il Fatto Quotidiano, 27 maggio 2023
Tutti gli articoli di Daniele Luttazzi contro Fabio Fazio
Com’era prevedibile, la dipartita di Fabiofazio dalla Rai è stata lamentata dalle prefiche pidine come le Coefore la morte di Agamennone: “Un nuovo editto bulgaro!”. Al che il de cuius ha umilmente dichiarato: “Nessun vittimismo e nessun martirologio: detesto entrambe le forme di autocommiserazione”. Implicando però che ne avesse motivo (ancora non si sapeva cos’era successo). Che detesti il vittimismo, peraltro, fa sbellicare. Il giorno dopo l’editto bulgaro (il giorno dopo!) usò Repubblica per infilarsi fra le vittime della Rai berlusconiana: “Non sono gradito”. Occhiello: “Il conduttore attacca: ‘C’è stato un veto sul mio nome’” (bit.ly/3WdGqCe). Fiorello l’aveva invitato a Stasera pago io (Rai1), ma la partecipazione era saltata. “Scelte tecniche”, spiegò Giampiero Solari, capo-autori del programma. “La nostra è stata una scelta libera e soltanto artistica. Non c’è alcuna connessione tra le parole di Berlusconi sulla Rai e l’esclusione di Fazio. La puntata era già definita, tutto qui” (bit.ly/3BBT18J). Fabiofazio: “Probabilmente non sono una presenza gradita in questo momento. Avrei espresso la mia assoluta solidarietà a Biagi, Santoro e Luttazzi”. Fabiofazio era fuori dalla Rai, essendo andato a cercare fortuna a La7. E l’aveva trovata: il suo show era stato cancellato a tre giorni dalla messa in onda e lui aveva intascato 28 miliardi di lire tra penali e buonuscite. Pare che il programma costasse troppo. Ammazza, più di 28 miliardi di lire? Chi faceva gli stacchetti, i Rolling Stones? Saccà, direttore generale della Rai, gli diede dell’ingrato (bit.ly/3MAPQDx): “Fazio deve tanto a Mamma Rai. Anche grazie a noi è diventato famoso e molto ricco. Aveva 19 anni quando lo abbiamo lanciato a Pronto Raffaella?, e, a tappe forzate, quindici anni dopo, gli abbiamo consegnato il massimo, il Festival di Sanremo. E ora?”. Repubblica: “Ora Fazio è furioso perché gli avete negato perfino una comparsata al programma di Fiorello”. Saccà: “La Rai avrebbe avuto tutto il diritto di chiudere la porta a Fabio. Voglio dire: non siamo mica il Grand Hotel, dove si entra e si esce a piacimento. Un giorno lui se ne è andato a La7, con tanto di messaggino di addio sul cellulare del presidente dell’epoca. E noi siamo rimasti in brache di tela” (Ops, la narrazione dei “40 anni in Rai” scricchiola). “Malgrado tutto questo, io ho dato un totale via libera alla sua partecipazione da Fiorello convincendo anche chi, esagerando, lo considera un traditore della Rai. Agli autori di Fiorello ho fatto una sola preghiera, di non dargli troppi soldi. Mi sono raccomandato: più 10.000 che 20.000, per ragioni di economia. Nessun veto politico, però, né interno né esterno. Siamo seri. Ci sono tanti finti martiri, in giro. Mi dispiace che Fabio abbia voluto iscriversi in questa lista” (Finti martiri una sega). All’epoca del programma abortito, Fabiofazio se n’era uscito con un’altra chiosa vittimistica, sempre su Repubblica (bit.ly/3OftVUK): “C’è una curiosa coincidenza per cui il talk show è un genere che in Italia non si riesce a fare su nessuna rete” (Avevano appena chiuso Satyricon). Nel 2003 portò quindi in Rai un programma basato sul meteo (Che tempo che fa); ma non funzionava, così l’anno dopo ne cambiò la formula, adottando quella di Satyricon, che tanto non c’era più; e poté continuare, beato lui, per 20 anni, ricevendo pure l’encomio di un ospite eccellente, Berlusconi: “Complimenti per la trasmissione. Le auguro di restare in video per qualche decennio ancora” (La volta prima, al suo elogio di Dell’Utri, Fabiofazio non aveva fiatato: bit.ly/3pUfEme. Servizio pubblico). E siccome Salvini lo stava criticando (ma era stata la Rai presieduta da Foa, con Salvini al governo, a rinnovargli il contratto), Fabiofazio, che detesta i vittimismi, replicò: “Insomma, ho qualche dubbio, ma comunque grazie infinite” (bit.ly/42OK7R6).
