la Repubblica, 27 maggio 2023
Intervista a Emma Dante
Nei mesi scorsi è stato in cartellone a Dresda e a Berlino, a Osaka e a Londra, a Wiesbaden e a Bergen, è inprogramma a Monaco e prossimamente lo si ascolterà a Praga e a Vienna, ad Amsterdam e a Dresda, a Metz e a Santa Fe. È diventato un titolo molto popolare, per la felicità delle melodie, l’atmosfera fiabesca e la complessità dei riferimenti, ma per il Teatro alla Scala è una prima assoluta; perché Rusalka , allestita per la prima volta a Praga nel 1901, è tra le opere che mancano al suo immenso repertorio. L’amatissimo compositore, Antonín Dvo?ák, figlio di un povero macellaio, morì a 63 anni nel 1904, quando la Boemia faceva ancora parte dell’Impero austroungarico. E il sovraintendente Dominique Meyer ha voluto come regista Emma Dante, che mancava da 14 anni, dopo la favolosa indimenticabile Carmen dai normali fischi. Adesso, alla Scala, la signora si arruffa i lunghi capelli come fossero una criniera e dice: «In effetti, allora, io sentivo solo gli applausi che erano tanti. Il principe Barenboim — che io chiamo così — dirigeva l’orchestra, al momento degli applausi mi prese la mano e mi disse, “Ferma, non ti muovere, non ti inchinare!”. E allora capii che mi stavano fischiando, restai male, come Cenerentola quando la sua carrozza ritorna a essere una zucca. Io gli applausi li sentivo, c’erano, ma i giornali poi riportarono i soliti fischi».
Era il 7 dicembre del 2009, e avevamo già il Berlusconi con la mischiata Letta e Santanché, eppure lui ci sembrava uno facilone non così pessimo e infatti appena rieletto. E lei cosa ha fatto in questi 14 anni?
«Non ho fatto che lavorare, non mi sono mai fermata, ho sentito dentro di me un amore viscerale che non si placa per il teatro, il cinema, la musica, con la paura che questo amore esondi».
Quella “Carmen” le ha segnato un’altra strada?
«La musica mi ha salvato tante volte dalla depressione. Dai dolori e dai lutti che temo continuerò ad avere, essendo la vita una continua cura, un girare che se ti fermi sei morto. Se c’è un luogo altro dopo la morte, qualcuno sta già organizzando una chitarra o un’arpa per me».
Certo si può anche capire che certi registi abbiano pensato che fosse tremendo. La Rusalka, nel folklore slavo, è una ninfa non umana che attira nei suoi gorghi gli sventurati per farli morire, una specie di “Sirenetta”, che fornita di reggipetto e di delicata bellezza ovviamente nera, in live action musical adesso nei cinema si ispira a un film Disney del 1989. La Rusalka di Dvo?ák è ancora più pasticciona; si innamora di un principe-uomo, e per poter diventare una donna accetta che la cattiva strega la trasformi, però chiedendole di dargli in cambio la sua voce al posto delle gambe. Il principe si innamora, poi si stufa di quella che non parla, e subito la tradisce. Lei piange, con le gambe e senza voce, e non si sa come finisca perché pare che l’interprete di questa Rusalka, la signora Olga Bezsmertna, (le voci sono tutte in boemo), non voglia assolutamente morire come richiesto dal testo. Si vedrà.
E dopo 14 anni, lei avrà per sé una fiaba, come quelle che con Basileporta in scena.
«Rusalka non l’avevo mai sentita, adesso mi sveglio ogni mattina e ascolto il dolce “Canto della luna”, ne sono affascinata. Mi ha fatto grande piacere che dopo Lissner, ex sovraintendente della Scala, sia stato Dominique Meyer a volermi con sé. È un modo di tornare con un’altra figura che mi ricorda laCarmen . Le donne hanno sempre aperto le porte del mio teatro e sarò sempre a loro riconoscente».
Cosa l’ha conquistata?
«Questa fanciulla che nasce come una ninfa, una creatura ibrida, né donna né ninfa, e che noi faremo apparire in carrozzella con le gambefasciate, da malata, da inerme…».
In che senso si tratta di una fiaba?
«C’è chi la considera molto kitsch, le sirene con la coda, il laghetto, la luna. In un certo senso vengono i brividi pensando a una rappresentazione da recita scolastica. È una fiaba a noi lontana, che viene da una storia cinquecentesca che parla di acque che attirano gli uomini per ucciderli.
