Domenicale, 28 maggio 2023
Uno spettacolare museo di medicina a Londra
In una delle piazze più imponenti e preservate della Londra settecentesca, il Lincoln’s Inn Fields, si trovano due musei enciclopedici di meraviglie per i quali non risulta inopportuno riesumare il concetto rinascimentale di Wunderkammer, rielaborato attraverso la lente dell’Illuminismo britannico. Su un lato della piazza è la casa-museo dell’architetto John Soane (1753-1837), summa visionaria di frammenti di architetture, ornamenti, disegni e dipinti allestiti a incrostazione e per scopi didattici. Sul lato opposto a quello del Sir John Soane’s Museum si cela l’Hunterian Museum, incastonato come una gemma all’interno del grande edificio del Royal College of Surgeons. Sì, avete letto bene: si tratta del reale collegio dei chirurghi. È qui, infatti, che dal lontano 1813 viene conservata, studiata e ampliata una delle collezioni più importanti al mondo di medicina e arte, un immenso e spettacolare atlante in 3D del corpo umano e delle strutture che lo accomunano alle meraviglie del creato. Il museo, rimasto chiuso per lavori per ben sei anni, oggi riapre i battenti celebrando i 210 anni di attività presso il collegio e riproponendosi al grande pubblico con un ambizioso allestimento dello studio Casson Mann.
Tutto ebbe inizio nel 1799, quando il governo acquisì 14mila reperti e preparazioni della collezione museale del medico John Hunter (1728-1793), fratello minore del già celebre dottor William che aveva scelto il modello dei disegni anatomici di Leonardo per illustrare le nuove scoperte, al quale si deve un secondo museo Hunterian, a Glasgow. Nell’ambito della irripetibile stagione dell’Illuminismo britannico e della rivoluzione industriale, John fu pioniere nell’anatomia patologica, nella zoologia e nella pratica medica. Attivo in campo bellico e nella cura di pazienti di ogni genere, sposò una fine poetessa e intellettuale, Anne Hope, che ne arricchì enormemente gli orizzonti. Dalla loro unione sorse l’enorme casa-museo-accademia eretta a Leicester Square nel 1783. Qui, nell’ala sinistra dell’edificio, Anne teneva un salotto animato da ospiti illustri, come Horace Walpole, il musicista Joseph Haydn, che della signora musicò alcune poesie, o il pittore Joshua Reynolds, che in una tela celebre ritrasse Hunter in posa da pensatore. Al centro del complesso troneggiava un vero e proprio museo, con tanto di gigantesco teatro anatomico e piani in cui erano allestiti ampolle e reperti per gli studi comparati tra le specie: preparazioni anatomiche e vegetali, tassidermie di animali esotici (come i canguri provenienti dal viaggio di James Cook, o la prima giraffa nel Regno Unito), reperti bizzarri e curiosi, una importante collezione d’arte. Nell’ala di destra si trovavano le sale per effettuare le dissezioni, attigue al dormitorio degli allievi di Hunter che dovevano così convivere con il fetore dei cadaveri, in totale devozione per la causa di quella che, a tutti gli effetti, fu una scuola dai tratti militareschi.
L’avvincente vita di John Hunter, il suo operato che ha dischiuso orizzonti rivoluzionari nella storia della chirurgia, anche dentistica, rimane il cuore del percorso dell’attuale museo, la cui raccolta include, tra l’altro, anche reperti della vasta collezione di Hans Sloane (1660-1753) che costituì la base per la nascita del British Museum.
L’itinerario si estende dalle origini della storia della chirurgia fino ai nostri giorni e si sviluppa in otto sale, allestite con assemblaggi di materiali diversi che impongono al visitatore di muoversi in maniera fluida nel connettere opere, reperti, strumenti scientifici e documenti. Da segnalare, all’inizio del percorso, un commuovente “polittico” senza tempo che potrebbe spiccare all’interno di un museo di arte contemporanea: si tratta delle «Evelyn Tables», quattro grandi tavole secentesche da dissezione anatomica provenienti da Padova, confluite al British Museum e poi, nel 1809, al collegio. Vi compaiono le effigi di creature fantastiche, quasi uomini-albero che risultano dall’incollamento del sistema nervoso e circolatorio sulle superfici in legno delle tavole. Tra i fatti e le rarità del museo, scopriamo che qui venne coniato il termine di «dinosauro», qui venne a ricercare Charles Darwin, qui il padre dei computer, Charles Babbage, inviò il proprio cervello affinché vi venisse esposto.
La vera camera del tesoro del museo, tuttavia, è costituita dall’esposizione spettacolare di oltre duemila preparazioni e reperti anatomici. Se nell’allestimento precedente si veniva immersi in un grande ambiente di vetro su otto livelli, nel nuovo museo si susseguono in maniera lineare e tassonomica lunghe gallerie luminose connesse a stanze laterali. Vi si palesano sequenze di ampolle e liquidi illuminati contenenti brani di volti umani, ossa, organi, arti, animali, piante, conchiglie e tanto altro, tutti offerti “sotto il naso” del visitatore che viene stimolato a distinguere, guidato da Hunter, tra normalità e patologia. Alcuni pezzi paiono cristallizzati in fogge estetizzanti, come un piccolo coccodrillo che si lancia in una spirale ascendente, o vesciche e piante che compongono figure ornamentali. Attrattiva leggendaria del museo, da sempre, lo scheletro del “gigante irlandese” Charles Byrne (1761-83), alto 2,35 metri, un famoso fenomeno da baraccone che aveva espresso il desiderio di venire gettato in mare dopo la propria morte. In segno di rispetto non viene più esposto al pubblico, ma il consiglio del collegio ha stabilito che resti a disposizione degli studiosi di gigantismo ipofisario. Se dunque alcuni reperti storici ritenuti inopportuni non risultano più visibili, come spesso accade al giorno d’oggi, le nuove sale sulla storia della chirurgia nel XX secolo si arricchiscono di apparati e contributi che attraversano la storia della medicina bellica (parte della collezione di Hunter andò peraltro perduta nei bombardamenti della Seconda guerra), fino all’uso delle ultimissime tecnologie in diversi ambiti e, in particolare, nei trapianti pediatrici. Non manca l’arte più recente, come la serie di poetici disegni di Barbara Hepworth, del 1948, che omaggiano la disciplina medica.
Carichi di suggestioni, si rischia di uscire dal museo con una alterata percezione del corpo proprio. Di sicuro, con una maggiore apertura nei confronti delle meraviglie della scienza e dell’arte che la chirurgia e il suo mondo dischiudono.