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 2023  maggio 28 Domenica calendario

Lunga intervista a Fausto Brizzi

I sogni da bambino non sono, sempre, solo sogni. Magari sono idee, intuizioni, progetti travestiti da nuvole. E così Fausto Brizzi, a 15 anni, ogni mattina nel suo zaino oltre ai libri per le lezioni, piazzava pure un taccuino e una penna per strappare un autografo (altro che selfie) o prendere appunti davanti al “preside” Antonio Ricci o ai professori Giorgio Faletti ed Ezio Greggio: “Il liceo era di fronte agli studi televisivi: alle nove del mattino la mia vita non seguiva la direzione della campanella”.
Da allora ha, piano piano, soffiato davanti alle nuvole, le ha scansate, ha staccato i poster dalla cameretta “e li ho resi reali: ho lavorato con quasi tutti i miei miti”. Quindi sceneggiatore, regista e ogni tanto romanziere. Il suo ultimo libro, Siamo scritti a matita, incamera in 320 pagine romanticismo, avventura, thriller, spy story e un’astuta dichiarazione di guerra al mondo digitale: “Il libraio è il più bel mestiere del mondo”.
Su quanti progetti lavora?
Di solito sono in cottura, in contemporanea, con cinque o sei lavori perché ognuno di questi ha tempi differenti, vuoi per un attore da aspettare, vuoi per il periodo, vuoi perché il romanzo è più complesso.
La scintilla da cosa arriva?
Dipende; i libri non sono mai su commissione, rispecchiano un’urgenza, in questo caso volevo affrontare l’Alzheimer; (pausa) nei libri spesso narro di malattie, forse per esorcizzarle.
È ipocondriaco?
Al contrario, sottovaluto tutto, non so neanche chi è il mio medico di base.
L’attore è ipocondriaco.
Non è il loro principale difetto.
E qual è?
Non sarebbero attori se non amassero apparire; esattamente l’opposto di me.
Ha smanie da attore?
(Stupito) Io? Ho tentato all’inizio, ma dopo i primi spettacoli ho ceduto all’ansia e ho deciso di mettermi dietro, in regia.
Era bravo?
Credo abbastanza, portato per il cabaret; (sorride) l’unico pubblico che posso sostenere è quello delle cene.
Tiene banco.
Soprattutto quando sono a tavola con persone non legate al cinema e c’è fame di retroscena e aneddoti.
Avrà dei cavalli di battaglia…
Ho un repertorio di ore.
Il cavallo imprescindibile.
Oramai è bruciato: per vent’anni sono andato avanti con le gesta dell’anno della maturità, poi è diventato un film quasi totalmente autobiografico; ora se lo racconto mi rispondono scocciati: “Vabbè, è Notte prima degli esami”.
Un altro “cavallo”…
Il racconto della mia famiglia, una famiglia del sud che sembra uscita da una commedia di Checco Zalone. Prima o poi diventerà un film.
Amici, parenti, fidanzate: quante volte l’hanno rimproverata di riportare tutto su schermo o libro?
È inevitabile; con Notte prima degli esami avevo 35 anni e con il film ho chiuso un periodo della mia vita e sono entrato nell’età adulta.
Da 35enne che vince subito il David, come si sentiva?
Un giorno scioccante: improvvisamente stavo accanto ai miei miti, a partire da Moretti, candidato per Il caimano; quella sera mi sono presentato alla cerimonia con la cravatta di Topolino, come a dire: questo sono io.
Nanni Moretti è andato a conoscerlo?
Ho avuto l’ardire di proporgli un ruolo in Maschi contro femmine; Nanni è un attore comico straordinario e lo dimostra pure in alcune scene del suo ultimo film; è il nostro Woody Allen e lavorare con lui è uno dei miei sogni.
Un altro sogno…
Girare un film che superi la fama di Notte prima degli esami.
Se passa in tv lo rivede?
No da quando è morto Faletti.
Faletti era il professore del film.
Le prove le abbiamo organizzate a casa sua, all’Elba, e lui si comportava realmente come fosse il professore. Tutti lo ascoltavano.
Ne era geloso?
No, anzi, ero certo che quella situazione si sarebbe riflessa nel film; (ci pensa) se due attori si amano, si vede; se sono amici, si vede. Tutto si vede; (pausa) quando sono davanti al film di un collega, capisco anche se il regista si è innamorato dell’attrice.
