La Stampa, 26 maggio 2023
Parla Franco Cardini
Professor Franco Cardini, da insigne storico lei venne chiamato nel cda Rai dell’era Moratti, cosa pensa delle nomine attuali?«Troppa lottizzazione. Meloni non si fida dei suoi, figurarsi degli altri. L’occupazione di sedie e strapuntini è un sistema verso cui il governo non mostra discontinuità. Il fatto poi che la destra non abbia personalità sufficienti è comprensibile, perché per tre quarti di secolo è stata considerata appestata e non ha maturato molti elementi politico-intellettuali».Che Rai ci vorrebbe?«Ricordo sempre che la tv francese e quella tedesca hanno fatto il canale Arte insieme, mentre noi nulla. Non bastano Paolo Mieli e Corrado Augias per educare le masse. Sarebbe ora di pensare a un progetto con dei giovani storici, e lo dico da 82enne che non smania di apparire».Qualche nome?«Oltre a dei grandi come Alessandro Barbero e Massimo Cacciari, vorrei vedere all’opera Antonio Musarra, Francesca Roversi Monaco e Barbara Frale».Ha visto che Lucia Annunziata si è dimessa in polemica con le scelte del governo?«Mi chiedo se condividesse le modalità dei governi precedenti, questo non ce l’ha ancora detto. La sua lettera di dimissioni è coerente con la sua personalità seria e preparata, ma spero non serva a mettere le basi per un rientro prima o poi».Per il direttore del Salone del libro Lagioia l’egemonia culturale della sinistra è un’ossessione della destra, è così?«È anche un’ossessione della sinistra imposta all’opinione pubblica, ricordo il film La terrazza di Ettore Scola».Eppure mai come ora si è vista tanta ricerca di spazi...«Con i risultati che vediamo. Chi sono gli intellettuali di destra? Buttafuoco è un caro ragazzo filoislamico, ma non basta. Bruno Guerri sta bene solo al Vittoriale. Veneziani è un bravo giornalista, non un intellettuale. Con loro si va poco lontano. L’egemonia della sinistra, a sua volta egemonizzata dal Pci, era di un altro livello».Che consigli può dare?«La destra esca dal recinto e dia spazio alla società civile, agli scienziati e agli artisti meritevoli. Ci sta provando, ma in modo maldestro».C’è un fascista in fondo al cuore di tanti democratici, come ha detto Recalcati a proposito del caso Roccella?«Nel mio di sicuro, ma io non sono democratico. Almeno non nella maniera ideologica o teologica che si porta».Si sente per caso aristocratico?«Non siamo ai tempi di Pericle o Cesare, quando sarei stato dalla parte dei plebei. Oggi mi definisco un cittadino che crede nelle leggi e pensa che siano migliorabili. E dopo essere stato un missino poco convinto, europeista non nazionalista, dagli anni ’60 sono un cattolico, socialista ed europeista, precisamente in questo ordine».Cosa le ha fatto la democrazia?«Il sistema rappresentativo è diventato elitario e dominato da tre forze: finanza, economia e tecnologia. Chi le gestisce esprime i politici che poi vengono eletti attraverso un metodo controllabile».Cosa pensa dell’abuso di fascismo e antifascismo?«Il peggio. La mia professione mi impone di mettere in ordine fonti, documenti e definizioni. Da un po’ di tempo invece assisto ad una metafisica della Storia. Per esempio, il fascismo male assoluto è filosofia non un concetto storico. E questo vale anche per l’antifascismo, se si scende dal pero. La verità è che la categoria della violenza è condivisa da gran parte della Storia e così pure quella della dittatura».La Storia italiana del ’900 non invita a una particolare sensibilità?«È proprio quello che intendo. Il fascismo andrebbe maneggiato con cura. Per esempio non è il razzismo, che negli anni ’30 era diffuso e presente anche nella scienza».Il fascismo però è soprattutto il trauma della dittatura. Oggi esiste un rischio autoritarismo?«Il rischio c’è sempre, ma si torna al fatto che l’autoritarismo non è solo fascista».Nella Storia italiana però...«Anche Giolitti non scherzava, i suoi mazzieri erano i predecessori degli squadristi. E su molti temi, non sulla guerra, andava d’accordo con Mussolini».E oggi cosa rischiamo?«La stessa democrazia fondata sulla maggioranza tende all’autoritarismo. Quando ci troviamo di fronte a un problema complesso come la guerra in Ucraina e l’Italia si divide in due, con un Paese reale pieno di dubbi e uno ufficiale che tenta di attutirli o addirittura zittirli, non è una strada che porta alla dittatura?».Quali sono questi dubbi?«Si fa finta di non sapere che la guerra iniziò nel 2014 da una politica della Nato aggressiva, il cui confine è anche una linea di fuoco con missili nucleari».L’invasione dell’Ucraina però l’ha fatta la Russia…«Una risposta alla provocazione della Nato, organizzazione imperialista al servizio del potere Usa, che fa il suo mestiere ma non mi vengano a dire che cerca la pace. E penso il peggio di Putin, ricordo i suoi crimini ceceni per esempio».Come si spiega l’atlantismo di Fdi?«Fa parte di un cammino di regressione iniziato dal Msi, che soffocò l’europeismo nascente nella base. E l’atlantismo prova il loro umorismo quando si chiamano sovranisti. Non dico faccia tosta, perché in Fdi ho tanti amici compresa Giorgia. E lei è tutt’altro che stupida, sa di non essere sovranista infatti si definisce conservatrice».E in quello è credibile?«Mi piacerebbe sapere cosa intende. Forse si rifà ai conservatori inglesi, che sono sempre stati i rappresentanti dell’Occidente perché tenevano in mano le terre governando gli oceani?».Da Churchill a Meloni?«Lei non è fascista, allora cosa vuol conservare? Il Risorgimento? Finì male. La Prima Repubblica? Non credo. Il cattolicesimo, ma non basta. Insomma, solo un lord vuole conservare».Dunque Meloni tenta una specie di trapianto culturale?«Sì, ma allo stesso tempo fa il gioco delle tre carte tenendo insieme sovranismo, nazionalismo, conservatorismo, atlantismo ed europeismo».Ce la farà?«Vedremo, le suggerirei la biografia di Carlo V di Giuseppe Galasso che spiega il suo ruolo di giocoliere tra Sacro Romano Impero e modernità. Lei deve rifondare l’identità italiana, per esempio promuovendo la natalità altrimenti il Paese si estinguerà».L’incertezza sulla riforma presidenzialista è un sintomo di questa confusione?«Non risolverebbe nulla e in Francia o Usa funziona male. Il rischio sarebbe di trovarci a scegliere tra Ilary Blasy e Fedez».