la Repubblica, 28 maggio 2023
Intervista a Isabella Maldonato
Isabella Maldonado, ex poliziotta, ha lasciato una brillante carriera per dedicarsi ai romanzi adrenalinici. Qui ci racconta perché E si dice certa che l’America sia pronta per una presidente ispanica
Chidagiovaneha avuto unavita difficile tende a indurirsi e a contare soltanto sulle proprie forze. Ma perquanti eroi classici econtemporanei dimostrino le virtù dell’individualismo, dall’Achilleomerico a James Bond, talvolta anche l’eroismo richiede l’aiutodel prossimo: non sempre è possibile cavarsela da soli. È il dilemmade Lasuperstite, primo romanzo di una trilogia di thriller di Isabella Maldonado,destinata a diventare una serie tv per Netflix con JenniferLopez nei panni della protagonista, pubblicato in Italia da Longanesidopo essere statoun bestseller negli Stati Uniti. L’autrice è una ex agente della polizia e dell’Fbi, laprimaispanoamericana a raggiungerei gradi di capitano negli Usa,cheauncerto puntoha abbandonatola pistola permettersi a scrivere con altrettanto successo, comeattestano le sue traduzioni in 22 lingue. Al centro della storia c’è unapoliziottachealmeno unpocole somiglia:Nina Guerrera, agente dell’Fbi di origine latina, ha cambiato identità per sfuggire a un serial killer che l’avevarapita e torturata da ragazza, ma un video finito sui social la smaschera e l’assassino si rimette a darle la caccia, lasciando codici cifrati sul web per attirarla in trappola.
La prima domanda è d’obbligo, Maldonado: quanto c’è di lei in Nina Guerrera?
«Qualcosaindubbiamentec’è, perchéanch’io ho lavorato nella polizia, sono di origine latina e ho vissutonon pochidrammi. Per fortunanon tragici come quelli della mia protagonista».
Da dove ha preso l’idea del romanzo?
«Dauncaso deglianni’90cheha fatto notizia non solo in America: un serial killer che lasciava messaggi in codice sui giornali. Trasportandolo ai giorni nostri, i messaggi cifrati sono finitisu Facebook e Instagram, la cinghia di trasmissione odierna delle notizie se vuoi terrorizzare l’opinione pubblica».
Viene dalla sua esperienza di poliziotta anche il messaggio del libro sugli eroi che non possono fare tutto da soli?
«Al cinema o nella narrativa di solitovediamo un detective solitario che vince contro tutti e non si fida di nessuno. Nella realtà non è mai così: leindagini sono sempre un lavoro di gruppo. Tanto piùserio è il pericolo, tantopiù hai bisogno dei tuoi colleghi.Una lezione che non vale soltanto per la lotta al crimine».
Che effetto le fa pensare che Jennifer Lopez interpreterà la sua protagonista?
«Dueanni prima di scrivere il libro ero aun concerto di Jennifer: se me l’avessero detto, non ci avrei creduto. Quandoilmio agenteha offerto aHollywoodi diritti del romanzo, l’interesse è stato forte, ma poi è arrivata lei, si è innamoratadella parte e ha fatto di tutto per prendersela».
Le sembra di avere aperto una breccia per gli ispanoamericani con i suoi romanzi?
«Quandoho cominciatoa scrivere, un editoremi disse che le mie storie funzionavano ma dovevosostituire la protagonista di origine latina con unabianca,possibilmente bionda e anglosassone. Agli ispanoamericani, neifilm comenei libri, erano riservate le parti del cattivo, della spalla del protagonista che fa ridere o dellasuaamante. Manon misono arresa».
L’America sarà pronta, prima o poi, per un presidente ispanoamericano?
«Lo spero. A differenza di altri Paesi, nonabbiamoavutoancorauna donnacomepresidente.Abbiamo avuto un presidenteafroamericano.
La popolazione ispanoamericana, gli immigrati o i figli e nipoti degli immigrati arrivati dal Centro Americae dalSudamerica,ha avuto un’incredibile espansione. Verrà anche il loro giorno alla Casa Bianca.
Magaripropriocon unadonna».
Lei ha imparato a scrivere metodicamente: è un consiglio che darebbe a chi vuole seguire la stessa strada?
«Civuole un po’di talentoinnato: ho fatto la poliziotta per vent’anni, ma findabambina mipiaceva raccontare storie. Però si può anzi sideve anche impararea scrivere:mi ci sono dedicata per cinque anni, fra letture di gialli, corsi di scrittura creativa, seminari. Consiglierei a chiunque di fare altrettanto».
È stato più difficile imparare a fare la poliziotta o imparare a scrivere?
«Diciamo che è più difficile fare il poliziotto che lo scrittore. I critici possonomaltrattarti se non apprezzanoi tuoilibri, ma almeno nonti sparano addosso!».
Perché oggi così tante donne scrivono gialli?
«Forseperché ci sonopiù donnein ogniprofessione: unavolta erano poche anchenella polizia. Quando misono messa in testa di fare la scrittrice, i miei maestri erano Jeffery Deaver,James Patterson, Michael Connelly:tutti uomini,perché c’erano poche donne fra i giallisti.
Oggi avrei l’imbarazzo della scelta a trovareunmodellofemminile».
I serial killer sono diventati più numerosi o semplicemente se ne parla più di un tempo?
«C’erano ancheprima, per secoli: JackloSquartatore nonera un caso isolato.Ma sene parlava dimeno e soprattutto le forze dell’ordine avevanomenostrumentiper individuarelastessa mano in una serie di delitti».
Esiste una soluzione all’epidemia di massacri con armi automatiche in America?
«Ioho unapistola esono brava a sparare,mahodovutosuperare un’infinità di controlli per ottenere il portod’armi.Il problemaè che è troppo facile procurarsi un fucile automatico.Occorrono leggi più severe.Finoaquando nonle avremo, l’epidemiadi massacri continuerà».
Come e più di Scotland Yard, l’Fbi è un mito mondiale: cosa ha di speciale la polizia federale americana?
«Trecose.Risorseumanemolto ampie: quasi 40 mila agenti. Risorse finanziarie enormi:un budget che permettedi dotarsi delle tecniche piùmoderne. E unagrande pazienza: un’indaginepuò durareanni, decenni, non finisce mai, finché non arresti il colpevole».
E perché ha scelto Phoenix, in Arizona, come scenario dei suoi romanzi?
«Perchéla maggiorparte dei romanzi sui poliziotti si svolgono a NewYork,Los Angeleso Miami.Epoi ho seguito, anchein questo, la lezione diHemingway, scrivi suciò che conosci: a Phoenix vivo anch’io.
Dopoavere patito tanto freddonelle strade della East Coast, per scrivere desideravo il caldo del deserto».