Nelle settimane di set nascono amori, amicizie…
Fondamentale, ma spesso sono solo innamoramenti artistici; a me è capitato con i comici.
Esempio.
Christian De Sica è un grande artista: sul set è perfetto, non gli ho mai visto commettere un errore. Sa tutto il copione alla perfezione. È come Federer.
L’attore va protetto?
È il mio compito.
È psicologo, padre, zio…
Dipende dalla necessità, dalla circostanza, dal soggetto. L’unico obiettivo è il film.
Niente prigionieri.
In una scena di Maschi contro femmine gli attori dovevano salire su un motoscafo e assaltare una baleniera, peccato che solo un attimo prima del ciak Paolo Ruffini mi confessa di non saper nuotare, di non avere alcuna confidenza con l’acqua.
Disastro.
Era una scena impegnativa e costosa; io allucinato: “E quando me lo dici?”. “Ora”. “Prima no?”; allora cerco di convincerlo: “Tranquillo, se succede qualcosa ti salvano”. “Chiiiii?”. “Anche gli altri attori”. “Nessuno penserebbe a me, solo tu mi non mi abbandoneresti”.
Soluzione?
Ho mollato la macchina da presa: su quel motoscafo ci sono pure io, accanto a lui.
Qual è il suo talento?
Inventare storie, mi ci guadagno da vivere, da sempre; sono uno sceneggiatore prestato alla regia, in realtà a me piace scrivere; amo pensare che la mia carriera sarà tonda: è iniziata con la scrittura e finirà con la scrittura, lontano dal set.
La sua prima storia…
Professionale? I gialli per la televisione.
Dal giallo al cinepanettone: bella gamma di colori.
Ci arrivo grazie a un casting: De Laurentiis cercava un ricambio generazionale per i film di Natale, uno da affiancare a Neri Parenti. Così, per capire i meccanismi, per un intero giorno mi chiudo dentro un cinema e vedo Paparazzi; poi scrivo un episodio per il film successivo, Tifosi. Funziona. Accettano.
E scopre un altro mondo…
Una macchina industriale incredibile, costruita in maniera scientifica: riunioni fissate sempre nelle stesse date, il copione consegnato in tempi calibrati, le musiche del momento: un ricetta della quale sono parte per 12 anni. E grazie a questo ho girato il mondo: Natale in India l’abbiamo scritto proprio lì, e così New York o altrove.
Divertimento vero.
Tanto e ho imparato tutto su come ottenere la risata: Neri Parenti è un grande maestro, anche su come trattare gli artisti.
Ha mai urlato contro un attore?
No, sono i miei datori di lavoro ed è pure inutile.
Accetta i capricci.
Per forza, al massimo li aggiro.
Ha da subito affrontato cast con tantissimi big.
Lì la parte più complessa è il momento della lettura del copione, con lo sceneggiatore investito della responsabilità di accontentare o scontentare; (ride) ogni tanto l’attore si appassiona alla parte di un altro.
Gli attori sono gelosi di lei?
Sul set devi stare attentissimo a chi saluti per primo.
È un leader?
Per forza, altrimenti vieni sotterrato.
A scuola lo era?
La mia carriera scolastica è stata faticosa; di fronte al liceo c’erano gli studi della Dear, dove all’epoca registravano la prima stagione di Drive In: la mattina potevo scegliere se entrare in classe o andare lì.
Scelta facile.
Mi infilavo nello studio dove Vianello registrava Zig Zag, poi mi sedevo tra il pubblico di Drive In: da Greggio a Columbro, Faletti e Ricci ho gli autografi dei protagonisti dell’epoca; con i primi tre ci ho pure lavorato.
E con Ricci?
Lui mi considera lo spettatore numero uno, e io gli rispondo che è stato il mio professore.
I suoi contenti.
Papà avvocato, anche quando avevo oramai 45 anni e qualche successo nel curriculum, mi ripeteva: “Sei un ragazzo intelligente, fai in tempo a prendere la laurea e venire in studio”.
Da adulto ha raccolto i suoi sogni da ragazzo.
Un po’ sì; negli anni ho coinvolto quasi tutte le persone che erano i miei poster in camera.
Un altro poster…
Avevo una passione smodata per i Pooh e quest’anno ho seguito la regia dello spettacolo di Dodi Battaglia; (cambia tono) non sono stato io ha curarla, ma quel Fausto lì che da ragazzino comprava i loro 45 giri.