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Riassunto della puntata precedente: Fabiofazio, annunciando il suo addio alla Rai, ha detto e scritto di detestare vittimismi e martirologi, implicando che ne avesse motivo. In realtà sul vittimismo ci ha marciato parecchio. Abbiamo visto come, grazie alla sponda amica di Repubblica, il giorno dopo l’editto bulgaro provò a infilarsi fra gli epurati (Repubblica continuò a scrivere dell’editto bulgaro contro “Biagi, Santoro e Fazio” finché Antonio Ricci non derise pubblicamente il falso storico, e allora presero a scrivere dell’e d i tt o bulgaro “contro Biagi e Santoro”, grazie mille). Sulle sue tattiche da chiagnefotte è illuminante l’intervista concessa al Fa t t o nel 2020 (b i t. l y /4 1 Y k P P g ), quando il Cda Rai approvò una norma sacrosanta contro i conduttori-produttori, lo strapotere dei manager di spettacolo, e i compensi stratosferici. Fabiofazio: “Adesso basta. Trovo ogni limite superato. Qui entriamo nel campo dell’inaccetta – bile: da tempo mi viene riservato un trattamento che non ha eguali né precedenti. Tre anni fa, quand’ero già serenamente avviato altrove e la Rai mi chiese di restare, mi scappò detto che la politica non doveva più entrare nella tv. Da allora iniziò la guerra, perché quella mia frase fu letta come una questione personale. Uno stillicidio continuo, un linciaggio senza eguali né giustificazioni.” Fq: “Aveva un accordo con Discovery”.“Non voglio specificare, per policy con la controparte”.“Lo diciamo noi”. “(Sorride) Quando sono rimasto, l’intento dell’azien – da era di portarmi su Rai1. Su Rai1 abbiamo coperto dalle 20.30 a mezzanotte per un costo a puntata di 300 mila euro per la mia società, più 100 mila di costi generali Rai.” “400 mila complessivi…” “Sì, ma di solito in quella fascia va una fiction di due ore, a una media di 750 mila euro l’o ra”. Questa classica fuffa vittimistica di Fabiofazio viene utilizzata tuttora dai giornalisti amici che lo difendono, sicché mi tocca riprendere un mio vecchio discorso: Fabiofazio finge di non sapere che le fiction Rai fanno guadagnare molto di più del suo show perché fanno quasi il doppio del suo s h a re e perché, a differenza del suo show, vengono vendute nel resto del mondo. Fabiofazio: “Pri – ma del mio arrivo, Rai1 faceva in media il 15,19%: con me il 16,3 il primo anno e il 15,49 il secondo”. Altra fuffa vittimistica: si riferisce al dato medio, invece che al dato del prime time, la sua fascia oraria; così evita di dire che lo s h a re atteso per il suo programma era del 18%, in linea con lo sh are d el prime time di Rai1, che era del 18,9% (b i t. l y /4 2 K H U 9 r ). Fabiofazio: “Poi la Corte dei conti ha dimostrato che il programma costa meno della metà di qualunque altro varietà della stessa fascia oraria”. Altra fuffa vittimistica. La Corte dei conti scrisse che il costo-puntata del suo programma era “meno della metà della media dei programmi di intrattenimento del servizio pubblico”. Ma la Rai, da cui la Corte dei conti aveva attinto le informazioni, considera intrattenimento anche le fict ion: hanno costi notevolmente superiori a un talk-show, che in paragone sembra regalato. Fabiofazio, pur detestando il vittimismo, continuò: “Solo nel 2018-19 ho subìto 120 attacchi dall’ex ministro dell’Interno (Salvini, ndr). E dopo due anni, il trasloco su Rai2. Sono