Corriere della Sera, 24 maggio 2023
Bellocchio: il Papa veda il mio «Rapito»
«Ho scritto a Papa Francesco per farglielo vedere ma non mi ha ancora risposto – dice Marco Bellocchio —, avrà mille altre cose a cui pensare ma spero che lo veda». Si fa malizioso, gli occhi guizzano: «E magari lo vedrà in una serata divertente e rilassante, tra amici». All’epoca questa storia suonò come un atto illiberale e anacronistico da parte della Chiesa, divenne un caso mediatico, protestarono in Francia, Inghilterra, Stati Uniti.
Nel nome del Papa Re, il 24 giugno 1858 a Bologna un bambino ebreo di sei anni, si chiamava Edgardo Mortara, fu prelevato dalla sua abitazione, anzi rapito, e spedito in un collegio cattolico, diventando negli anni sacerdote. I gendarmi pontifici bussarono alla porta dell’abitazione di Momolo e Marianna Mortara (Fausto Russo Alesi e Barbara Ronchi): «Abbiamo bisogno di un chiarimento sulla sua famiglia». Il bambino, all’insaputa dei genitori, per l’iniziativa maldestra e ambigua della domestica che lo riteneva prossimo alla morte, era stato battezzato. Questo, in nome del diritto canonico, portava alla conversione coatta al cattolicesimo. Sottratto alla famiglia, non vi farà più ritorno. Il padre non si rassegnò mai, lottò invano per riportarlo a casa; la madre prima rabbiosa e poi disperata. Un gesto di una violenza inaudita.
È il giorno di Rapito di Bellocchio (in sala da domani per 01), che sta vivendo una seconda giovinezza, torna a un rapimento (dopo Moro), è la quarta volta consecutiva che viene invitato al festival, che tre anni fa lo omaggiò con una Palma d’onore.
«Ma non ho mai ricevuto premi, allora se non me ne daranno anche stavolta, non cambia molto, spero che qualche spettatore vada a vederlo al cinema, questo conta». E la sua seconda giovinezza, il ritrovato vigore da alcuni anni (ora ne ha 83), la freschezza, dopo essere stato l’eterno secondo, dietro Bertolucci? Ride: «L’età ha i suoi svantaggi ma hai esperienza, una maggiore non dico serenità ma vedi meglio, ecco... Alcuni sacerdoti l’hanno visto, non faccio i nomi per discrezione, erano molto emozionati e pensierosi; poi l’hanno visto alcuni ebrei, anche di un certo livello, anche per loro non faccio i nomi, e hanno espresso una commozione evidente». Fu vera conversione? «Per gli ebrei, no. Comunque la pagò con sofferenza e lunghe malattie. Quando diventò sacerdote cercò di convertire ma senza alcun esito: convertì solo se stesso. C’è come un mistero. In una situazione ignota Edgardo decide di sopravvivere, e sarà possibile solo se si converte».
Un atto forzato. Ma dopo, una volta libero, decide di restare fedele al Papa, e quindi respinge il fratello patriota che gli chiede di tornare in famiglia. «Il mio vero padre è il Papa», gli risponde. Da ragazzo ha un rigurgito di ribellione, Pio IX gli ordina di leccare le croci sul pavimento. Edgardo da grande è interpretato da Leonardo Maltese; da piccolo è Enea Sala, che strappa applausi: «Ho fatto il film per divertirmi, a quanto pare sono piaciuto per il mio sguardo, però non ho fatto tanto, è capitato e l’ho accettato».
Bellocchio: «Se penso ai bambini delle pubblicità dei biscottini in tv, una tragedia per loro, qui invece c’è un bambino vero». Nel 1858, uno Stato stava nascendo e uno Stato moriva. Il Risorgimento dell’Italia e il crollo del potere temporale della Chiesa. «Ma io non ho mai pensato di fare un film contro la Chiesa. Mi affascinava, di questa storia, la cecità della religione».
«Io ti rapisco perché Dio lo vuole e non posso restituirti ai tuoi cari». Il funzionario «cieco» dell’Inquisizione è Fabrizio Gifuni: «È l’obbedienza a norme che risuonano assurde e distanti da noi, in nome del diritto canonico, a rendere il racconto spietato». A Bellocchio torna alla mente la sua educazione cattolica, «dove niente era in discussione. Una volta c’era il sacrilegio, una cosa terribile, i comunisti nel ’48 venivano scomunicati. Ora papa Francesco cerca di mettere in discussione qualcosa, sui divorziati o gli omosessuali, deve aprire sennò la Chiesa non avrà futuro».