il Fatto Quotidiano, 29 maggio 2023
Bellocchio bocciato da Cei, clericali e cattodem
È stato lo stesso Marco Bellocchio, alla serata dei David di Donatello, a chiedere al pontefice di guardare “Rapito”, l’ultimo film del regista: “Spero che papa Francesco veda questo film, gli ho scritto una lettera”. Nel frattempo però la pellicola sullo scandalo del sequestro di Edgardo Mortara di fatto non è piaciuta alla Chiesa tutta. Non solo alla destra clericale, ma anche alla Cei, la conferenza che raduna i vescovi italiani, e a firme di Avvenire come Agostino Giovagnoli, autorevole storico che fa parte sin dalla fondazione della Comunità di Sant’Egidio, una delle anime del cattolicesimo democratico del nostro Paese.
La vicenda del piccolo Mortara, bimbo ebreo rapito e “convertito” da papa Pio IX (ché battezzato di nascosto in articulo mortis) è ormai nota e si svolge nella Bologna pontificia del 1858. Ecco dunque la Commissione Nazionale Valutazione Film della Cei. A recensire “Rapito” è Sergio Perugini della Sir, l’agenzia di stampa dei vescovi.
Il giudizio è diviso in due: la lettura stilistica e quella tematico-narrativa. La prima è “magnifica”. La seconda no. Ché il cinema di Bellocchio “non concede mediazioni”. Laddove “la Chiesa è ‘sedotta dalla politica’, dal potere temporale, ma non c’è mai traccia d’altro, (…): non c’è amore, carità o speranza. (…). Ma è possibile che sia solo questo? Non rischia di essere una semplificazione troppo netta e parziale?”. E il concetto di una Chiesa non solo potere e politica viene ampliato da Giovagnoli su Avvenire. Detto che Bellocchio non tiene conto del “contesto” e che un film non è mai “un’opera di storia, ma una creazione artistica”, lo storico stronca il “messaggio” che arriva sino a oggi: “La storia mostra che (Pio IX, ndr) fu prigioniero di una concezione errata circa l’uso della forza materiale per imporre un bene spirituale. Bellocchio invece lo spiega così: ‘Anche il nostro papa tanto amato (papa Francesco) dice: Nel nome del Signore… C’è la carità, c’è la misericordia, però non è che in nome della carità o misericordia si possano mettere in discussione i dogmi di fede’”.
Ergo: “In questo modo il regista si è immerso pienamente nell’attualità, facendo capire che poco o nulla sarebbe cambiato rispetto ai tempi di Pio IX. Basta che papa Francesco dica ‘Nel nome del Signore’ per evocare dogmi che rendono irrilevanti carità o misericordia. Il problema, insomma, non sarebbe in Pio IX ma nel cattolicesimo stesso”. Risultato: “Se oggi i dogmi non rendono affatto irrilevanti carità e misericordia – l’insistenza appassionata di papa Francesco per la pace lo mostra ampiamente – è perché quegli stessi dogmi vengono meglio compresi di quanto lo fossero un secolo fa”.
Insomma, il regista inquadra la fede e la grazia come valori immutabili e negativi. Temi che ricorrono nelle stroncature della destra clericale (Tempi e La Nuova Bussola Quotidiana) che poi si fanno scudo del memoriale (1888) dello stesso Mortara, scoperto da Vittorio Messori e pubblicato nel 2005 – in cui quel bimbo diventato sacerdote “grazie alla Divina Provvidenza” è in odore di santità (il processo di beatificazione si fermò per la Seconda guerra mondiale) – e criticano la famiglia Mortara perché rifiutò ogni forma di mediazione con la Chiesa (a proposito di complessismo).