stufo di dovermi difendere per il mio lavoro. Anche perché mi dicono che il mio programma è interamente coperto dalla pubblicità. Ho chiesto i dati, invano. Ma il listino Sipra dà gli spot durante Che tempo che faa 50 mila euro ogni 15 secondi, e io ne ho 18 minuti”. Altra fuffa vittimistica. Innanzitutto, finché la Rai non pubblicherà dati ufficiali sui costi del programma di Fabiofazio, ogni discussione in merito è campata in aria; e dunque anche ogni difesa. Soprattutto: è vero che il programma si ripagava con la pubblicità, come “gli dicevano”? (2. Continua)
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Riassunto delle puntate precedenti: negli anni, Fabiofazio ha infarcito di balle vittimistiche il racconto del suo rapporto lavorativo con la Rai (per esempio qui bit.ly/41YkPPg, qui bit.ly/3WdGqCe, qui bit.ly/3BH2gEE, qui bit.ly/3BK3PBO e qui bit.ly/3Mflh60). Annunciato il passaggio alla Nove, i giornalisti amici (pidini e/o scuderia Caschetto e/o gruppo Gedi e/o ex collaboratori di Fabiofazio) hanno subito strumentalizzato la vicenda per fare propaganda anti-governativa, evocando a sproposito l’editto bulgaro; e per sminuire le critiche al programma costosissimo hanno ripetuto in coro che si ripagava con la pubblicità. Ma è vero? Chi lo dice? Al Fatto, nel 2020, Fabiofazio affermò: “Mi dicono che il mio programma è interamente coperto dalla pubblicità”. Questo “mi dicono” è un capolavoro di fuffa (fa pendant con quello escogitato dal Corriere della Sera la settimana scorsa: “Chi sa di conti assicura che a fronte di una spesa di 450mila euro gli incassi arrivano al milione”. Chi sa di conti chi? Dove sta scritto?). Fra quanti hanno riportato per l’ennesima volta lo schemino paraculo di Fabiofazio (che nell’ultima versione è: “Il programma costa 450mila euro, 15 secondi di pubblicità costano 40mila euro. Considerando 16 minuti di pubblicità, si fa presto a comprendere costi e ricavi”), solo Francesca Petrucci ha avuto l’onestà intellettuale di puntualizzare che “a onor del vero, tuttavia, bisogna aggiungere che non si hanno dati precisi dai bilanci Rai. L’azienda, infatti, non comunica gli introiti dei singoli programmi. Quello che fa è rendere noto un conto unico – dove fa rientrare tutti i guadagni – che fa capo alla voce ‘Rai Pubblicità’. Pertanto è impossibile fare un’analisi dettagliata e precisa” (bit.ly/3MIWHff). Affrontiamo dunque la nebbia. Michele Anzaldi, da segretario della Commissione di Vigilanza Rai, spiegò: “La Corte dei conti parla di un costo a puntata di 409.700 e un incasso stimato di 615.000 con uno share del 18-20%”. Ora: Che tempo che fa su Rai1 aveva uno share medio del 15%, su Rai2 del 9%, su Rai3 dell’11,8%. Anzaldi: “Ma i costi sono rimasti gli stessi. Se la Corte dei Conti si pronunciasse oggi, come potrebbe sostenere che il programma non sia in perdita?”. E c’è un altro elemento da considerare, il più importante e negletto. Lo chiarì Business Insider: “A differenza delle televisioni commerciali, la Rai ha per legge un doppio limite all’affollamento pubblicitario: uno orario, fissato al 12%; e un altro settimanale al 4%, per il quale però si devono considerare Rai1, Rai2 e Rai3 nel loro insieme. In sostanza la media settimanale delle tre reti non può superare i 144 secondi l’ora. Supponendo che la concessionaria della tv di Stato faccia il pienone per le tre ore