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 2023  maggio 27 Sabato calendario

C’era una volta la Rai

Nella storia c’è sempre un prima e un dopo. C’è stata una Rai del monopolio e c’è stata una Rai del duopolio. Si è passati poi a una Rai dei professori e si è arrivati a quella del conflitto d’interesse. Tante fasi, un denominatore comune: la lottizzazione dei partiti. Costante e sempre più invasiva con il passare degli anni fino alla ormai storica e emblematica frase di Cesare Previti, l’ex ministro della Difesa del primo governo Berlusconi, che nell’aprile del 1996 disse: «Se vinciamo non faremo prigionieri». Ed, invece, i prigionieri sono stati fatti e tanti altri in questi anni sono stati epurati, cacciati o messi nella condizioni di lasciare l’azienda. Certo, viale Mazzini di stagioni ne ha viste tante ma come ricorda Roberto Zaccaria, presidente della Rai dal ’98 al 2002, «la lottizzazione è come le annate del vino: ci sono quelle eccezionali, quelle buone, ma anche le annate peggiori e quelle molto cattive».
Forse, quest’ultima fase con il nuovo vertice appena insediato, se si isola il punto più basso raggiunto dall’arroganza politica contro l’azienda con l’editto bulgaro dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi il 18 aprile del 2002 – con il quale si scagliò contro «l’uso criminoso della Tv pubblica da parte dei giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro e il comico Daniele Luttazzi – per come si è presentata e ha iniziato il suo percorso si candida con buone chance a far rimpiangere anche la stagione più difficile delle stagioni berlusconiane. Non solo perché due soli consiglieri e l’Ad Roberto Sergio (minoranza in Cda) hanno cambiato i vertici delle testate giornalistiche ma anche, e soprattutto, perché mai nella storia della Rai si era verificato che a un solo anno dalla scadenza naturale del mandato del Cda si provvedesse al rinnovo dei vertici sapendo che l’attuale Ad sta scaldando per il prossimo la poltrona a un nuovo amministratore delegato (Giampaolo Rossi) che è stato assunto all’esterno come direttore generale. Insomma, una vera "primizia" lottizzatoria non foss’altro che la futura Rai di Giampaolo Rossi guiderà l’azienda anche nella prossima campagna elettorale per le politiche del 2027. Insomma, se lottizzazione c’è stata, indubbiamente è stata ben studiata. «Del resto – sottolinea l’ex presidente Roberto Zaccaria – la Rai ha conosciuto negli anni diversi modi di selezione del personale, ed è chiaro che se i criteri vengono indicati dal Parlamento è un conto, se invece lo fa il governo come con l’ultima legge di riforma è altra cosa».
Una volta i partiti indicavano Luca Barbato, Emilio Rossi, Emanuele Milano, Sergio Zavoli, «oggi – sottolinea l’ex presidente di viale Mazzini – una minoranza in Cda sceglie chi governa le testate giornalistiche della Rai», ovvero le posizioni strategiche per il pluralismo in democrazia. Una minoranza, «mi viene da ironizzare – sottolinea Roberto Zaccaria – che anche la Bulgaria si risentirebbe quando parliamo noi di maggioranze bulgare». Già.
Ed, infatti, con il passare degli anni la "fuga" dalla Rai è sempre diventata più massiccia: un vero esodo. Chi ha potuto è scappato, chi non è riuscito è finito ai margini. Fabio Fazio se ne è andato, Lucia Annunziata si è dimessa e prima di loro Michele Santoro quando a capo del governo della Rai c’era Lorenza Lei e a palazzo Chigi Silvio Berlusconi. Con loro, eccezion fatta per Bruno Vespa, viene meno nella Tv pubblica l’approfondimento giornalistico in prima serata: e mano mano anche la platea televisiva di quanti seguivano Santoro, Luttazzi, Guzzanti, e Giovanni Floris. L’annus horribilis, appunto, il 2002. Da lì, origina il "peccato originale" di viale Mazzini. Perché quando sparisce la satira, viene meno il contropotere. «La satira è il termometro del pluralismo» e il vertice aziendale «deve fare da scudo ai suoi professionisti» per «salvaguardare l’indipendenza dell’informazione e il pluralismo». «A me – riprende Roberto Zaccaria – non sorprendono le pressioni, anche noi le avevamo anche da sinistra. Però con Celli facemmo Agostino Saccà direttore di Raiuno perché era un fior di professionista. Ecco, alla base delle scelte ci deve essere la riconosciuta professionalità di chi viene scelto». E così nel passato sono stati scelti Angelo Guglielmi, Giovanni Minoli, Luigi Locatelli, Emanuele Milano. E sono nati programmi come "Chi l’ha visto", "Giallo", "Mixer", "Gesù di Nazareth" di Zeffirelli con la quale la Rai vinceva gli Oscar per la Tv. Professionisti di area certo ma anche di talento. Ora, si dirà, i tempi sono cambiati e di autori come Lio Beghin che dormiva in una brandina a viale Mazzini e con Guglielmi e Augias facevano programmi come "Telefono Giallo" non ce ne sono più ma certamente la lottizzazione degli ultimi anni, «non ha consentito alla Tv pubblica di crescere, di espandersi né di aumentare la capacità di ricercare il meglio sul mercato». «La ricetta per la Tv pubblica non è quella di togliere ma quella di aggiungere», dice Zaccaria. Forse lottizzato, ma capace.
Del resto, «la lottizzazione non è una novità di oggi né di qualche anno addietro. C’è sempre stata – ricorda Agostino Saccà, storico dirigente di viale Mazzini – ma si è sempre cercato di prendere il meglio. E la scuola di Guglielmi, Locatelli, Ettore Bernabei, Biagio Agnes ha fatto sì che oggi, nonostante tutto, la Rai è ancora leader nel mercato e negli ascolti». Ricorda uno storico consigliere Rai indicato dalla sinistra «che fino ai tempi della Moratti non ci furono grandi forzature, a parte Gabriele La Porta per la Lega a Raidue. Lottizzazione sì ma accettabile: del resto per i Tg furono indicati professionisti come Carlo Rossella (Tg1), Clemente Mimun (Tg2) e Italo Moretti (Tg3), oggettivamente era difficile obiettare…». Insomma, professionisti con maglie chiare dello sponsor sulle spalle ma dai curriculum inaffondabili. «Oggi mi dica lei se è così…». Già aveva ragione Ugo Zatterin che lasciata la Rai raccontò all’Europeo: «Ogni due che mi segnalano ne posso prendere uno buono…». Dopo quell’intervista, però, lo storico giornalista Rai non mise più piede a viale Mazzini. Sembra di rivivere la storia di Lucia Annunziata. «I partiti di destra – conclude Zaccaria – hanno vietato ai loro esponenti di andare nella sua trasmissione. E un programma come il suo senza opposizione non si può fare: non si poteva proprio andare avanti». Già, purtroppo Lucia Annunziata potrebbe non essere l’unica ad aver dovuto gettare la spugna.