La Stampa, 27 maggio 2023
Il doppio cognome è stato un flop
Doveva essere una svolta epocale, si è trasformata in una rivoluzione mancata. Un anno fa i giudici della Consulta dichiaravano costituzionalmente illegittimo il primo comma dell’articolo 262 del codice civile, da cui derivava la trasmissione automatica del cognome paterno: da quel momento la nuova regola è il doppio cognome, del padre e della madre insieme, salvo diversa indicazione dei genitori. Ma osservando i dati delle principali anagrafi italiane emerge un tradizionalismo, molto più accentuato al Sud, difficile da scalfire: la percentuale di doppi cognomi per i nati nell’ultimo anno non va oltre il 15% - primato registrato a Milano, seguita da Bologna (13,6%) e Torino (13,2%) - mentre in molte città la scelta riguarda un pugno di coppie di genitori: a Reggio Calabria il 99,9% ha optato per il patronimico e il restante 0,1% per entrambi i cognomi (16 famiglie appena su 1.500 nuovi nati).
Nelle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale del 2022, i giudici scrivevano che l’attribuzione automatica del cognome paterno «è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, non più coerente con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna». Questa uguaglianza è un’esigenza poco avvertita nell’Italia del 2023? Secondo Renzo Carriero, professore associato di sociologia dell’Università di Torino, la motivazione non è così semplice. L’inizio stentato del doppio cognome ha una ragione fisiologica, comune a tutti i cambiamenti importanti che riguardano le radici di una società: «I processi di diffusione delle innovazioni sociali possono attraversare fasi, anche piuttosto lunghe, dove la novità resta confinata a una cerchia ristretta per poi coinvolgere tutta la popolazione nel giro di pochi anni», spiega l’accademico che si occupa di mutamenti sociali e disuguaglianze di genere. Secondo Carriero, poi, parlare di «flop del doppio cognome» è sbagliato: «I numeri sono incoraggianti e indicano un trend in crescita: in alcune città le percentuali sono raddoppiate».
Resta il fatto che la strada da percorrere per una reale parità tra i due genitori, auspicata dalla Corte Costituzionale, è ancora lunga. Alcuni puntano il dito sulla scarsa informazione su un argomento poco conosciuto. Ancora oggi molti neo genitori che si presentano davanti all’ufficiale di stato civile ignorano la normativa. È possibile che, spiazzati dalla nuova e rivoluzionaria possibilità, si arrendano alla consuetudine. Elisabetta Meucci, assessora all’Anagrafe del Comune di Firenze, è convinta che il ministero dell’Interno avrebbe dovuto mettere in campo una comunicazione efficace: «È mancata una campagna informativa a livello nazionale, da affiancare al lavoro di informazione portato avanti a livello locale, per portare davvero a conoscenza di tutti un cambiamento che va nella direzione di una maggiore parità».
Secondo Susanna Schivo, avvocata che ha formulato l’eccezione di incostituzionalità accolta dalla prima sentenza della Corte Costituzionale che nel 2016 ha aperto la via al doppio al cognome, esiste anche un problema di tipo procedimentale. «Se la norma generale prevede l’attribuzione automatica del doppio cognome – ragiona – la deroga da parte dei genitori nel senso di un solo cognome va in qualche modo formalizzata, per esempio con una dichiarazione sottoscritta sia dal padre che dalla madre. Affidare tale deroga a una manifestazione verbale, magari solo del padre, è inadeguato». Molto spesso, infatti, alle anagrafi si presenta solo il padre che comunica la decisione sul cognome a nome di entrambi i genitori, senza dover firmare alcun documento e senza magari conoscere la disciplina del doppio cognome.
