il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2023
Intervista a Roberto Scarpinato
Ha lavorato fianco a fianco con Giovanni Falcone. Ha proseguito a essere un pm antimafia a Palermo, poi a Caltanissetta e poi di nuovo a Palermo come procuratore generale. Ora Roberto Scarpinato, da magistrato in pensione, è impegnato come senatore M5S. Ieri, in Aula, ha ricordato le vittime di Capaci. Otto minuti segnati dalla sua profonda conoscenza ed esperienza. Ha voluto onorare Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo puntando il dito contro “i sepolcri imbiancati”.
Questo trentunesimo anniversario è “all’insegna della rimozione, della restaurazione e della normalizzazione”, le “verità scomode e indicibili” vengono “annegate dentro un mare di retorica”. Scarpinato ha parlato di una “Falconeide sedativa e rassicurante”, di una “narrazione tragica ma, nello stesso tempo, semplice e pacificata”; sostiene che Falcone sia stato ucciso perché “con il suo lavoro di magistrato integerrimo, culminato nelle condanne inflitte con il maxiprocesso, era il simbolo di uno Stato che aveva sferrato un colpo mortale alla mafia”. Un “falso”. La realtà “vissuta e sofferta da Giovanni Falcone racconta che gli assassini e i loro complici non hanno solo i volti truci e crudeli di coloro che si sono sporcati le mani di sangue, ma anche i volti di tanti, di troppi sepolcri imbiancati che avversarono in tutti modi Falcone isolandolo, delegittimandolo, riducendolo all’impotenza per impedirgli di accertare le loro responsabilità”. Falcone, ha scandito Scarpinato, non è stato ucciso solo per il maxiprocesso ma “anche e soprattutto per quello che avrebbe potuto fare se fosse rimasto in vita. Per evitare che proseguendo nella sua opera potesse portare alla luce verità indicibili che, come lui stesso disse (in Commissione Antimafia, ndr) avrebbe costretto il nostro Paese a riscrivere parte della sua storia”.
L’ ex Pg, nel suo intervento descrive il popolo dei “sepolcri imbiancati” dalle carriere sfavillanti, bravissimi nelle celebrazioni retoriche: “Presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti di Regioni, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi apicali dell’economia e della finanza e molti altri”.
Inoltre, ricorda che ci sono “responsabilità penali certificate da sentenze definitive, costate lacrime e sangue, e tuttavia rimosse dalla retorica pubblica e da una politica priva di credibilità perché mentre il 23 maggio spende vuote parole, continua a portare in palma di mano personaggi condannati con sentenze definitive per complicità con la mafia o per gravi reati di corruzione ( Dell’Utri e Cuffaro, ndr)”. I “sepolcri imbiancati” non possono “autoassolversi moralmente e politicamente dalla tragica storia che ebbe il suo epilogo” nelle stragi del 1992 e 1993, che segnano la fine della prima Repubblica. “È un gorgo di morte che chiama in causa quello che lucidamente Falcone definì il gioco grande del potere che non ha esitato a utilizzare le stragi e l’omicidio come strumenti occulti di lotta politica, avvalendosi come bracci armati della destra eversiva, delle mafie e di altri specialisti della violenza”. Non a caso la nostra Repubblica “era stata tenuta a battesimo dalla strage politico mafiosa di Portella di Ginestra del 1º maggio 1947 che segna l’inizio della strategia della tensione”.
Tra la prima e l’ultima strage, “una sequenza ininterrotta di altre stragi e di omicidi eccellenti” che hanno un unico comune denominatore, prosegue Scarpinato, ovvero “il sistematico intervento di apparati dello Stato per depistare le indagini e impedire così che venissero accertate le responsabilità di mandanti e complici eccellenti”. Amarissima ma drammaticamente vera la conclusione dell’intervento del senatore M5S:“Sino a quando i protagonisti del passato e del presente di questo cinico e sanguinario gioco non saranno chiamati a rendere conto delle loro responsabilità, le stragi del 1992 e del 1993 resteranno lo specchio della cattiva coscienza di questo Paese e il segno della sua immaturità democratica”.