di programmazione domenicale di Che tempo che fa, bisognerebbe di fatto azzerare le inserzioni pubblicitarie per altre 9 ore: per andare in pareggio, quindi, la raccolta di Fazio dovrebbe coprire almeno i costi di 12 ore di trasmissione. Un utile di 165mila euro (615-450) andrà spalmato su altre nove ore”. Francesco Siliato, analista dello Studio Frasi, aggiunse: “È assai improbabile che una trasmissione Rai possa ripagarsi con la pubblicità. Oggi oltre metà del canone ripaga i mancati ricavi pubblicitari”. Riferendosi all’edizione 2017 (Rai3) di Che termpo che fa, la Rai svelò che il costo del programma di Fabiofazio era coperto dalla pubblicità solo per il 54% (bit.ly/3okfEeQ). Il Fatto Quotidiano scrisse (cifre mai smentite) che col contratto 2017-2021 i costi del programma di Fabiofazio lievitavano a 73 milioni di euro. Per un programma di interviste! (E oggi nessuno ricorda la spesa a fondo perduto che la Rai sostenne nel 2017 per il nuovo studio faraonico del programma: 1,8 milioni di euro dei contribuenti. “Per sistemare un capannone preso in affitto”, specificò Anzaldi).
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Riassunto delle puntate precedenti: da vent’anni Fabiofazio infarcisce di balle vittimistiche il racconto del suo rapporto con la Rai, dove peraltro ha continuato a lavorare bello paciarotto tutto il tempo. Resta da glossare lo storytelling capzioso con cui i suoi amici giornalisti (pidini e/o scuderia Caschetto e/o gruppo Gedi e/o ex collaboratori di Fabiofazio) hanno strumentalizzato il suo passaggio alla Nove evocando a sproposito l’editto bulgaro per fare propaganda anti-governativa. (Consegniamo agli annali del giornalismo italiano anche l’altra anomalia: nessuno dei giornalisti tv che si sono occupati del caso – Gruber, Formigli, Floris, Gramellini, Saviano – ha avvisato l’uditorio di far parte dell’agenzia di Beppe Caschetto, la stessa di Fabiofazio: bit.ly/3My0evI. E qui, oltre al conflitto di interessi, andrebbe segnalata una stortura di cui nessuno pare accorgersi: ci sono giornalisti che fanno parte di agenzie di spettacolo. Questa prassi dovrebbe essere vietata, per evitare che artisti e giornalisti della stessa agenzia finiscano ospiti, in via privilegiata, in programmi tv di artisti e giornalisti della stessa agenzia, a scapito di chi non ne fa parte: è una forma di concorrenza sleale. Questo dumping è anche pubblicità ai privilegiati: alla lunga rende campioni televisivi pure le scartine, e solo perché l’agente potentone può piazzare, dove e quando vuole, chi vuole; in Rai, come se non bastasse, tutto a spese dei contribuenti. Sono anni che lo dico, ma è come parlare al vento: adesso capisco come si sentono quelli di Report). A Piazzapulita, Formigli (Caschetto) ha chiesto l’opinione di Michele Serra (pidino, Gedi, ex autore e monologhista di Che tempo che fa, e amico di Fabiofazio), dopo un montaggio di frasi salviniane anti-Fazio a corroborare la narrazione falsa del martirio politico (bit.ly/3BNa9sf). Serra dice: “Una prima condizione per un professionista è lavorare serenamente, e lui non era più nella condizione di farlo. Al di là di questo, non si dice abbastanza che ci sono persone che non sono state collocate dai partiti nella televisione pubblica; che hanno fatto il loro percorso in tv per meriti professionali, perché hanno fatto il loro lavoro. Possono