Corriere della Sera, 25 maggio 2023
Le 9 volte di Nanni Moretti a Cannes
Più che un habitué è un campione di presenze al festival (ma Ken Loach, atteso qui domani, lo batte). Nanni Moretti torna per la nona volta da regista a Cannes, forte degli oltre 3 milioni e 700 mila euro incassati dall’ultimo film, Il sol dell’avvenire, uscito il 20 aprile scorso. «Non sapevo come sarebbe stato accolto dal pubblico, c’erano state le reazioni positive nelle proiezioni ristrette. Sapevo che era un film in cui mi mettevo a nudo, e pieno di cose, pur essendo corto. Quello che mi fa più piacere sono stati i commenti di giovani registi che mi hanno detto quanto questo film abbia dato loro energia, fiducia in quello che si può fare con il cinema». Succede anche a lui, cinefilo appassionato oltre che esercente da trent’anni con il Nuovo Sacher. «Quando un’opera mi colpisce mi vien voglia di andare a casa e lavorare».
È arrivato accompagnato dal cast, Margherita Buy, sua alter ego al pari di Silvio Orlando («che purtroppo non c’è, è a Ventotene a girare il nuovo film di Paolo Virzì»), Barbora Bobulova, Mathieu Amalric. Testimonial vivente della venerazione che i francesi riservano al regista romano, Palma d’oro nel 2001 con La stanza del figlio. «Il suo cinema – si infervora l’attore – mi ha fatto sentire meno solo, capire il posto di un bambino nella famiglia, la voglia di armonia, la danza. Il mondo è violento ma si possono raccontare anche disperazione e tenerezza, purché con senso dell’umorismo».
Moretti coglie l’assist e si autocita: «Il film sta vendendo bene all’estero. Puntiamo a 190 Paesi» (gli stessi di Netflix, se non si fosse capito). Ricorda la sua prima volta sulla Croisette, nel 1978 per Ecce bombo. «Avevo una giacca gialla a quadretti presa in un negozio dell’usato, non c’era il tappeto rosso, nessun obbligo di vestito da sera. Era il vecchio Palais, sul lungomare dal lato degli alberghi. La proiezione era all’ora di pranzo, ero con qualche attore, Fabio Traversa, Paolo Zaccagnini. Ricordo la totale inconsapevolezza. Invece con Caro diario — era il 1994, vinse per la miglior regia, ndr —, cambiò molto. Arrivai che film era già stato venduto in Francia, tutto un altro discorso». E altre aspettative. «Clint Eastwood era presidente della giuria. Mi colpì che anni dopo in un’intervista lui si ricordasse ancora della mia Vespa».
In questo film si è preso la libertà di giocare con la storia. «Cosa sarebbe successo se all’epoca dei fatti d’Ungheria del 1956 il Pci si fosse staccato da Mosca? Un giorno nel 2010 feci un’intervista, che conservo in un cassetto, a Pietro Ingrao. Glielo chiesi ma mi guardò facendomi sentire il più ingenuo degli ingenui. Da sempre, da quando ho iniziato a interessarmi di politica con intermittenza, penso a quello snodo. Ci sono registi che buttano in faccia agli spettatori, anzi nella pancia, una realtà orrenda, io questa volta ho preferito sognare una realtà diversa».
Di politica non vuole parlare. «Siamo al festival del cinema. La destra fa la destra, sì, pian piano sono sicuro che la sinistra ricomincerà a fare la sinistra. Mi ha molto colpito in Romagna, in Emilia, la reazione delle persone, la loro intelligenza, la loro energia, la loro mancanza di vittimismo, il buon umore con cui hanno reagito a queste terribili alluvioni».
No comment sulla giuria di Cannes 76 («Non è elegante»), ma ricorda le sue partecipazioni. «Ci sono stato due volte, la seconda da presidente. Mi è sempre piaciuto fare il giurato, ci si diverte». Il prossimo 19 agosto compirà 70 anni. «Due giorni dopo il compleanno inizio le prove dello spettacolo, due pezzi di Natalia Ginzburg, solo come regista. È il mio debutto a teatro, un lavoro che non ho mai fatto. Passerò quei giorni a studiare i testi. Bellocchio? Lo vedo molto operoso, io non ho altre idee per film. Non è previsto per ora».