il Fatto Quotidiano, 27 maggio 2023
Lo storico Kertzer: “Pio IX rapì un bambino ebreo”
Protagonista ignota, tra i tornanti della storia d’Italia, c’è una serva minorenne di nome Anna Morisi, detta “la Nina”. Analfabeta, poverissima e cattolica, Anna presta servizio presso i Mortara, una modesta famiglia di commercianti ebrei. Siamo a Bologna, la seconda città dello Stato Pontificio, corre l’anno 1858.
La sliding door che cambia il corso del Risorgimento si compie la notte del 23 giugno: la gendarmeria bussa alla porta di Momolo Mortara e di sua moglie Marianna. Il maresciallo Pietro Lucidi, con cortesia formale e percepibile imbarazzo, spiega le ragioni della visita: è lì per prelevare un bambino di sei anni, il penultimo degli otto fratelli. “Vostro figlio Edgardo è stato battezzato – scandisce –. Ho ricevuto l’ordine di portarlo via con me”. Era stata “la Nina”, molto tempo prima: ancora in culla, Edgardo aveva avuto la febbre per qualche giorno e la giovane serva si era convinta che fosse sul punto di morire. Il verduraio Cesare Lepori le aveva suggerito di battezzarlo, affinché la sua anima innocente non finisse nel limbo. Di nascosto dai genitori, gli aveva versato sulla fronte qualche goccia d’acqua, sussurrando una formula a memoria, con il segno della croce. Sei anni più tardi, la storia sarà scoperta dall’inquisitore del Sant’Uffizio bolognese, Pier Gaetano Feletti. Finirà per interessare l’intera gerarchia pontificia, fino a Papa Pio IX: si stabilisce, in ossequio al diritto canonico, che Edgardo Mortara dev’essere strappato ai suoi genitori, portato a Roma, educato e cresciuto come un cattolico nella Casa dei Catecumeni.
È l’inizio di un’epopea che sconvolgerà la vita di una famiglia, il destino di una nazione e gli equilibri di un continente. Una saga messa in scena da Marco Bellocchio nel film Rapito, nelle sale italiane dopo la presentazione a Cannes. Prima ancora, l’aveva ricostruita magistralmente lo storico statunitense (e premio Pulitzer) David Kertzer, nel libro The kidnapping of Edoardo Mortara (tradotto da Rizzoli: Prigioniero del Papa Re).
“I rapimenti di bambini nei ghetti ebraici – spiega Kertzer – erano abbastanza frequenti già molto prima del caso Mortara. Stavolta però il contesto è diverso, cambia tutto: siamo nel momento decisivo del Risorgimento, il potere temporale è agli sgoccioli. Bologna è una città da tempo insofferente al giogo papale, già nel 1848 si era ribellata e aveva cacciato i suoi delegati per una breve stagione. La comunità ebraica, per la prima volta, ha la possibilità di organizzarsi e reagire”.
Sono anche gli anni della proliferazione della stampa liberale: grazie ai giornali italiani ed europei il caso Mortara diventa uno scandalo internazionale. “E si trasforma in uno strumento politico prezioso per Cavour – aggiunge Kertzer – nel processo di costituzione dello Stato italiano. Anche perché persuade definitivamente Napoleone III della natura anacronistica del governo pontificio: le truppe francesi erano l’ultima garanzia del potere papale a Roma”. Come scrive lo storico nel suo libro, non c’era un solo soldato transalpino che non conoscesse la storia del bimbo ebreo rapito per volontà del Papa. “Quella di Pio IX è una figura davvero controversa. Era un uomo capace di grande ironia e improvvisi scatti d’ira. Diventa pontefice nel 1846 succedendo a Gregorio XVI, un autentico reazionario: all’inizio i liberali sono convinti che Pio IX possa essere un modernizzatore, ma dopo la rivoluzione del ’48 cambia tutto. Quando torna dall’esilio è un papa diverso, involuto, convinto dell’irriformabilità della Chiesa. Il suo atteggiamento nel caso Mortara è inflessibile. Anche il suo segretario di Stato, il cardinale Antonelli, è consapevole che quell’ostinazione avrebbe causato un disastro, ma Pio IX non arretra. Il suo Non possumus e poi il dogma dell’infallibilità papale sono gli ultimi atti di un potere ormai debolissimo. Anche il pontefice, in fondo, si rendeva conto della situazione. Un giorno dice a Edgardo: ‘Caro figlio mio, quanto mi sei costato…’”.
Questo è il mistero più grande, o forse solo l’aspetto più struggente di una storia familiare che si frantuma nel gigantesco mosaico della Storia: Edgardo Mortara, manipolato e imbevuto della dottrina cattolica sin dal sesto anno di vita, blandito dal Papa in persona, non tornerà mai più dai genitori, che per anni hanno continuato a combattere per riportarlo a casa. Anche da adulto, “libero” in teoria, resterà fedele ai suoi rapitori, alla Chiesa di Roma. Diventa sacerdote, adotta il nome di Pio e la missione di portare nel mondo il Vangelo che gli era stato imposto. “L’autobiografia di Edgardo pubblicata da Vittorio Messori – spiega lo storico americano – non è un testo affidabile: ci sono parti originali rimosse e paragrafi interi aggiunti dal curatore. Non sappiamo fino in fondo cosa sia successo dentro Edgardo, ma possiamo immaginarlo: per un bambino era impossibile resistere a una pressione del genere”.