il Fatto Quotidiano, 23 maggio 2023
Le violenze ucraine nel Donbass
I temibilissimi agenti della propaganda Nato, chissà se volontaria o retribuita, hanno continuato la loro diuturna e martellante opera di denigrazione della sottoscritta per l’articolo in cui abbiamo smontato il loro finto debunking, propinatoci in seguito al nostro articolo sulla buffonata di Zelensky al Vittoriano.Al termine di un’altra giornata di manganellate, arriva il solito thread della Senior fellow di Affari Internazionali Nona Mikhelidze (a proposito: IAI riceve finanziamenti dall’industria della guerra? Se sì, da chi e quanti soldi prende?) con la consueta pioggia di link per dare una parvenza di autorevolezza e gettare una cortina fumogena sul punto fondamentale: è vero, come è stato detto durante la visita imperiale di Zelensky a pochi metri dal balcone di Mussolini, che è una “fake news” che ci siano state violenze del governo ucraino sui civili nel Donbass dal 2014?
Nel nuovo asserito debunking, condiviso anche da politici del Pd, si apprende che alcune fonti da noi usate non sono gradite. Il rapporto Osce citato sarebbe “un resoconto degli organizzatori dell’incontro” di parte russa che “non rispecchierebbe le opinioni dell’OSCE”. Questo è un argomento fallace: è vero che i singoli interventi non rispecchiano “necessariamente” l’opinione di Osce, ma Osce è un’organizzazione che ha lo statuto di osservatore all’Onu e i singoli panel dei convegni hanno un peso autorevole. Gli osservatori russi sono professionisti imparziali selezionati dall’Osce: non hanno preso dei russi a caso per strada (ciò peraltro rivela il pregiudizio russofobico di certi analisti). Se quella parte del rapporto è inattendibile perché il relatore è russo e noi facciamo “misinformazione”, allora sono inattendibili anche le pagine dello stesso documento che ospitano il panel di International Partnership for Human Rights, Ong con sede a Bruxelles, sulle persecuzioni russe in Crimea, e tanto più il panel di Memorial, Fondazione russa premio Nobel per la pace 2022 (chiusa da Putin a dicembre 2021) sui prigionieri politici in Russia vittime del regime putiniano, così come quello della Ong russa Sova sulla violazione dei diritti fondamentali e la persecuzione delle minoranze in Russia. Come funziona: le fonti russe vanno bene solo quando criticano Putin? Se è così, la ricercatrice e l’istituto in cui lavora hanno un serio problema metodologico e deontologico, e a ogni modo non si rende conto di usare un argomento che si auto-elide; forse non ha letto tutto il rapporto o è lei a non sapere l’inglese (tra le malignità rivolteci, quella di non conoscere l’inglese: in realtà un po’ lo conosciamo, certo non bene come un propagandista Nato).
Neanche il rapporto di Amnesty sulle violenze ucraine in Donbass andava bene, perché è stato contestato. Da osservatori imparziali? No, dall’Ucraina e dal Canada, che ha forti legami politici e culturali con l’Ucraina, anche perché ospita la più grande comunità al mondo di ucraini a parte la Russia. Ma il rapporto è stato ritirato? Niente affatto: resta in attesa di conferma, il che non vuol dire che sia falso o inattendibile.
Ora, la cortina di fumo da parte Ucraina sarebbe comprensibile: essere equiparati ai russi massacratori non deve essere onorevole, specie ora che ci stanno chiedendo aiuti e armi. Ma che contribuiscano ad alzarla gli “alleati” di Zelensky che gli stanno mandando armi a (sua) volontà, e tra questi non solo i governanti, ma anche i giornalisti e gli analisti, è sconcertante, e indica chiaramente che siamo dentro una informazione di guerra, dove alcune notizie sono censurate e il passato rimosso o omesso.
Stavolta hanno pensato di averci messo in scacco. Peccato che esista un rapporto, che abbiamo citato la volta scorsa ma non linkato per motivi di spazio (e che infatti i debunker si guardano bene dal tirare in ballo), dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani del luglio 2016, che mette la parola fine a tutte queste mistificazioni.
