la Repubblica, 24 maggio 2023
Rick Riordan: «Che queer questi dei dell’Olimpo»
Basta il nome, Percy Jackson , a evocare subito il connubio tra mito classico e adolescenti del terzo millennio: un mix che ha fatto vendere al papà dell’omonima saga per ragazzi, Rick Riordan, 180 milioni di copie. E mentre esce il nuovo romanzo spin-off Luce & Tenebra (Mondadori), con protagonisti Nico, figlio di Ade, e il fidanzato Will, figlio di Apollo, lo scrittore americano, collegato via Zoom da Boston, ci ricorda — alternando l’inglese a un raffinato italiano — che sull’Olimpo e dintorni ciò che oggi chiamiamo queer era la normalità.
Rick, perché ha dedicato un intero romanzo proprio a questi due personaggi innamorati?
«Perché sono tra i più popolari del mondo Percy Jackson: quando lo hanno saputo, tanti lettori mi hanno fatto sapere di essere entusiasti all’idea».
E come mai l’ha scritto a quattro mani con un altro autore, Mark Oshiro?
«L’ho contattato, in primo luogo, perché è un narratore
queer :avevo bisogno di autenticità. E poi perché ha uno stile bellissimo, molto diverso dal mio: sa raccontare le emozioni, mentre io sono più abituato a maneggiare l’azione, a tenere viva l’attenzione di un pubblico moltogiovane. Bilanciare questi due aspetti in questo romanzo era cruciale».
In occasione dell’uscita del libro ha mandato un messaggio alla comunità Lgbtq+: «Noi vi vediamo, vi amiamo, voi meritate di essere coinvolti in meravigliose avventure».
«È molto importante che i lettori giovani sentano di poter essere se stessi, leggendo libri. Sono stato per molto tempo un insegnante di scuola media, prima di diventare uno scrittore a tempo pieno, e ho toccato con mano quanto i ragazzi abbiano bisogno di sentirsi inclusi, accettati. Gli anni delle medie sono sempre difficili, e se sei gay lo sono ancora di più».
In questo l’aggancio della saga Percy Jackson all’immaginario classico rende tutto più facile, no?
«È vero, in quella mitologia l’omosessualità, le identità plurali, sono considerate normali. Uomini, donne, dei si amano senza troppe distinzioni. Viene data visibilità a una minoranza che nei secoli successivi sarebbe stata condannata all’invisibilità. Insomma, quel mondo ci insegna a vedere le persone per quello che sono, senza avere paura dell’altro da sé».
Nella vita reale siamo ancora indietro?
«Certo. Ad esempio, quando un uomo e una donna, un ragazzo e una ragazza, camminano mano nella mano, o si baciano in pubblico, viene considerato normale. Se lo fanno due uomini viene percepito come un’esibizionesessuale».
I ragazzi però non sono discriminati solo per l’orientamento sessuale: ad esempio il suo eroe massimo, Percy Jackson, è dislessico e soffre di deficit di attenzione.
«Da insegnante vedevo ogni giorno quanto i ragazzi lottavano con difficoltà di ogni tipo, e come spesso venivano bullizzati per questo. Una questione che conosco anche come padre di un figlio dislessico. In entrambi i ruoli mi sono documentato molto su questi disturbi, scoprendo che secondo studi scientifici i giovani che ne soffrono sono creativi e pensano fuori dagli schemi. Percy Jackson è stato un modo per onorare questi ragazzi».
Ci racconta il momento in cui è nata la saga, amata da milioni e milioni di lettori?
«C’entra ancora mio figlio. All’epoca aveva nove anni e a scuola viveva un periodo molto difficile. L’unico argomento che amava era la mitologia greca, che io stesso all’epoca insegnavo. Così, prima di prendere sonno, gli raccontavo storie ambientate in quel mondo, lui mi diceva sempre di andare avanti e a un certo punto aggiunse: “papà, le dovresti proprio scrivere…”. Tutto è cominciato lì».
Restando sul tema, ci spiega il fascino eterno delle divinità e degli eroi dell’Olimpo?
«Sono racconti ancestrali, fondativi dell’esperienzaumana. Eterni. In quelle storie tutti gli elementi che ci definiscono sono squadernati, comprensibili.
L’egoismo, l’amore, la guerra. E i personaggi sono da un latolarger than life ,dall’altro molto umani: gelosi, invidiosi, fragili, fallibili».
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«Anche tante storie per bambini, come le fiabe classiche, sono molto buie, cupe. Pensiamo anche a
Pinocchio , almeno nella versione originale che sto leggendo proprio in questo periodo, in italiano: è davvero tosto. La realtà è che ai giovanissimi non piacciono le situazioni troppo semplici: vogliono la verità, anche se è dura. Perciò io cerco di essere il più onesto possibile, cercando allo stesso tempo di raccontare le storie in modo non troppo disturbante».
A proposito dell’aggettivo “disturbante”, cosa pensa della riscrittura di autori come Roald Dahl o Agatha Christie, per adattarli alla sensibilità attuale?
«Dipende se lo scrittore è vivo oppure no. Non mi dà affatto fastidio l’idea che, in un futuro in cui io non ci sarò più, qualcuno riscriverà i miei romanzi in una versione aggiornata, per renderli più aderenti al sentire comune di quel momento».
E se la censurassero ora?
«Finora non mi è mai successo: sono fortunato».