, il Reis scatena una repressione feroce con migliaia di arresti e licenziamenti. Il Parlamento viene esautorato con la riforma costituzionale e il potere giudiziario perde la sua indipendenza. Inizia il declino economico, crolla la lira turca, da Bruxelles arrivano critiche per le violazioni dei diritti umani. Erdogan, però, riesce a rimanere una pedina importante sulla scena internazionale: nel 2016 firma un accordo con l’Europa sui rifugiati e, nel 2022, si impone come negoziatore nella guerra in Ucraina strappando l’importante accordo sul grano. E i turchi ancora una volta gli firmano un assegno in bianco. Il funambolo Erdogan è ancora in sella.