Corriere della Sera, 25 maggio 2023
Le pagelle agli ospedali italiani
Le aziende ospedaliere, come tutte le aziende, funzionano bene o male a seconda di come sono gestite. Con una differenza però: si occupano di salute, e gli errori di gestione non sono ammessi. Talvolta ci sono notizie di interventi chirurgici unici e innovativi, con un clamore meritato e rassicurante. Contemporaneamente ci sono gli episodi di malasanità che fanno altrettanto rumore e ci terrorizzano. La quotidianità con cui ci confrontiamo da pazienti è fatta, però, soprattutto d’altro: Pronto soccorso, liste d’attesa, esami diagnostici che per essere precisi vanno eseguiti con macchinari con un’età inferiore ai 10 anni. Ed è qui che, tranne eccezioni, qualità delle cure e capacità dei manager sono strettamente legate. Vediamo cosa vuol dire.
Quando un ospedale funziona bene
Un’azienda ospedaliera funziona bene quando rispetta requisiti imprescindibili:
1) un Pronto soccorso dove i pazienti non se ne vanno perché non hanno ricevuto entro le 8 ore le cure e l’assistenza necessaria;
2) tempi di attesa che rispettano quanto indicato dalla legge (per esempio l’intervento chirurgico per la protesi d’anca entro 180 giorni e gli interventi per tumore alla mammella, al colon retto e al polmone entro 30 giorni);
3) tassi non elevati di ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza (come l’artrodesi), ricovero dei pazienti nel reparto giusto per il loro problema (per esempio meno ricoveri possibile di pazienti medici in reparti chirurgici), non fare passare troppi giorni dall’ingresso in ospedale per un intervento chirurgico all’intervento chirurgico stesso, capacità di attrarre pazienti da fuori Regione;
4) bilanci e conti in ordine;
5) numero adeguato di medici e infermieri per posto letto;
6) macchinari e apparecchiature non obsolete.
Le pagelle ai direttori generali
In base a questi indicatori, per la prima volta, è possibile stilare una pagella su come sono guidati gli ospedali pubblici: l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che fa capo al ministero della Salute, ha valutato le performance dei manager di 53 ospedali pubblici di cui 30 universitari, divisi rispettivamente per chi ha più di 700 posti letto o meno di 700 posti letto. Lo ha fatto perché è previsto dalla legge di Bilancio del 2019, che le affida il compito di monitorare il raggiungimento degli obiettivi dei direttori generali. Esclusi gli Irccs non universitari, i mono-specialistici, le Asl e le aziende territoriali come le Aziende sociosanitarie territoriali (Asst) della Lombardia che dal 2015 hanno incorporato quasi tutti gli ospedali pubblici lombardi: la scelta dell’Agenas di escluderli dalla classifica è motivata dalla necessità di avere dati comparabili tra loro. I risultati che leggerete di seguito sono stati incrociati con i dati del «Piano nazionale esiti», lo strumento con cui Agenas testa annualmente la qualità delle cure, a conferma della corrispondenza tra capacità dei manager e risultati clinico-assistenziali.
I 9 ospedali al top
Ecco cosa dicono i risultati del primo report presentato a Roma ieri (i dati sono disponibili sul portale realizzato sull’argomento da Agenas al link stat.agenas.it). È stato preso in considerazione il 2021, anno in cui gli ospedali hanno dovuto fare ancora pesantemente i conti con il Covid (in grafica tutti i risultati anche del 2019 che, in assenza della pandemia, vedono performance più alte). Dei 53 ospedali esaminati, 12 hanno un livello di performance basso, 32 medio e solo 9 alto che sono: gli ospedali universitari Senese (Siena), Careggi (Firenze); Pisana (Pisa), Padova, Integrata Verona e Policlinico Sant’Orsola Bologna; e gli ospedali S. Croce e Carle (Cuneo), Riuniti Marche Nord e Ordine Mauriziano (Torino).
