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 2023  maggio 28 Domenica calendario

A Parigi una mostra su capelli e acconciature

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Sarà banale, ma è il primo pensiero che viene in mente entrando in questa curiosa mostra dedicata a peli e capelli, al Musée des arts decoratifs di Parigi. Ci si addentra nel labirinto di piccole sale con la sensazione di essere scrutati, guardati con seduzione o con alterigia, da una sfilata di teste, coronate o cotonate, di volti imberbi o irsuti, di dame reali, di principi superbi, di sex symbol d’ogni genere e colore, che in una sorta di fluida sfilata, celebrano i misteri della capigliatura, l’enigma di una barba ben pettinata, il trionfo di peli addomesticati ad arte, nascosti o messi in evidenza.
La questione tricologica – dichiarata ad inizio mostra dalla voragine muschiosa del celebre quadro di Courbet (l’origine del mondo, che non a caso lo psicanalista Jack Lacan teneva appeso dietro la sua scrivania) – si fa presto narrazione storica e antropologica, tra l’ebbrezza romantica di crini ed onde sciolte e quella di una imperiosa, altezzosa mise en scène dal carattere quasi architettonico e, in qualche caso, addirittura equilibristico.
Sfilano in silenzio femmes fatales d’antan e celebrities di oggi, le belle Otero e Lady D, la marchesa di Sevigny e Naomi Campbell; ma anche fusti del cinema come Clark Gable o belli e dannati del pop come Kurt Cobain. Un caleidoscopio di volti imberbi o baffuti, di chiome ondulate o teste provocatoriamente depilate, che racconta sì le alternanze delle mode, ma anche qualcosa di più profondo e radicato che affonda nelle incertezze dell’ego: unica spiegazione per le fatiche che uomini e donne hanno affrontato (e continuano ad affrontare) per sottostare a mutevoli ideali di credenze sociali prima ancora che estetiche. Un’incertezza tinta di sfrontatezza, una domanda risolta in un’affermazione, rendono ragione del fatto che per secoli uomini e donne hanno perseverato nel cospargersi i capelli di unguenti a base di midollo di bue, d’olio di castoro, di grasso d’orso, prima di affidarsi ai nuovi misteri della chimica e della biologia vegetale. Che li ha sostenuti nel sottoporsi a faticose pratiche di stiraggio, di piegatura, di coloratura, di arricciatura. Che li ha invogliati a coprirli o a esibirli, acconciarli e ornarli per una messa in scena di sé.
Quelli che credono che i baffi siano solo una manifestazione di eleganza maschile ne ignorano le radici storiche: ispidi moustache o volti delicatamente depilati non hanno mai smessi di apparire e scomparire: se ne lamentava già nel XII secolo il priore di Visegois quando notava che «oggi tutti i giovani si lasciano crescere i capelli che prima tagliavano per esibire lunghe barbe; mentre ora persino i contadini e i più umili valletti, si fanno rasare». Più tardi, quando le corti italiane dettavano la moda in Europa, Baldessarre Castiglione nel suo ritratto del perfetto Cortegiano, dettava gli attributi del vero cavaliere: esortava i gentiluomini a non assumere fattezze molli e femminili, come quelli che si increspano i capelli e si radono le sopracciglia. Da evitare anche la tintura dei capelli e la pratica di radersi due volte a settimana.
Peli e capelli insomma partecipano da secoli alla costruzione delle apparenze: denunciano la maniera in cui ci vediamo e quella in cui vogliamo rappresentarci: sono il termometro del senso del pudore e al tempo stesso del grado di esibizionismo che ciascuna classe sociale in un determinato momento della storia ritiene appropriato alla sua condizione. Sono messaggi (da decifrare, come ci propone appunto la mostra) di identità presunte o di dissimulazione del vero sé.
Il pelo, d’altra parte, è ciò che accomuna l’uomo a quasi tutti i mammiferi, così come l’abito per il filosofo scozzese Thomas Carlyle: la sola maniera di sottrarsi a quest’imbarazzante prossimità è dunque domarlo, addomesticarlo, forgiarlo, perché pettinatura e cura del corpo sono tipiche dell’uomo. È l’uomo selvaggio ad essere rappresentato come vicino allo stato di natura e il passaggio dal selvaggio al primitivo è breve e poroso: Adamo, il primo uomo, è sempre rappresentato con la barba, come l’homo erectus e i suoi discendenti. Se nel Medioevo veniva raccomandato ai maschi di radersi il più possibile per non sembrare delle bestie, ancora all’inizio del secolo scorso le persone affette da ipertricosi o irsutismo venivano esibite nelle fiere come fenomeni da baraccone.
Per secoli una pletora di barbieri, di parrucchieri, di estetisti, di coiffeur e di hair designer, armati di strumenti sempre più diversificati e specialistici, nonché di prodotti studiati in laboratori, si sono affaccendati sui nostri corpi con lo scopo di farci diventare esseri sociali, che in tale maniera esprimono appartenenza o ribellione, adesione o contestazione. Acconciarsi, depilarsi, affrontare l’eterna questione dei peli delle gambe, del torso, delle ascelle, del pube, diventa oggetto di uno studio affascinante e mai considerato nella sua dimensione scientifica che può spiegare i confini tra introspezione ed esibizionismo, tra consenso e protesta.
Non a caso, negli anni 60 furono uno dei simboli più vistosi della contestazione giovanile, dei flower children, della beat generation americana, e poi della ventata punk degli anni 80 con l’esplosione dei Sex Pistols. Peli e capelli oltrepassano le frontiere dell’estetica per diventare manifesti di contro-cultura: sono strumenti di mobilitazione politica e contestaria e come tali le Black Panther afro-americane li usarono per rivendicare l’originaria identità perduta. Creste psichedeliche e crani rasati alla skinhead sono stati vessilli di clan contrapposti, vistosi segnali di rivendicazioni psicologiche e sociali che rivelano immediatamente le origini borghesi o proletarie dei loro membri.
Pacifisti e riformatori, esistenzialisti, antisociali e violenti, tutti i protagonisti delle più varie forme di ribellione che si sono succedute dal dopoguerra ad oggi, hanno fatto dei peli e dei capelli di campi di battaglia contro l’autorità parentale e l’ordine borghese, utilizzando il corpo come vetrina del disagio e della contestazione: corti o lunghi, rasati o spettinati, tinti o naturali, i capelli sono segnali di riconoscimento che vanno analizzati con gli strumenti della psicanalisi e della sociologia politica. Sono messaggi espliciti di cosa vorremmo essere, ma anche strumenti di dissimulazione del nostro vero essere.