ItaliaOggi, 24 maggio 2023
Il francese ormai serve a poco e lo sanno in pochi. Tuttavia c’è chi, per farsi bello, lo usa inappropriatamente. Ad esempio…
Nei secoli passati (quando la Francia era la principale potenza del continente) il francese era la lingua della diplomazia, delle classi colte e persino dello snobismo. Esattamente come oggi avviene con l’inglese. Forse con l’unica differenza che allora alcune persone conoscevano effettivamente il francese, mentre oggi molte più persone fanno finta di conoscere l’inglese.
Oggi capita tanto raramente di incontrare riferimenti in francese che, essendo insoliti, sono ancora più impressionanti. Chi li usa sembra dire: «Tutti conoscono l’inglese» – «Disciamo», intercalerebbe Massimo D’Alema – «Io conosco addirittura il francese, e persino alcune sue espressioni idiomatiche che voi non conoscete». E così capita di sentire (al Rotary, immagino) un signore che dice, con sufficienza, che tutto quel ragionamento è «cousu de fil blanc», e una signora affermare che l’angoscia della morte è il «fil rouge» di tutto il romanzo. Cosicché colui che, poveretto, conosce bene l’italiano ma soltanto quello, si chiede che cosa abbiano voluto dire.
L’origine delle due espressioni è curiosa. Il riferimento più semplice è quello del «fil blanc», «cucito col filo bianco». Un tempo chi voleva un vestito doveva andare da un sarto. Questi prendeva le misure, faceva scegliere la stoffa, la tagliava (da questo «tailleur» in francese e «taylor», in inglese) e infine cominciava a confezionare l’abito. Ma non lo cuciva definitivamente. Lo metteva insieme con lunghe cuciture di filo bianco (ogni punto tre o quattro centimetri) e chiamava il cliente per la prima prova. L’abito aveva preso forma ma quelle cuciture (che noi chiamiamo imbastitura) erano evidenti e piuttosto brutte. E tuttavia poco importava: se la prova andava bene, l’imbastitura era rimossa e si procedeva, col filo del colore appropriato, alle vere cuciture. Dunque «cousu de fil blanc» significa «evidente e brutto come il filo bianco dell’imbastitura». Qualcosa i cui difetti non è necessario cercare accuratamente, ma sono chiari al primo sguardo. Qualcosa di ovviamente erroneo e da correggere.
Più interessante – secondo la mia interpretazione – è la storia del fil rouge. Come è noto, su ogni veliero ci sono decine di corde che hanno usi differenti e che il vento può imbrogliare. Per questo oggi esse vengono vendute di colori e con disegni differenti. Un tempo invece tutti i cordami (non colorati) erano realizzati a mano, erano costosi, e dovevano essere tuttavia distinguibili. Per quest’ultima funzione si metteva oltre ai tre o quattro trefoli fondamentali un filo rosso. Nella marina militare inglese, in particolare, ciò serviva anche ad evitare i furti, perché una corda rubata alla marina sarebbe sempre stata identificabile. Ma il filo rosso non era l’unico, ce ne erano anche altri per identificare la nave, il proprietario o quello che sia. Comunque il filo rosso era l’elemento identificativo del tutto, ed esso correva per tutta la lunghezza della corda. Così, quando la signora diceva che «l’angoscia della morte è il ’fil rouge’ di tutto il romanzo» intendeva dire che quel sentimento era l’elemento centrale, ricorrente, e in fin dei conti sempre presente, di tutto il romanzo. Però, vuoi mettere? il «fil rouge» fa tanto più fino.