piacere o non piacere, ma questo sono: questo era Biagi, questo era Luttazzi, questo era Santoro, questo è Fazio. Si sono messi lì da soli, nessuno li ha messi lì per nomina partitica. Ci sono state due onde anomale nella storia del servizio pubblico. La prima è quella del famoso editto bulgaro di Berlusconi, che non aveva molte simpatie per le persone che ha fatto tacere; e la seconda è questa ondata. Le due ondate sono state in coincidenza di governi molto di destra”. Ma questo paragone è forzato: nessuno ha fatto tacere Fabiofazio. Peccato che Formigli non gli abbia obiettato: “Fabiofazio aveva dalla sua il Pd e Berlusconi e Conte e Renzi, oltre a Repubblica, Stampa, Corriere della Sera ed Espresso: quali condizioni non c’erano più per lavorare serenamente in Rai? Il nuovo governo Meloni? A Pajetta che se ne andava da una Tribuna politica perché ‘qui c’è Almirante, che è un nemico’, questi replicò: ‘E lei di fronte ai nemici scappa?’”. Formigli avrebbe sollevato un tema importante: Fabiofazio ha detto che se ne andava perché non è “un uomo da tutte le stagioni”; dunque se ne va proprio adesso che la Rai avrà più bisogno di voci alternative alla destra? Questo vale anche per le dimissioni di Lucia Annunziata (pidina, agenzia Caschetto, ex Gedi, pure lei “non ci sono le condizioni”). Legittimo che Fabiofazio se ne vada in una tv privata dove potrà fare il conduttore-produttore senza i paletti della tv pubblica, ma in tal caso la sua uscita dalla Rai non è quella, sofferta, dell’epurato politico, come lui e i suoi amici giornalisti hanno insinuato per giorni. Domani vedremo in dettaglio come. (4. Continua)
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Riassunto delle puntate precedenti: dopo le balle vittimistiche di Fabiofazio, stiamo glossando lo storytelling capzioso con cui i suoi amici giornalisti (pidini e/o scuderia Caschetto e/o gruppo Gedi e/o ex collaboratori di Fabiofazio) hanno strumentalizzato il suo passaggio alla Nove evocando a sproposito l’editto bulgaro per fare propaganda anti-governativa. Da Formigli (bit.ly/3BNa9sf), Serra ha detto: “Va chiarito che ci sono persone che in televisione lavorano perché è il loro lavoro, non perché ce le ha messe qualcuno”. Certo; ma se da Floris (Caschetto) vedi Luca & Paolo (Caschetto), e se da Fabiofazio (Caschetto) vedi Fabio Volo e Brignano (entrambi Caschetto), non è solo “perché è il loro lavoro”. Né va dimenticata l’importanza degli appoggi politici per RESTARE in tv, una volta che ci arrivi col tuo lavoro: c’è chi viene epurato da Berlusconi e da quel momento trova ostacoli ovunque; e chi, non inviso a Berlusconi e al Pd, può restare in Rai per decenni, e a ogni scadenza di contratto giocare pure al rialzo, minacciando altrimenti di andare altrove, lui che può farlo: finché a un certo punto, dopo essersi goduto i contratti stratosferici dell’emittente pubblica, se ne va, firmando con una rete privata un contratto ancor più stratosferico, col contratto Rai a fare da vantaggioso precedente. Formigli: “L’obiezione della destra di governo è che l’amministratore delegato di un’azienda ha il diritto di cambiare la linea editoriale di quell’azienda”. Ma non è il caso di Fabiofazio, che se n’è andato sua sponte. Serra: “Non c’è alcun dubbio. Infatti non è che bisogna fare la lagna e dire ‘Ahi, la censura! Ahi, la mordacchia!’