È amico anche degli altri?
Molto di Stefano (D’Orazio, ndr), un amore reciproco; era intelligente, sarebbe potuto diventare un produttore fantastico: si intendeva di lettere e di numeri, era il motore dei Pooh.
Chi è il suo attore feticcio?
Probabilmente Claudio Bisio e con Ex ha ottenuto la sua prima candidatura ai David.
I premi contano?
(Cambia sguardo, tra sornione e uomo da marachella) Quell’anno, per scelta scenografica, decidono che i candidati devono stare tutti sul palco. Ex ottiene 10 nomination. Eppure mi presento ben consapevole che non avrei vinto neanche una statuetta.
Proprio certo…
Certissimo; salgo e per tutto il tempo della cerimonia resto seduto tra Sorrentino e Garrone che quell’anno avevano girato Il divo e Gomorra; (ora ride) ero una sorta di vittima sacrificale: gli altri si alzavano, applausi, io sempre seduto. E applaudivo.
Nel romanzo scrive: “Il libraio è il lavoro più bello del mondo”. E il regista?
Il più bello del mondo è lo scrittore: inventi mondi come li vorresti.
Il cinema?
È la realtà come la vorremmo e nel mio caso è quasi sempre con il lieto fine, anche se il lieto fine non c’è nella realtà.
Il suo libro non ha il lieto fine.
Dipende da cosa intende; per me Titanic ha il lieto fine, perché uno esce bene dalla sua visione, dal racconto di quell’amore; esiste un lieto fine drammaturgico e un altro romantico.
Esempio.
Big Fish è uno dei film che mi ha causato maggior produzione di lacrime, ma non riesco a dire che non c’è lieto fine.
Piange così tanto?
Sono uno spettatore medio, quindi se vedo un horror mi spavento, un film romantico piango, compresi i miei, pure durante il montaggio; se prende la graduatoria dei film più visti della storia, troverà le pellicole che amo.
Ama tutti i suoi film?
Alcuni no, potevo girare qualche Natale di meno.
Com’è il suo rapporto con De Laurentiis?
Ci ho lavorato come sceneggiatore, ma non ha mai prodotto un mio lavoro; non vedo l’ora: ha vinto lo scudetto, torni a occuparsi di cinema.
Con lui come si è trovato?
È un fuoriclasse e sa tutto, controlla tutto, ogni passaggio.
Controllava pure il numero di parolacce nel film?
(Ride) Un anno, per Natale in India, Severgnini sul Corriere le aveva contate: 100 in cento minuti. Io ho riso. Ma l’anno successivo è scattato l’esame di coscienza: “Giriamone uno senza neanche un’uscita greve”. Ed è nato Christmas in love.
Risultato?
Ha incassato 10 milioni di meno.
Contento De Laurentiis…
Mica tanto; così nel 2005 è uscito Natale a Miami e gli abbiamo dato sotto.
Ha pianto scrivendo il libro?
Quando l’ho riletto, nelle ultime pagine.
Differenze tra romanzo e commedia…
Il libro è totalmente tuo, non devi confrontarti con il cast, con i produttori, gli agenti atmosferici. Il film, alla fine, è un continuo compromesso.
Quanti libri legge?
Circa tre copioni e un romanzo a settimana.
Autore del cuore.
Agatha Christie, ma la affronto centellinando i romanzi, perché non li ho letti tutti; poi King e Follett.
Io uccido di Faletti?
Bellissimo; (Ride) Giorgio si divertiva tanto per aver messo lo spoiler nel titolo.
Quando ha detto “che bello essere Fausto Brizzi”.
Ci sono pure molte incombenze: il passaggio da sceneggiatore a regista è stato un po’ faticoso, all’improvviso ho avuto meno tempo per tutto e diventi un datore di lavoro di almeno 80 famiglie.
Non semplice.
Il regista non è un solista e tenti sempre di avere una tua troupe; un anno, un solo anno, non ho girato un film e mi sono sentito in colpa.
Tra quarant’anni per cosa sarà ricordato?
Per un film che devo ancora girare, spero non per Notte prima degli esami.
Lei chi è?
Un bambino che scriveva: “da grande sarò un romanziere”; (cambia tono) spero, da vecchio, di pensare solo ai libri, perché il momento che amo di più è stare da solo in un mondo che non esiste.