La Stampa, 24 maggio 2023
L’autobiografia romanzata di Martin Amis
Non è bello da dire, ma c’è qualcosa – di fronte a un talento superiore – che dovrebbe offrirci l’esatta misura della nostra mediocrità. Una mediocrità gradevole, sì, certo, e in molti casi perfino redditizia, ma è utile ricordarne il perimetro, i limiti. Grazie a una libraia amica, ho avuto la notte prima dell’uscita la versione italiana di Inside Story, La storia da dentro (Einaudi, traduzione di Gaspare Bona), l’autobiografia di Martin Amis, morto il 19 maggio scorso, alla stessa età di suo padre – lo scrittore Kingsley – e per via dello stesso tumore che colpì i suoi amici Larkin e Hitchens. Coprotagonisti di questa traversata che, in oltre seicento crepitanti pagine, diventa a tutti gli effetti un saggio sullo scrivere travestito da romanzo. Come scrivere dice il sottotitolo: ed è – esattamente al polo opposto della narrativa dominante, concentrata sul cosa – un trionfale esuberante didattico elogio di quel "come". Lo stile. È dunque un libro per gente che scrive? No, non solo. Amis si rivolge a un giovane e curioso lettore-ospite, uno che sarà vecchio nel 2080, lo fa accomodare, gli fornisce indicazioni e conforto. Ma chiunque abbia (e siamo in tanti) una presunta vocazione per la narrativa, trova qui le dispense definitive su questo strano lavoro. Ogni scena, ogni episodio, ogni singola pagina (Amis autorizza una lettura per salti) è scritta per dimostrare come si può scrivere: un dialogo – no, non realistico: reale; la descrizione di un bambino, la descrizione (il ritratto) di un altro scrittore, mettiamo Saul Bellow, che già troneggiava nell’altra parte di un dittico involontario, Esperienza (1995). A un certo punto interrompe il flusso del racconto di sé per mettere sul piatto un imprevisto normario a uso dei romanzieri presenti e futuri. Il titolo? Cose che la narrativa non può fare. Riassumo alla buona: evitate le descrizioni dei sogni, state attenti alle scene di sesso («il sesso è oceanico, e copre i sette decimi del globo. Una forza così fondamentale, così variegata, così superba, così sontuosa. Eppure sembra che evocarla sulla pagina vada oltre le nostre possibilità»). Ancora: religione e ideologia spesso producono pasticci. E poi c’è il tema dell’Universalità con la maiuscola – che, tirato in ballo in un’autobiografia, diventa evidentemente spinoso. Ma La storia da dentro sembra scritto per dimostrare che solo se sai scrivere veramente bene puoi pretendere di universalizzare i fatti tuoi.
Così Amis ce ne offre un distillato: primi, goffi appuntamenti d’amore, «peccatucci, debolezze», mani che si affaccendano (bene) sui genitali altrui, matrimoni e divorzi, le tende delle camere da letto che abbiamo abitato, crisi di identità che intorno ai cinquant’anni diventano feroci, discussioni politiche e discussioni letterarie, viaggi e intenzioni suicide, un risveglio faticoso dopo l’11 settembre del 2001, «il segreto lavorio di certi giorni tutti uguali», che è una frase di Saul Bellow e vale da epigrafe per la vita di chiunque. Amis è magistrale nel fissare quel lavorio sulla pagina – frasi dette masticando, passeggiate, tè neri bevuti nella hall di un albergo. Alzo gli occhi dal libro ogni due paragrafi e mi dico: ma come fa? Come faceva? E il bello è che la funzione essenzialmente tautologica di questo volume è rispondere: ecco come faccio. Così. E d’altra parte si potrebbe aggiungere all’ampio indice dei nomi (di solito in un romanzo non c’è; c’era anche – genialmente – in Esperienza), un indice delle tecniche di scrittura che sviscera, prima dandone un saggio concreto, e poi teorizzando, o viceversa. La differenza fra trama e storia. Fra romanzo e racconto. L’utilità e la funzione del romanzo. Eccetera. L’insieme, bulimico e consapevolmente disarmonico, è travolgente: intanto, perché non ha nessuna zona di inerzia; e poi perché mette in atto per l’ennesima e ultima volta i dispositivi che concorrono a far esistere un romanzo à la Amis. Ovvero, per usare i suoi aggettivi, «aerodinamico, affusolato, accelerato». La verità è che l’intero lavoro di Amis ha mostrato possibilità di rimodellamento del romanzo nel tardo ventesimo secolo, non considerando esaurite con il modernismo le opzioni di elettrificazione della prosa, e tuttavia consapevole della morte del romanzo deduttivo, ha agito dunque su un piano sintattico, perfino grafico (la paragrafazione, i corsivi, gli elementi spuri, una impressionante duttilità e capacità di usare tutti i registri e i livelli), ha cercato e trovato un’alternativa al piatto mainstream.
A cosa è servito? A niente, forse. Ma d’altra parte – chiede Amis – qual è lo scopo della mia giornata media? Con un certo tipo di romanzo «speri di dilettare, e anche di istruire. Istruire in un modo che possa stimolare la mente, il cuore, e sì, l’anima del lettore, rendendo più pieno e ricco il suo mondo». Amis cita qui una struggente pagina di Bellow, in cui i latrati di un cane per le strade di Bucarest vengono letti come «una protesta contro le limitazioni dell’esperienza canina (per amor del cielo, aprite l’universo un po’ di più!)».
Mi viene quasi da piangere. Penso che La storia da dentro vada reso lettura obbligatoria in qualunque scuola di scrittura e anche, con valore retroattivo, per tutti gli autori partecipanti, che so, al prossimo Salone del Libro. Siano esentati solo gli over 70. A tutti gli altri: per amor del cielo, aprite - apriamo - l’universo un po’ di più!