. Però anche nel sistemare l’azienda a propria immagine e piacimento bisognerebbe tenere conto di alcuni criteri aziendali. Se una trasmissione ha molto successo, un’azienda normale la protegge”. E come potrà proteggerla, se l’artista-produttore-proprietario della trasmissione, un mese prima che gli scada il contratto, annuncia di aver fatto un contratto con un’altra azienda? Serra: “Non la chiude”. Ma la Rai non ha chiuso Che tempo che fa. Serra: “Adesso speriamo che i successori di Che tempo che fa facciano lo stesso share, 12% su Rai3”. Bene, ma dandogli il tempo e gli spazi che ha avuto Fabiofazio: 40 anni in Rai, e 4 edizioni del festival di Sanremo (Sicuro sicuro, poi, che un Bonolis non farebbe più share?). Formigli: “Abbiamo appreso che ogni puntata di Fabio Fazio, che costava 450 mila euro, ne incassava circa 1 milione”. Ma sono dati campati in aria, e abbiamo visto perché. Formigli: “Fuortes non ha firmato il contratto”. Ma Fabiofazio se n’è andato un mese prima della scadenza contrattuale, e prima che s’insediasse il nuovo ad Rai; e la bozza del nuovo contratto che questi avrebbe presentato in Cda il 25 maggio prevedeva un rilancio del programma su Rai1; né va dimenticato che, per contratti come quello con la Nove, servono mesi di trattative, e che, per sua stessa ammissione (bit.ly/41YkPPg), Fabiofazio si stava avviando “serenamente” verso Discovery già anni fa, prima dell’ultimo rinnovo di contratto. Appena Fabiofazio ha lasciato la Rai per fare più soldi altrove (come lasciò l’Ordine dei giornalisti per fare la pubblicità Tim: bit.ly/3ouRjmI), la stampa amica si è prodigata a elevarne il gesto agitando i turiboli del fumus persecutionis (con Fabiofazio a inzigare: “La politica tutta si sente legittimata dal risultato elettorale a comportarsi da proprietaria nei confronti della cosa pubblica con pochi riguardi per il bene comune e con una strabordante ingordigia”); ma la Rai del democristiano Roberto Sergio ha rinnovato Report e la Annunziata, dunque l’accusa di epurazione politica non regge proprio. A parte che Fabiofazio conosce benissimo Sergio, fondatore e dirigente di Lottomatica: per 5 anni il savonese si batté nobilmente contro la ludopatia facendo pubblicità al Lotto (bit.ly/3oy053i). (5. Continua)
Riassunto delle puntate precedenti: dopo le balle vittimistiche di Fabiofazio, stiamo glossando lo storytelling capzioso con cui i suoi amici giornalisti (pidini e/o scuderia Caschetto e/o gruppo Gedi e/o ex collaboratori di Fabiofazio) hanno strumentalizzato il suo passaggio alla Nove evocando a sproposito l’editto bulgaro per fare propaganda anti-governativa. Da Formigli (bit.ly/3BNa9sf), Serra ha detto: “Va chiarito che ci sono persone che in televisione lavorano perché è il loro lavoro, non perché ce le ha messe qualcuno”. Certo; ma se da Floris (Caschetto) vedi Luca & Paolo (Caschetto), e se da Fabiofazio (Caschetto) vedi Fabio Volo e Brignano (entrambi Caschetto), non è solo “perché è il loro lavoro”. Né va dimenticata l’importanza degli appoggi politici per RESTARE in tv, una volta che ci arrivi col tuo lavoro: c’è chi viene epurato da Berlusconi e da quel momento trova ostacoli ovunque; e chi, non inviso a Berlusconi e al Pd, può restare in Rai per decenni, e a ogni scadenza di contratto giocare pure al rialzo, minacciando altrimenti di andare altrove, lui che può farlo: finché a un certo