Corriere della Sera, 27 maggio 2023
Jane Fonda: «Redford? Non gli piace baciare»
Prima di arrivare al festival per un rendez-vous con il pubblico – numeroso e adorante, con una altissima percentuale di giovani – Jane Fonda aveva raccontato dell’oscena proposta ricevuta da René Clément sul set di Crisantemi per un delitto: «Voleva andare a letto con me perché, mi spiegò, il mio personaggio avrebbe dovuto avere un orgasmo e doveva vedere com’erano i miei. Lo chiese in francese e feci finta di non capire». Ieri, sorridente e in forma smagliante («Merito della mia truccatrice. Mangio bene, faccio sport, mi riposo. Prima di venire qui ho dormito 14 ore»), ha lanciato, proprio dalla mecca dei cinéphiles, una pietra contro il più venerato degli autori francesi, Jean Luc Godard, con cui girò nel 1972 Crepa padrone, tutto va bene. Il regista, poi, nel documentario realizzato con Jean-Pierre Gorin Lettre a Jane, mise in discussione l’autenticità del suo impegno contro la guerra in Vietnam, a partire da una foto dell’attrice a Hanoi. «Godard? Un narcisista. È un grande regista, certo. Ma come uomo, mi spiace, no».
Non che Hollywood l’appassioni molto di più. «Non sento di farne parte. Non vado ai party, non mi invitano. Non sono brava nelle relazioni pubbliche, non sono diplomatica. Michael Douglas sì che lo è, non credo di stargli simpatica». È stato l’incontro con l’attivismo, insiste, a dare senso alla sua vita. «A quasi 86 anni mi sembra incredibile lavorare ancora tanto. Ma più che il cinema, Frémaux mi scuserà, è la battaglia sul cambiamento climatico che mi sta a cuore. Che significa anche lottare contro il patriarcato e il razzismo».
Ricorda come cominciò il suo impegno. «Vivevo a Parigi con il mio primo marito Roger Vadim. Mi diresse in Barbarella che all’epoca non mi aveva convinto, mentre ora mi piace. Era iniziata la guerra in Vietnam, pensavo che gli Usa fossero dalla parte dei buoni. Incontrai degli americani che mi aprirono gli occhi. Capii che per essere contro la guerra dovevo lasciare la Francia, Vadim. E a Detroit, tra gli attivisti, capii che potevo usare il cinema per far sentire la mia voce. Così nacque Tornando a casa di Hal Ashby».
Fioccano gli aneddoti. Su Lee Marvin, suo partner in Cat Ballou. «Lui era simpaticissimo, sempre ubriaco. Ma mi ha dato una lezione: il film era low budget si girava 14 ore al giorno. Fonda, mi disse, se non protestiamo noi per le condizioni di lavoro della troupe, chi dovrebbe farlo?». Su Robert Redford. «Non gli piace baciare. Sul set è sempre di cattivo umore, per anni ho pensato fosse colpa mia. È una brava persona, con il Sundance ha fatto una cosa importante. È solo che ha un problema con le donne», butta là con il sorriso smontando decenni di narrazioni sulla coppia cinematograficamente perfetta. «L’ultimo film insieme, sei anni fa, Le nostre anime nella notte. Avevo circa 80 anni, finalmente ero cresciuta. Quando lui arrivava di cattivo umore e in ritardo di tre ore sapevo che non era colpa mia». Su Katharine Hepburn. «Feci Sul lago dorato per mio padre Henry, che era malato, per avere la possibilità di lavorare insieme. Ma la persona da cui ho imparato di più su quel set è stata lei». Su Lily Tomlin. «La partner che preferisco al mondo. È mia sorella, la amo più di tutto».