Il Messaggero, 27 maggio 2023
Stasi esce dal carcere per lavorare
Rita Preda, la mamma di Chiara Poggi, non ha mai alzato la voce né pronunciato una frase di troppo. E anche questa volta le sue parole, pur nell’amarezza, sono pacate. «Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato, ma come genitori dispiace sapere che chi ha ucciso nostra figlia dopo sette anni già esce dal carcere, pur senza aver mai ammesso la sua responsabilità. Spiace anche il modo in cui lo abbiamo saputo, dalla stampa, non siamo stati avvertiti da nessuno». E se per caso dovesse incontrare Alberto Stasi? «Non ci ho pensato e spero di non incontrarlo mai».
SOCIETÀ INFORMATICA
Stasi, quarant’anni il prossimo 6 luglio, una laurea in Economia e legislazione d’impresa alla Bocconi, è stato condannato in via definitiva a 16 anni di carcere per l’omicidio di Chiara Poggi, uccisa nella sua villetta di Garlasco il 13 agosto 2007. Da quattro mesi è stato ammesso dal collegio del tribunale di Sorveglianza di Milano al lavoro esterno: può lasciare il carcere di Bollate, dove è recluso dal 2015, passare la giornata in una società informatica della zona dove svolge mansioni contabili e amministrative per tornare nel penitenziario la sera. Tutto è regolato da prescrizioni rigide in materia di orari, di mezzi di trasporto utilizzati, tragitti e controlli. Il fine pena teorico per Stasi arriverà nel 2030, che può essere anticipato al 2028 grazie alla buona condotta che dà diritto allo scomputo di 45 giorni ogni 6 mesi di carcere, con possibilità di chiedere un affidamento in prova dal 2025. «So che è normale, la legge lo prevede e noi non possiamo farci niente, ma siamo un po’ dispiaciuti che dopo così pochi anni possa già riprendere una vita», riflette Rita Preda. Una prima richiesta al Tribunale di Sorveglianza è arrivata nel 2021, respinta dalla giudice Maria Paola Caffarena ritenendo che le relazioni stilate dal carcere non andassero oltre le mere dichiarazioni del condannato. Ora un altro giudice ha dato parere positivo, reputando che i contatti con l’esterno, affiancati da incontri con esperti e percorsi specifici, possano favorire la rielaborazione psicologia necessaria a far emergere il senso di responsabilità. «Il primo giudice aveva negato la misura perché Stasi non ha mai ammesso nulla. Altri Tribunali non la concedono se non risarcisci e non c’è un pentimento. Ciò che è avvenuto accade solo a Bollate e per i detenuti mediatici», sostiene l’avvocato Gianluigi Tizzoni, fin dal primo giorno al fianco dei Poggi. La volontà di risarcimento c’è, nel 2018 Stasi ha raggiunto in sede civile con la famiglia di Chiara una transazione che lo impegna a versare 700 mila euro, metà già liquidati e metà promessi con detrazioni mensili sugli stipendi del lavoro prima in carcere e poi fuori. «Questo aspetto è marginale, non è quello che ci interessa», sottolinea Rita Preda, rimarcando che dall’allora fidanzato della figlia non sia mai arrivata una parola di pentimento. «Le scuse non le ha mai fatte: niente, niente, niente», ripete sconfortata.
GIUSTIZIA RIPARATIVA
Stasi si è sempre proclamato innocente, afferma Tizzoni, «non solo non riconosce la condanna, e questo è un suo diritto, ma nel corso degli anni ha messo in atto iniziative non altrettanto legittime». In tema di accesso al lavoro esterno la giurisprudenza è elastica, la Cassazione in alcune occasioni ha stabilito che l’ammissione di responsabilità non è necessaria, tuttavia è «suggestivo che la valutazione sul punto cambi da un Tribunale all’altro, così come non siano stati avvertiti i familiari», dice il legale. «In un’ottica di giustizia riparativa, sarebbe stato un bel segnale tenere conto della vittima, di una madre e di un padre che ancora la piangono e che avrebbero potuto trovarsi accanto, senza alcun preavviso, l’assassino della figlia». Per Giada Bocellari, avvocato di Stasi, il lavoro del suo assistito è un’inutile polemica: «Ha il diritto di pensare al suo futuro, di ricostruirsi una vita in pace, senza dover essere riprocessato», rimarca. «Stasi non è speciale, è una cosa normale che fa parte del programma di trattamento. Lo dice la Costituzione che la pena ha una funzione rieducativa, vale per tutti, non vedo la particolarità di questa situazione. Il fatto che lui abbia sempre negato gli addebiti rimane un suo diritto anche in fase esecutiva, diritto insindacabile che non può essere utilizzato alla base di motivazioni che rigettino programmi trattamentali».