la Repubblica, 24 maggio 2023
Biografia di Chiara Colosimo
Voleva essere Giorgia Meloni e non lo nasconde, di certo punta a diventarlo. Le similitudini ci sono tutte, di carriera e militanza; la smisurata ambizione pure; identico il vizio di imbellettare le biografie omettendo i lati oscuri. Giusto qualche minima differenza – d’età ed estrazione sociale: ceto medio una, altoborghese l’altra – che tuttavia serve a completarsi. Per il resto, Chiara Colosimo sembra nata per clonazione della premier: stessi inizi nei movimenti giovanili di An, medesima gavetta nelle istituzioni locali, uguale persino la statura bonsai e il taglio di capelli, solo biondissimi la signora di Palazzo Chigi, corvini la più giovane emulatrice. Perfette “veline”, ma agguerrite e parlanti, di quella Striscia la destra sovranista a cui è ridotta la politica italiana. Una passione tendente al settarismo, che è la costante dei Fratelli dove però comandano le sorelle. Di sangue e di fuoco che arde nel simbolo e le divora entrambe.
«Fedelissima» è il termine che più ricorre per raccontarla. Una delle pochissime ammesse nel ristretto cerchio magico di Meloni, forgiato da anni di lotta per emergere. Romana, classe 1986, entrata alla Camera con la vittoria nel collegio uninominale di Latina che fu della sua leader, Colosimo ha accompagnato passo passo l’amica Giorgia sin sulla soglia del governo nazionale. È una sveglia «Chiaretta, così la chiamiamo noi, non s’è accorta di quanto è piccolina?» rivela divertito un vecchio commilitone, svelandone il carattere fumantino e la rapida ascesa. Punta di diamante di quella “Generazione Atreju” che ha scalato in fretta e tacco 12 la vetta di FdI. Per occupare, oggi, le leve più strategiche del Parlamento.
Nata il 2 giugno, festa della Repubblica che è uno dei simboli della storia patria, ne ha fatta di strada dacché, ancora adolescente, venne eletta rappresentante del Convitto Nazionale, il suo liceo: è allora che incrocia la squadra di Azione studentesca, ai tempi ospitata nella storica sezione dell’Msi a Garbatella, dove l’attuale capo del governo è già una star. Un colpo di fulmine che nel giro di poco le consente di conquistare il vertice di Azione giovani a botte di chilometri, una ventina, macinati ogni giorno in motorino per raggiungere dalla Balduina – quartiere bene di Roma Nord – i compagni di partito radunati nel rione popolare di Roma Sud. Facendo preoccupare, almeno in principio, la famiglia: mamma Alessandra, microbiologa, e papà Cesare, neuroradiologo e professore al Policlinico Gemelli, alquanto contrariati allorché la figlia decise di interrompere gli studi universitari alla Luiss per votarsi anima e corpo alla politica.
Appiccicata come la gramigna all’unico albero cui permette di farle ombra. E così mentre una assumeva il doppio ruolo di ministra della Gioventù e presidente della Giovane Italia, l’altra si prendeva la guida regionale del Pdl baby e un seggio da consigliera nel Lazio, dove arruola come capo-staff Arianna Meloni, amatissima sorella di. Giorgia corre e Chiara dietro, anche se fatica a tenerne il ritmo. Nel 2013 si candida alle politiche e poi di nuovo in Regione, ma viene bocciata. Passaggio a vuoto che tuttavia fa la sua fortuna. Per consolarla l’amica le affida Atreju, la festa di FdI che la consacra.
Nel frattempo, la ragazza cresce e però inciampa pure. Sempre in prima fila alle celebrazioni fasciste di Acca Larentia, finisce nella rete delfantomatico Mark Caltagirone, il promesso sposo virtuale di Pamela Prati. E in campagna elettorale si fa intervistare davanti al manifesto di Corneliu Zelea Codreanu, fondatore della Guardia di ferro romena, noto fan del nazismo, che scatena la rivolta della Comunità ebraica.
Segno di simpatie e frequentazioni con l’ambiente dell’eversione nera – a partire da Luigi Ciavardini, terrorista dei Nar condannato per omicidio e strage – che le stavano costando l’Antimafia. È stata ancora una volta la premier a salvarla. Contro tutto e tutti, incluso un gruppo di “camerati” che avrebbero voluto sostituirla. Per la fidata Chiara che voleva essere Giorgia non poteva che finire così: con un atto d’imperio. Perché, per dirla con Tolkien, «le radici profonde non gelano». La fiamma le ha saldate.