il Giornale, 29 maggio 2023
Ritratto al veleno di Pino Insegno
Che poi, ha notato qualcuno, appena è girata la voce che Pino Insegno avrebbe potuto condurre il prossimo Che tempo che fa, ha piovuto tutto maggio. Via Fabio Fazio, dentro Insegno. Fuori Lucia Annunziata, arriva Serena Bortone. La quale, l’altro giorno, ricorrenza dei 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, ha citato l’incipit dei Promessi sposi, il celeberrimo Quel ramo del lago di Garda... Se c’è una cosa in cui si distingue la nuova destra di tele, di arraffo e di governo, c’è da dire, è cultura. Con la minuscola. Pino Insegno che prova a fare il Fabio Fazio di destra, Luciana Littizzetto che farà l’imitazione di Pino Insegno da sinistra. Te la do io l’egemonia! Prepariamoci a una Rai con Pino Insegno alla conduzione di tutto, da Unomattina a Unomattina del giorno dopo, 24 ore su 24; Pio e Amedeo alle News, Mario Adinolfi a RaiVaticano, Massimiliano Finazzer Flory, ala liberale della drammaturgia de droite, a RaiCulura. E Martufello a RaiFiction: «Ao’ ma proprio io, ma che pe davero davero?». È vero: ormai Pino Insegno è diventato il simbolo della rivalsa della destra che vuole i suoi spazi di potere: programmi, reti, palinsesti, festival, teatri, sale e Saloni; è la destra che per anni si è fatta fregare dalla sinistra sulla mitica «matricola Rai», un escamotage per far lavorare solo chi ha già collaborato una volta, in un circolo vizioso che gira sempre a sinistra, e così addio ai nuovi arrivati. È la destra di vendetta e rappresaglia che pretende un posto al centro dell’arena, dopo anni passati a guardare gli altri dagli spalti. Ave! So’ Caio Gregorio, er guardiano der pretorio, c’ho du’ metri de torace, fa’ la guardia nun me piace’... Pino Insegno come nuovo Spartaco, il Liberatore di tutto il lebbrosario in attesa di un contratto in Rai. Nunzia De Girolamo condurrà Estate in diretta, ma pure Autunno, Inverno e Primavera. Monica farà un po’ Rai e un po’ LaSetta. Paola Ferrari si prenderà Rai Sport e RaiPlayboy. Laura Tecce male che vada Rai 5, a fare i documentari sugli animali: papere, gatti e underdog. Ed Enrico Montesano è la volta buona che espugna Ballando con le stelle, e la t-shirt della X Mas la impone a tutta la giuria. «Ahó, so’ egggemone!». Io non temo l’egemonia in sé, temo l’egemonia in me, in te, lui, lei, voi. A chi la Rai? «A noi!!». Ce lo meritiamo il busto di Pino Insegno della Gialappa’s. Ma poi, comunque, Pino Insegno se lo merita. Fosse solo per il coraggio. È vero che a Roma basta che entri nello stesso bar in cui Giorgia Meloni sta bevendo un cappuccino in mezzo agli uomini della scorta per poter dire «Ahó, stamattina ho fatto colazione con Giorgia...», però lui donna Giorgia la conosce davvero (e ci vuole l’audacia di un Hobbit a non essere di sinistra in quell’ambiente). A settembre scorso era sul palco in Piazza del Popolo, alla chiusura della campagna elettorale del centrodestra, per presentare con epica tolkeniana la leader Giorgia Meloni, la sua Galadriel: «Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza. Verrà il giorno della sconfitta, ma non è questo il giorno». Poi ad Ancona ha condotto l’evento a sostegno del candidato di centrodestra a sindaco. E negli ultimi mesi è stato intercettato più volte fare anticamera tra il Collegio Romano e Palazzo Chigi. Domanda: ma viene prima l’occupazione o l’egggemonia? E così Pino Insegno, professione doppiatore (ma anche attore, comico, conduttore radio e tv), dal quartiere Monteverde alla Terra di mezzo, romano e laziale, partito dalla Premiata Ditta la sua personalissima Compagnia dell’Anello e arrivato a scorrazzare per le affollate