La Stampa, 27 maggio 2023
Intervista a Manuel Bortuzzo
Una nuova vita in azzurro. In acqua, Manuel Bortuzzo si sente rinascere e pazienza se per riassaporare questa emozione ha dovuto imparare a nuotare due volte.
La prima, da bambino, fino ad arrivare a vestire la cuffia azzurra a livello giovanile sognando un’Olimpiade. Il sogno di Manuel è andato in frantumi in una fredda serata romana del febbraio 2019, quando un proiettile vagante l’ha paralizzato. La nuova compagna di vita, una sedia a rotelle: beh, in acqua si fa riabilitazione, il passaggio successivo è di provare a qualificarsi per la Paralimpiade.
Stavolta però è il ventiquattrenne nato a Trieste a prendersi qualche momento in più prima di rituffarsi. Dunque, niente più Nazionale italiana e te ne vai al Grande Fratello? Ecco, Manuel decide che è ora di rimettersi la cuffia: prima quella cremisi delle Fiamme Oro che, con i consigli di coach Francesco Bonanni, l’ha portato ieri a regalarsi quella azzurra che tanto gli mancava. Manuel Bortuzzo è tra i 24 atleti italiani chiamati ai Mondiali paralimpici di Manchester (31 luglio-6 agosto).
Che cosa ha pensato quando ha saputo della convocazione azzurra?
«È difficile da spiegare, si tratta di un lungo percorso, soprattutto mentale, in cui sono partito da una situazione di un incidente dove ho perso tutto. Ho dovuto reinventarmi, riscoprire ogni piccola cosa e fa effetto pensare al me di qualche anno fa nei giorni subito dopo l’incidente».
Che Manuel era?
«Smarrito, spaventato di dover lasciare lo sport per sempre. Reagiamo tutti in modo diverso a ciò che ci accade, invece, bisogna accettarsi, cambiare e fare qualcos’altro. Proprio nel nuoto mi è capitato di ritrovare una mia amica, Domiziana che, per un brutto incidente facendo ginnastica, ha avuto una lesione ancora più alta della mia. Le ho chiesto di spiegarmi come ha fatto, perché in poco più di un anno ha cambiato sport, nuota e si diverte, mentre io ho impiegato molto di più solo a riprendermi il mio mondo».
Com’era il giovane Manuel nuotatore?
«Facevo stile libero. Nel 2015 era arrivata l’ultima convocazione nella Nazionale italiana giovanile, per gli Eyof di Tbilisi, una sorta di mini Olimpiade giovanile a livello continentale. Mi fa effetto pensare che lì in Georgia avevo 16 anni e non capivo nemmeno dove mi trovavo, mentre ora mi aspetta la mia prima nazionale assoluta da grande con la Finp, che avrà tutto un altro sapore».
Ci racconta la sua difficoltà nel rituffarsi nella carriera acquatica?
«Il blocco più forte è a livello mentale, una lotta continua coi ricordi, non soltanto nella sfera emozionale, ma anche in quella fisica, legata proprio ai movimenti in acqua. Ho passato due anni in cui volevo nuotare, ma sentivo il peso di farlo quasi per forza. Nessuno mi aveva mai chiesto se lo volessi davvero. Sta proprio qui la differenza, adesso lo voglio io, mi piace e lo voglio fare».
Come si è sbloccato?
«Quando mi sono trovato al Grande Fratello, in un contesto così diverso da quello che ero abituato a sperimentare da atleta. È stata un’esperienza intensa e per nulla facile, ma che ha portato anche aspetti positivi, come l’enorme voglia di tornare in acqua. Devo ringraziare Aldo Montano, che ormai nella mia vita è un punto di riferimento, lo sento come un fratello. Prima di ogni gara ci sentiamo e lui trova sempre le parole giuste per tranquillizzarmi: sa di essere tra gli artefici di questo grande ritorno».
E gli ex compagni azzurri?
«È come se ci avessero sempre creduto, forse mi conoscevano meglio di me stesso. Detti, Martinenghi, Razzetti e Paltrinieri: tutti aspettavano soltanto che mi mettessi in testa di esserne capace. Greg l’ho sentito su Whatsapp anche dopo l’ultima gara di qualifica a Berlino, vasca dove ha vinto medaglie e fatto record, e gli ho detto che mi sono sentito come lui. Spesso molti risultati vengono dati per scontati, ma non si sa quello che c’è dietro».
Dallo stile alla rana: ora è il 4° al mondo tra gli SB4...
«Ci speravo. In realtà, sono ancora un pesciolino nel mare paralimpico: a Berlino, ero al fianco del 35enne greco Antonios Tsapatakis (2° al mondo, ndr) e sembravo un propaganda contro un professionista. Ora mi guardo attorno e rubo i segreti dei miei colleghi. L’esempio degli altri atleti paralimpici lo conservo con più piacere: ho imparato tantissimo da quelli che, finalmente posso dirlo, sono i miei nuovi compagni di Nazionale».