Del resto anche le nostre fiabe finiscono male. La musica invece non è affatto melensa nell’ambito del nazionalismo musicale, lo chieda agli esperti, le diranno che ha le radici in Wagner e nelle ballate popolari».
Lei come affronta la storia fiabesca?
«È una fiaba ma non è per bambini. I bambini non dormirebbero sonni tranquilli se vedessero una fiaba così. Ho costruito, per contrasto con il lirismo della musica, che è romantica, cullante. Pensi al “Canto della luna”. L’impianto è più disturbante, con elementi presi dal pop surrealism americano, per esempio da Ray Caesar, il pittore che descrive personaggi un po’ animali e un po’ umani.
La tradizione ha sempre raffigurato Rusalka con la coda di pesce, ma il libretto non lo specifica e noi abbiamo scelto di rappresentare invece una donna tentacolare. Dalla cintola in su è donna, dalla cintola in giù è un polipo, una piovra, anzi, una medusa, forse medusa è il paragone più adatto. Vedrete i costumi di Vanessa Sannino, la nostra costumista che ho scoperto alla Scala e che vive a Parigi, sono meravigliosi.
La protagonista entrerà in scena seduta sulla carozzina, una invalida.
Proprio la disabilità è in contrasto con il lirismo della musica e della fiaba. Ecco, non sarà una fiaba per bambini».
Perché non per i bambini?
«Il mio spettacolo rappresenta un mondo disturbante, inquietante. E per esempio in Rusalka ci sono due comunità: quella delle creature dell’acqua e quella delle creture della foresta. Le creature della foresta saranno delle cerbiatte con le corna fasciate e il corpo già squartato, come se i cacciatori le avessero già ferite.
Saranno una quindicina di nostri collaboratori. Detto così è un po’ splatter ma non lo è. È una visione poetica e inquietante del fatto che queste donne in realtà sono state abusate. Sono creature ferite come Rusalka, non cerbiatte felici nel bosco».
Quando ha sentito questa musicaha pensato all’epoca della composizione, per esempio al tempo della psicoanalisi?
«No, l’abbiamo ambientata in una dimensione totalmente estranea a qualsiasi connotazione temporale, l’ho pensata come un incubo. Sembra una storiella semplice ma molto stratificata, ecco, forse psicoanalitica. Nel secondo atto, il più emblematico, Rusalka viene portata nel palazzo del principe. La strega le ha dato le gambe che le consentono di seguire il suo grande amore, il principe, ma in cambio è diventata muta. E il principe, a lungo andare, si annoia».
Mascalzone!
«E infatti se ne va con una con due tette così! La rivale!».
Per quanto tempo ha pensato a farne una storia sua?
«Ci ho pensato molto. La genesi di uno spettacolo è sempre lunga, piena di ripensamenti. Poi quando arrivi alle prove ti sorprendi perché è quasi fatto: le idee, la scenografia, i costumi, i personaggi sono già lì, e vanno assemblati. È un po’ come col Lego, ormai hai i materiali e devi solo metterli nella forma giusta».
Suo marito, Carmine Maringola, che è pure il bravissimo attore delle sue pièce dolenti, ha fatto, lo scenografo.
«Il rischio è di cadere nel melenso: se fai il laghetto con la sirenetta sul bordo e in più con la luna, la scena può diventare orrenda. Senza volerlo ci siamo inventati un mondo post alluvione, un mondo invaso dall’acqua: come tragicamente sta avvenendo proprio adesso, in Romagna. Nel primo atto si vedrà una chiesa gotica con vetrate multicolori che filtreranno la luce della luna. Nel secondo atto, il palazzo del principe sarà tutto blu e con le luci creeremo la suggestione di un mondo sott’acqua. Volevo raccontare un luogo alla deriva, un day after dopo una pioggia torrenziale che ha lasciato queste pozze che creano un collegamento tra il mondo terrestre e quello acquatico».
Cosa ha detto Meyer quando gli avete presentato il progetto?
«Gli piaciuto subito molto. E sarà ripreso anche alla Rai».
Che età ha vostro figlio?
«Ha 10 anni. Lo adoro, ma è molto più mamma Carmine».
C’è qualcosa che vorrebbe fare?
«Mi piacerebbe fare il Festino di Santa Rosalia a Palermo. Bellissima festa, molto popolare, Santa Rosalia è un personaggio così bello! Mi inventerei un sacco di cose!».