Ci sono poi aspetti più pratici che frenano l’adozione del doppio cognome. Chi ha già un figlio con il solo patronimico è restio ad adottarli entrambi per un nuovo nato, che così si troverebbe ad avere un cognome diverso dal fratello o dalla sorella. C’è poi l’"effetto moltiplicatore". I figli di due genitori con il doppio cognome si ritroverebbero con un cognome molto esteso, eventualità che può scoraggiare. Per entrambe le questioni la Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento ad adottare una legge che colmi i vuoti normativi. Senza successo. «Ci troviamo di fronte a un silenzio assordante del legislatore – spiega l’avvocata Schivo –. La cosa singolare è che dopo l’ultima decisione della Corte Costituzionale non è più necessaria una riforma organica della materia, ma basterebbe ormai solo un intervento sulle questioni indicate dalla stessa Corte per avere un quadro certo. Esistono già alcune proposte di legge, occorre ora la volontà politica per consentire alle persone di esercitare il proprio diritto a dare una identità paritaria alla prole».
Nelle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale del 2022, i giudici scrivevano che l’attribuzione automatica del cognome paterno «è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, non più coerente con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna». Questa uguaglianza è un’esigenza poco avvertita nell’Italia del 2023? Secondo Renzo Carriero, professore associato di sociologia dell’Università di Torino, la motivazione non è così semplice. L’inizio stentato del doppio cognome ha una ragione fisiologica, comune a tutti i cambiamenti importanti che riguardano le radici di una società: «I processi di diffusione delle innovazioni sociali possono attraversare fasi, anche piuttosto lunghe, dove la novità resta confinata a una cerchia ristretta per poi coinvolgere tutta la popolazione nel giro di pochi anni», spiega l’accademico che si occupa di mutamenti sociali e disuguaglianze di genere. Secondo Carriero, poi, parlare di «flop del doppio cognome» è sbagliato: «I numeri sono incoraggianti e indicano un trend in crescita: in alcune città le percentuali sono raddoppiate».
Resta il fatto che la strada da percorrere per una reale parità tra i due genitori, auspicata dalla Corte Costituzionale, è ancora lunga. Alcuni puntano il dito sulla scarsa informazione su un argomento poco conosciuto. Ancora oggi molti neo genitori che si presentano davanti all’ufficiale di stato civile ignorano la normativa. È possibile che, spiazzati dalla nuova e rivoluzionaria possibilità, si arrendano alla consuetudine. Elisabetta Meucci, assessora all’Anagrafe del Comune di Firenze, è convinta che il ministero dell’Interno avrebbe dovuto mettere in campo una comunicazione efficace: «È mancata una campagna informativa a livello nazionale, da affiancare al lavoro di informazione portato avanti a livello locale, per portare davvero a conoscenza di tutti un cambiamento che va nella direzione di una maggiore parità».
Secondo Susanna Schivo, avvocata che ha formulato l’eccezione di incostituzionalità accolta dalla prima sentenza della Corte Costituzionale che nel 2016 ha aperto la via al doppio al cognome, esiste anche un problema di tipo procedimentale. «Se la norma generale prevede l’attribuzione automatica del doppio cognome – ragiona – la deroga da parte dei genitori nel senso di un solo cognome va in qualche modo formalizzata, per esempio con una dichiarazione sottoscritta sia dal padre che dalla madre. Affidare tale deroga a una manifestazione verbale, magari solo del padre, è inadeguato». Molto spesso, infatti, alle anagrafi si presenta solo il padre che comunica la decisione sul cognome a nome di entrambi i genitori, senza dover firmare alcun documento e senza magari conoscere la disciplina del doppio cognome.
Ci sono poi aspetti più pratici che frenano l’adozione del doppio cognome. Chi ha già un figlio con il solo patronimico è restio ad adottarli entrambi per un nuovo nato, che così si troverebbe ad avere un cognome diverso dal fratello o dalla sorella. C’è poi l’"effetto moltiplicatore". I figli di due genitori con il doppio cognome si ritroverebbero con un cognome molto esteso, eventualità che può scoraggiare. Per entrambe le questioni la Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento ad adottare una legge che colmi i vuoti normativi. Senza successo. «Ci troviamo di fronte a un silenzio assordante del legislatore – spiega l’avvocata Schivo –. La cosa singolare è che dopo l’ultima decisione della Corte Costituzionale non è più necessaria una riforma organica della materia, ma basterebbe ormai solo un intervento sulle questioni indicate dalla stessa Corte per avere un quadro certo. Esistono già alcune proposte di legge, occorre ora la volontà politica per consentire alle persone di esercitare il proprio diritto a dare una identità paritaria alla prole».