praterie-prateRai, 63 anni, già amico di Gianfranco Fini e Mauro Mazza (con Gianni Alemanno sindaco rischiò di ottenere la gestione della «Casa dei teatri» di Roma), ha vissuto troppo a lungo nel ruolo di Le marginal, come nel più bel film di Jean-Paul Belmondo (doppiato però da Renzo Stacchi). Ora, dopo anni da eterno secondo, è il momento di prendersi i primi piani: sarà L’Eredità al posto di quel comunista di Flavio Insinna (quello della «nana di merda», a proposito di merito), o sarà il prossimo Festivàl di Sanremo? Come ti Insegno a diventare il nuovo volto del paesaggio televisivo italiano. «Avemo occupato? E mo’ famo l’egggemonia». Se fosse per noi, di Rai ne vorremmo due. Una con direttore generale Morgan, l’altra con Luca Barbareschi. Che non si sa se sono più bravi o più antipatici. Comunque, dài. Bravo, Pino Insegno è bravo. Come attore di teatro un paio di volte è riuscito persino a vedere il suo nome sui camerini del Sistina, ma Enzo Garinei gli dava del Lei e lo teneva a distanza. Come attore di cinema non hai mai toccato palla, per quanto da giovane abbia giocato in serie D (ma scusa, cosa c’entra? Niente, per dire). E come comico, non giudichiamo: Aldo Grasso però ha detto che «La sua comicità si pone al livello più basso dell’evoluzione televisiva», e se si volesse evidenziare il lato comico del comico, basterebbe ricordare quando, nel 2017, su Radio24, Insegno si lanciò in una furiosa invettiva proprio contro Aldo Grasso per via di una stroncatura che però il critico televisivo non aveva mai scritto (Insegno si era confuso, e poi chiese scusa, e sembrava di essere in un film di Neri Parenti). E come conduttore, insomma... Le sue cose le ha fatte, ma il suo Voice Anatomy, per quanto apprezzato in casa Fratelli d’Italia ci è andata anche Giorgia a fare un’ospitata, e ci chiediamo perché a livello di Auditel è sempre stato sui livelli di Rai2 per cento. E questo è quanto. Però, appunto, Pino Insegno senza essere Nando Gazzolo è un ottimo doppiatore, professione che peraltro esige capacità di adattamento, camaleontismo, funambolismo; sinonimi: mutevolezza, volubilità, opportunismo. Volubile, stizzoso («Anvedi ’sto stronzo: a lui gli hanno dato tutti i film di James Bond... ma l’hanno mai sentita la voce mia!?»), atticciato, o ramicio come si dice a Roma, ma che ha sposato veline e mogli bellissime, forte spirito di rivalsa, figlio dell’artigiano Armandino e della casalinga Romana, frontman di un premio e di una scuola di doppiaggio, autore dell’autobiografia La vita non è un film (eh, magari...), brillante, veloce, sempre sul pezzo Maurizio Costanzo diceva che era il miglior battutista passato sul suo palco e a suo modo anche paraculo (uno Zoro di destra, insomma), Pino Insegno nella sua arte è un maestro. Altrimenti difficilmente sarebbe passato dalla gavetta giovanile del doppiaggio nei film porno - ai tempi stracult di Eiaculazione da Tiffany: mugolii, debito d’ossigeno e 300mila lire a turno - al leggendario «Io sono Aragorn, figlio di Arathorn!», anche se il suo fiore al microfono è la voce data a Brad Pitt nel film L’esercito delle 12 scimmie. Centurione dell’esercito della destra Brancaleone alla crociata di Saxa Rubra per una supremazia di telecomando e «te l’avevo detto» - dalla sostituzione etnica alla sostituzione televisiva è un attimo, ma poi chi dice che perdere Massimo Gramellini è un dramma? E anche Fabio Fazio prese 30mila euro per doppiare male i Minions e nessuno disse niente - Pino Insegno è arrivato al suo Rubicone. Di qua un’eterna subalternità, di là l’egggemonia. E dietro di lui ce ne sono tanti altri, ma tanti, ma tanti... Vai avanti tu Pino, a che noi ci viene da ridere.