punto, dopo essersi goduto i contratti stratosferici dell’emittente pubblica, se ne va, firmando con una rete privata un contratto ancor più stratosferico, col contratto Rai a fare da vantaggioso precedente. Formigli: “L’obiezione della destra di governo è che l’amministratore delegato di un’azienda ha il diritto di cambiare la linea editoriale di quell’azienda”. Ma non è il caso di Fabiofazio, che se n’è andato sua sponte. Serra: “Non c’è alcun dubbio. Infatti non è che bisogna fare la lagna e dire ‘Ahi, la censura! Ahi, la mordacchia!’. Però anche nel sistemare l’azienda a propria immagine e piacimento bisognerebbe tenere conto di alcuni criteri aziendali. Se una trasmissione ha molto successo, un’azienda normale la protegge”. E come potrà proteggerla, se l’artista-produttore-proprietario della trasmissione, un mese prima che gli scada il contratto, annuncia di aver fatto un contratto con un’altra azienda? Serra: “Non la chiude”. Ma la Rai non ha chiuso Che tempo che fa. Serra: “Adesso speriamo che i successori di Che tempo che fa facciano lo stesso share, 12% su Rai3”. Bene, ma dandogli il tempo e gli spazi che ha avuto Fabiofazio: 40 anni in Rai, e 4 edizioni del festival di Sanremo (Sicuro sicuro, poi, che un Bonolis non farebbe più share?). Formigli: “Abbiamo appreso che ogni puntata di Fabio Fazio, che costava 450 mila euro, ne incassava circa 1 milione”. Ma sono dati campati in aria, e abbiamo visto perché. Formigli: “Fuortes non ha firmato il contratto”. Ma Fabiofazio se n’è andato un mese prima della scadenza contrattuale, e prima che s’insediasse il nuovo ad Rai; e la bozza del nuovo contratto che questi avrebbe presentato in Cda il 25 maggio prevedeva un rilancio del programma su Rai1; né va dimenticato che, per contratti come quello con la Nove, servono mesi di trattative, e che, per sua stessa ammissione (bit.ly/41YkPPg), Fabiofazio si stava avviando “serenamente” verso Discovery già anni fa, prima dell’ultimo rinnovo di contratto. Appena Fabiofazio ha lasciato la Rai per fare più soldi altrove (come lasciò l’Ordine dei giornalisti per fare la pubblicità Tim: bit.ly/3ouRjmI), la stampa amica si è prodigata a elevarne il gesto agitando i turiboli del fumus persecutionis (con Fabiofazio a inzigare: “La politica tutta si sente legittimata dal risultato elettorale a comportarsi da proprietaria nei confronti della cosa pubblica con pochi riguardi per il bene comune e con una strabordante ingordigia”); ma la Rai del democristiano Roberto Sergio ha rinnovato Report e la Annunziata, dunque l’accusa di epurazione politica non regge proprio. A parte che Fabiofazio conosce benissimo Sergio, fondatore e dirigente di Lottomatica: per 5 anni il savonese si batté nobilmente contro la ludopatia facendo pubblicità al Lotto (bit.ly/3oy053i). (5. Continua)
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Riassunto delle puntate precedenti: il programma di Fabiofazio non si ripagava con la pubblicità, tanto meno coi nuovi limiti per l’affollamento pubblicitario in vigore dal 2022: t.ly/FY5l. Passato alla Nove, i giornalisti amici (pidini e/o scuderia Caschetto e/o gruppo Gedi e/o ex collaboratori di Fabiofazio) hanno strumentalizzato la vicenda con lo storytelling capzioso dell’epurazione politica; domenica pure la Littizzetto (Caschetto): “A mezzanotte scatta lo sfratto definitivo”’. Lo strano sfratto