I 12 ospedali da bollino rosso
Gli ospedali con le performance più basse sono: Cosenza, San Pio (Benevento), Sant’Anna e San Sebastiano (Caserta), Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello (Palermo), Civico Di Cristina Benfratelli (Palermo), Per l’Emergenza Cannizzaro (Catania), San Giovanni Addolorata (Roma) San Camillo Forlanini (Roma); e gli universitari: Luigi Vanvitelli (Napoli), San Giovanni di Dio Ruggi d’Aragona (Salerno), Mater Domini (Catanzaro) e Policlinico Umberto I (Roma).
Attesa di interventi per tumori
Questi i 10 ospedali con i più bassi tempi di attesa per gli interventi di tumore: Senese, Padova, Pisana, Policlinico Umberto I Roma, Careggi, S. Croce e Carle, Integrata Verona, Policlinico Sant’Orsola, Riuniti Foggia, Sant’Andrea di Roma che però viene indicato di bassa qualità per l’intervento chirurgico al colon. E questi, invece, i 10 ospedali con i tempi di attesa per gli interventi di tumore più lunghi: SS. Antonio, Biagio, Cesare e Arrigo (Alessandria); San Luigi Gonzaga (Torino), Sant’Anna e San Sebastiano (Caserta), Ospedali Riuniti Reggio Calabria, Policlinico Monserrato (Cagliari), Per l’Emergenza Cannizzaro (Catania), Azienda ospedaliera universitaria Sassari, e infine: Giaccone a Palermo, Pugliese e Mater Domini a Catanzaro dove l’attesa è lunga ma poi i livelli di cura sono buoni.
I macchinari più o meno obsoleti
I 10 ospedali con apparecchiature meno obsolete risultano: Policlinico San Martino (Genova), Riuniti Foggia, Policlinico Sant’Orsola (Bologna), Maggiore della Carità (Novara), S. Croce e Carle (Cuneo), San Pio (Benevento), Sant’Andrea (Roma); i due di Napoli Cardarelli e Monaldi Dei Colli, e il San Giuseppe Moscati di Avellino, tutti in Campania, che evidentemente ha fatto investimenti per rinnovare i macchinari anche se però i tre ospedali hanno ancora livelli scarsi per la cura dei tumori. Gli ospedali, invece, con le apparecchiature più obsolete, e un macchinario vecchio è sempre meno preciso di uno nuovo: Azienda ospedaliera universitaria di Cagliari, Riuniti Villa Sofia Cervello (Palermo), Papardo (Messina), Per l’Emergenza Cannizzaro (Catania), azienda ospedaliera universitaria Sassari, Brotzu a Cagliari, Civico di Cristina Benfratelli (Palermo), e sorprendentemente in questa lista ci sono anche tre ospedali quotati: Mater Domini (Catanzaro), Senese e Policlinico San Matteo di Pavia.
Durata ricoveri a parità di gravità
C’è poi un indicatore (che tecnicamente si chiama «Indice comparativo di Performance») che permette di valutare a parità di gravità del caso la durata del ricovero: più è lungo più vuol dire che l’ospedale ha problemi organizzativi. I migliori: Riuniti Marche Nord, Careggi, Pisana, Pugliese, Maggiore della Carità. I peggiori: S. Giovanni Di Dio Ruggi D’Aragona (Salerno), San Luigi Gonzaga, Civico Di Cristina Benfratelli, Cardarelli, Umberto I.
Le responsabilità della politica
Con tutte le dovute eccezioni, questi risultati sono la prova della capacità organizzativa e di gestione delle risorse, o meno, in capo al direttore generale. Dai dati Agenas risulta per esempio che in media una sala operatoria di un ospedale fa solo 400 interventi l’anno, vuol dire poco più di uno al giorno: performance del genere in altre aziende non sarebbero mai accettate. I direttori generali come vengono scelti e da chi per gli ospedali pubblici? Dal 2012 le Regioni possono nominare esclusivamente direttori generali iscritti all’albo nazionale. Requisiti richiesti: laurea, comprovata esperienza dirigenziale di 5 anni nel settore sanitario o di 7 in altri, frequenza di un corso di formazione in materia di sanità pubblica e non aver compiuto i 65 anni di età. Poi ci sono anche le commissioni di esperti che valutano, ma alla fine chi dà le carte è il presidente della Regione in condivisione con il suo assessore alla Sanità. La scelta quindi è politica.