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 2023  maggio 28 Domenica calendario

Storia delle fascette editoriali

La fascetta editoriale è uno degli elementi dell’epitesto più trascurati ed effimeri dell’intera filiera del libro quale oggetto cartaceo tipograficamente esposto. Ed è anche il meno conosciuto.
Figlia dei primi anni 20 del Novecento (come si ricava da una recensione di A. F. Formìggini del 1926) nasce come elemento strettamente funzionale, per trasformarsi in seguito in quella che sarebbe diventata la sua principale caratteristica: promuovere commercialmente il libro del quale fa materialmente parte. I primi esempi sigillavano completamente il volume, circondandolo, per cui una volta strappate, la loro sorte era segnata: il cestino della carta straccia. In quella forma il volume, in libreria, era così al riparo da manipolazioni perché non lo si poteva sfogliare. Negli anni 30 e 40 diventano, invece, elementi molto comuni dell’oggetto libro, usate spesso in alternativa della sovraccoperta e, invece che avvolgerlo, erano “ancorate” al piatto anteriore (copertina) e a quello posteriore (quarta di copertina), ripiegando i bordi all’interno, per cui il libro poteva essere tranquillamente sfogliato. Ma la loro sorte era comunque quella di essere separate dal libro e, se non conservate all’interno dello stesso a mo’ di segnalibro, gettate via. Per questo motivo le fascette editoriali, soprattutto quelle dei primordi e le più importanti, sono tanto rare e in grado, con la loro semplice presenza, di aumentare il valore economico del volume di un buon 30%.
Tra quelle più ricercate troviamo quelle di alcuni volumi futuristi, perché il movimento, tra i tanti metodi promozionali adottati, non prevedeva, o molto raramente, l’utilizzo delle fascette. Perciò, quelle firmate da Marinetti sono tra le più rare e ricercate, come ad esempio per La cucina futurista dello stesso Marinetti e Fillia (1932), per Pour mes femmes di Nelson Morpurgo (1932), per le Risate esplosive di F. Cervelli (1933), per Arte fascista di Fillia (1927), del quale una delle più rare, e anche sconosciute, riveste il suo La morte della donna (1925).
Ma mitica è anche la fascetta approntata da Mino Maccari, con un ironico tono da sbruffone, che avvolgeva l’opera prima di Romano Bilenchi, Vita di Pisto, opera poi disconosciuta dall’autore, fascetta per la quale i collezionisti sarebbero capaci, direbbe Mughini, di vendersi la sorella. Per la prima edizione Einaudi di Montale, Ossi di seppia, venne approntata una fascetta sobria ed essenziale: «Con questo libro cominciò la poesia italiana contemporanea», mentre lo stesso editore, per la princeps di Pavese Lavorare stanca scelse: «Una delle voci più isolate della poesia contemporanea».
Davvero unica, nella sua feroce ironia, è poi quella di Augusto Frassineti nel suo Tre bestemmie uguali e distinte, sulla quale si legge: «Sulla necessità di uccidere i bambini». Purtroppo sulle fascette editoriali poco e male si è scritto, anche da parte degli storici dell’editoria e della grafica, ed è un peccato perché esse rappresentano un elemento di primaria importanza anche per lo studio del commercio librario e delle sue pratiche. Tra coloro che se ne sono occupati in maniera approfondita c’è Mauro Chiabrando, che ha dedicato loro un ampio e documentato capitolo («Effimere fascette») del suo pregevole Il particolare superfluo (Luni, 2019), e la Libreria antiquaria Pontremoli di Milano che recentemente ha pubblicato online un catalogo interamente dedicato alle Fascette editoriali.
Una recente innovazione grafica, quasi mai riscontrata in passato, è poi quella della fascetta d’artista, elemento che ha perduto del tutto la propria funzione sia strumentale che promozionale per diventare, essenzialmente, un’opera grafica d’autore a tutti gli effetti, non conservata all’interno ma all’esterno del libro. E l’unica sigla editoriale che abbia finora intrapreso questa felice sperimentazione grafico-editoriale è la romana Mauvais Livres di Andrea Montanino, che per la Collana “Sassifraga”, diretta da Valerio Magrelli e la cui grafica è curata dal figlio Leonardo, ha chiesto all’artista Pablo Echaurren di realizzare quattro fascette originali, a rivestire, finora, i titoli di Adriano Prosperi, Maurizio Bettini, Chiara Frugoni e Lina Bolzoni (ne ha parlato recentemente su queste pagine Stefano Salis nella sua «Cover Story»). Sono esempi molto belli e interessanti di contaminazione tra fumetto e collage, tipico dello stile dell’artista. Che ha lavorato molto, in passato, per la grafica editoriale; ricordiamo solo l’iconica copertina di Porci con le ali, ma è la prima volta che si cimentava con le fascette: «L’idea è di Valerio Magrelli. È lui che inizialmente mi ha contattato. È una idea davvero curiosa ed effimera… ma continueremo. Anche se io avevo deciso che non avrei più fatto copertine. È una proposta così singolare che non potevo sottrarmi». Queste fascette rappresentano davvero una rivoluzione copernicana, sia dal punto di vista storico che grafico; esse perdono totalmente il loro status di supporto gregario, funzionale e totalmente effimero, per assurgere al rango di opera grafica firmata d’autore.
La loro importanza è ulteriormente attestata dall’editore che all’interno dei volumi cita espressamente la presenza della fascetta e del suo autore, ed è la prima volta che ciò accade nella storia dell’editoria del Novecento, e non solo italiana.