di chi se ne va da sé. Floris (Caschetto) a Dimartedì: “Che poi non è il caso di una persona, no?, la questione Fabio Fazio. Anche se guardiamo come l’avevano, diciamo, preannunciato nei mesi scorsi, l’approccio nei confronti di un conduttore della Rai, Meloni e Salvini” (bit.ly/3OEupUJ). I due filmati, ovviamente, non “preannunciano” nulla: come potevano sapere, Meloni e Salvini, che Fabiofazio avrebbe deciso di andarsene alla Nove? (La Nove gli ha offerto un contratto più stratosferico di quello Rai, pur sapendo che da loro anche un campione come Crozza fa uno share medio del 5,6%. Scrivere, come ha fatto Open, che Fabiofazio “porta in dote” alla Nove 2,4 milioni di spettatori e uno share dell’11,8%, è una stupidaggine: come ricorda Francesco Siliato, analista di Studio Frasi, “il trasferimento di un conduttore non comporta un automatico trasferimento di pubblici da un canale all’altro”). Poi Floris mostra un tweet di Salvini e dice: “E quando non si trova l’accordo, o meglio, Fabio Fazio trova l’accordo con la rete concorrente e esce dalla Rai, Matteo Salvini rivendica, dice: ‘Belli ciao’. Ciao, andatevene”. Ma “ciao, andatevene” è un’aggiunta tendenziosa di Floris, a suggerire la cacciata. Quindi imbocca Bersani: “Cosa rappresenta, dal punto di vista dell’immaginario, non il caso in specie, ma dal punto di vista dell’immaginario: cosa succede?”. Sta succedendo che si vuole avvalorare l’idea di un’epurazione politica che non c’è stata. Bersani: “Mah, succede un’idea – sommiamo questa vicenda ad altre vicende che sono incommentabili, nelle ultime settimane: di queste trattative che hanno messo assieme la Rai, le società di Stato e, udite udite, per la prima volta che io ricordi, i corpi dello Stato: polizia e guardia di finanza. Nell’immaginario, questo vuol trasmettere un’idea: il comando”. Ma queste trattative non c’entrano nulla con Fabiofazio, che se n’è andato sua sponte per soldi. Su Twitter anche Saviano (Caschetto, Gedi, ed ex collaboratore di Fabiofazio) accredita la falsa tesi del killeraggio politico (bit.ly/431LPi8). L’incipit è tutto un programma: “‘Fabio Fazio lascia la Rai’, scrivono. Non è così: Fabio Fazio viene cacciato dalla Rai. Questa è la verità”. No, questa è la balla. Poi Saviano ringrazia perché da Fazio ha potuto raccontare di mafia, Leo Messi, Wisława Szymborska, Anna Politkovskaja, Piero Welby. E aggiunge: “Cacciare Fabio Fazio dalla Rai significa non riuscire a dare il giusto peso al racconto. Siamo fatti delle parole che utilizziamo, siamo fatti dei racconti che facciamo, siamo i punti di vista che sposiamo”. Ma che Fabiofazio sia stato cacciato non è un punto di vista da sposare: è una balla. Quanto ai “racconti” di Saviano, ricordo quello su Israele “sogno di libertà e di accoglienza”, e la replica di Vittorio Arrigoni (bit.ly/3MpwUaF): “Nelson Mandela sono anni che denuncia il razzismo di Israele contro gli arabi israeliani e contro le minoranze etniche”. Vittorio “Vik” Arrigoni (bit.ly/43irCFf), un pacifista dell’International Solidarity Movement (bit.ly/3OB1GQk), raccontava sul manifesto cosa accadeva a Gaza: “Caro Saviano, sto parlando di Nelson Mandela, non di Fabio Fazio”. Fabiofazio che, nel suo programma, invitava i Saviano, non gli Arrigoni. Sfido la Rai a prendere me al posto di Fabiofazio. Il programma lo conosco. Vengo gratis. Poi invito il papa. (6. Fine)