Il rapporto si concentra sui casi di presunte uccisioni di civili e di persone protette dal diritto internazionale umanitario e afferma che il conflitto armato in alcuni distretti delle regioni di Donetsk e Luhansk, “alimentato dall’afflusso di combattenti stranieri e armi dalla Federazione Russa, è responsabile della maggior parte delle violazioni del diritto alla vita in Ucraina”, causando fino a 2.000 vittime civili. “Quasi il 90% delle morti di civili legate al conflitto sono state causate da bombardamenti indiscriminati su aree residenziali”.
Obiezione prevedibile: sono stati i russi. Purtroppo le cose non stanno così: “Nessuno si è assunto la responsabilità per le morti di civili causate dalla condotta delle ostilità” e per il fatto che “un numero significativo di persone, compresi i civili, sono state giustiziate sommariamente o sono morte in prigionia nel 2014 e all’inizio del 2015”. Ma chi è il colpevole? “I gruppi armati hanno giustiziato principalmente persone che avevano, o si riteneva avessero, espresso opinioni ‘pro-unità’ o sostenuto le forze ucraine, mentre le forze ucraine hanno preso a bersaglio persone in base alla loro presunta affiliazione o sostegno a gruppi armati, o per le loro opinioni ‘separatiste’ o ‘filo-russe’”.
Il rapporto rileva “una diffusa mancanza di disciplina nei gruppi armati assemblati in fretta e all’interno delle forze ucraine, che comprendevano molti soldati e battaglioni di volontari mobilitati rapidamente (vedi le inchieste su Azov di Guardian e Bbc, ndr)”. Questo ha “portato a un dominio sfrenato delle armi, con uomini armati che ricorrevano alla violenza verso i civili, specialmente verso coloro che ‘disobbedivano’ ai loro ordini”.
Le responsabilità russe e ucraine in quelle uccisioni sono acclarate: “Pur riconoscendo le sfide affrontate dalle autorità per assicurare la giustizia, tra cui la mancanza di accesso ai territori in cui molti dei presunti atti hanno avuto luogo”, il rapporto rileva “un’apparente mancanza di motivazione a indagare su alcuni casi… soprattutto quando si tratta di atti presumibilmente commessi dalle forze ucraine”.
Questo conferma la correttezza di tutto quello che abbiamo scritto. Che gente che si occupa di affari internazionali ignori l’esistenza di questo report è grave; se lo conosce, è gravissimo, intellettualmente disonesto e destituisce di fondamento le precedenti obiezioni e ogni eventuale replica.
La strategia retorica contro i giornalisti che intralciano la narrazione bellicista e tanatofila consiste di tecniche note: sollevazione di fallacie e argomenti-fantoccio (straw man argument): il vostro articolo è stato rilanciato dal giornalista russo Solov’ev (embè?); il report di Amnesty è stato contestato da Ucraina e Canada (embè?); Osce è infestata di russi (quindi Osce non è mai attendibile?) e delegittimazione personale, tutto per offuscare e sminuire i fatti presentati, come la mancanza di democrazia in Ucraina, la messa fuorilegge dei partiti d’opposizione, gli abusi sui dissidenti, la presenza di battaglioni nazisti nella Guardia nazionale, la lapide per i bambini morti in Donbass, etc.
Putin i giornalisti li fa sparire; da noi i padroni della propaganda bellica – che bombardano ogni anfratto di informazione per indurre gli italiani riottosi a condividere la loro libido di guerra – impongono ai giornalisti di usare solo le fonti autorizzate da loro, poi cercano di screditarli e intimidirli sguinzagliando legioni di troll e disturbatori (tra cui giornalisti, anche della Rai). Quelli sono i loro metodi e il loro terreno. Questi sono i nostri.
Con ciò chiudiamo – per rispetto delle sofferenze dei popoli ucraino e russo e per non essere strumentalizzati da nessuna propaganda – quello che non è mai stato un dibattito, ma solo un linciaggio ai nostri danni con mezzi risibili.
Onore comunque ai soldati del web che marciano da fermi sulle sedie in attesa di mandare i nostri figli al fronte, come ha preannunciato Zelensky se non gli diamo più armi; anche se come cecchini hanno una pessima mira.