la Repubblica, 23 maggio 2023
Commisso: “Mi chiamavano terrone”
Rocco Commisso è in testa alla classifica dei presidenti di Serie A col patrimonio netto più elevato: 7,8 miliardi di dollari, davanti a Berlusconi e Friedkin. A 12 anni ha lasciato la Calabria per seguire suo padre negli States, inseguendo il sogno americano. Nel 1995 ha fondato Mediacom, azienda di telecomunicazione nella quale lavorano oltre 4 mila dipendenti. Quattro anni fa ha acquistato la Fiorentina dai Della Valle per 170 milioni. Ora insegue due trofei: la Coppa Italia in finale domani a Roma con l’Inter, la Conference League il 7 giugno a Praga col West Ham. Solo nel 1961 la Fiorentina era riuscita a giocare due finali, vincendole entrambe. Incontriamo Commisso al centro sportivo, mentre i giocatori passano per entrare in campo. «Guardate Dodò, che ragazzo straordinario. Vuole sempre abbracciarmi ». Osserva, parla, saluta ogni dipendente. E sogna.
Che giorni sta vivendo con la sua squadra?
«Quando abbiamo vinto a Basilea sono andato sotto al settore ospiti con duemila tifosi viola in festa, mi veniva da piangere. Ho abbracciato tutti, da Italiano ai calciatori: sono tutti figli per me. Però non posso piangere, in fondo sono il presidente.
Ma sono anche italiano, calabrese, umano».
Le è costato lasciare l’Italia da bambino?
«Soltanto la prima settimana, molto dura. Sono andato negli States nel 1962, prima in Pennsylvania e poi a New York. Mio padre era falegname, mio fratello aveva una tavola calda.
Ho iniziato a lavorare lì a 13 anni, 40 ore a settimana portando avanti gli studi. Ma è al calcio che devo tutto».
Perché?
«Ero molto bravo a scuola e mi piaceva: col calcio però mi sono pagato le borse di studio alla Columbia University che mi hanno aperto tante porte. Anche quelle di Wall Street».
Il sogno americano non vale quello italiano?
«Amo l’Italia, amo Firenze. Ma la burocrazia è la rovina di questo Paese. A Firenze ho provato a fare lo stadio nuovo ma non me lo hanno permesso. L’Europa ha poi bloccato i 55 milioni del Pnrr per la riqualificazione della zona attorno all’impianto che è valutato come monumento. L’America ti aiuta coi fondi pubblici, qui si mettono di mezzo l’Europa, il Governo, la Regione, il Comune, la Soprintendenza».
Ha perso ogni speranza sullo stadio?
«Come Fiorentina siamo fuori ormai. È il mio più grande fallimento, il più doloroso. Adesso aspetto che mi dicano quando vorranno iniziare coi lavori, quando finiranno, cosa faranno dell’area commerciale. La Fiorentina non dovrà essere penalizzata, dovrà rimanere a giocare qui magari prevedendo di lavorare a blocchi come accaduto a Udine».
Però a fine estate lei inaugurerà il più grande centro sportivo d’Italia .
«Sì, ma lì ho potuto controllare quasi tutto e non c’era la burocrazia che ho trovato per lo stadio. Abbiamo riqualificato un’area degradata. A luglio la prima squadra inizierà il suo primo ritiro. La Fiorentina non avevamai avuto qualcosa di proprietà e il Viola Park rimarrà in eredità».
A Firenze dicono che una volta inaugurato, lei venderà la società…
«(ride a lungo)No, non l’ho mai pensato. Un giorno questo accadrà, chiaro. Ma non ancora».
Ha amici nel mondo del calcio?
«Amici amici, no. Però ho buoni rapporti con Friedkin, Saputo,
Iervolino, De Laurentiis. Altri hanno la puzza sotto al naso».
A chi si riferisce?
«A Torino i tifosi granata hanno contestato per tutta la gara il loro presidente. Eppure, sul suo giornale, c’è scritto che hanno insultato me. È l’esempio perfetto di come Cairo utilizza il suo potere. Io rispetto i tifosi granata e la loro squadra: hopregato a Superga, conosco la storia.
Non ce l’ho con loro, sia chiaro».
Sta provando a cambiare il calcio italiano con le sue idee?
«Mi chiedo perché non si possano fare contratti da 8 anni ai giocatori, come in Premier. Poi non è giusto che tu paghi un calciatore italiano molto più rispetto a uno straniero, sul quale ci sono molte meno tasse. Il Governo dovrebbe aiutare e non mettere in difficoltà lo sviluppo del calcio italiano, come sta accadendo adesso.
Mi piace molto il modello dell’U23 portato avanti dalla Juventus».
Qualche settimana fa è stato a Napoli, che città ha trovato?
«I napoletani sono unici. Quando mi sono imbarcato per l’America, da bambino, l’ho fatto da Napoli e ricordo ancora il piatto di spaghetti alle vongole che mi offrì la cucina a bordo della nave. Da quel giorno è diventato il mio piatto preferito. Sono contento per De Laurentiis: siamo tutti e due del sud ed è un orgoglio. È un bene per il calcio italiano che non vincano sempre le solite squadre».
E la Fiorentina?
«Il Napoli ha impiegato tanti anni per arrivare dove è adesso. Io sono qui da poco eppure abbiamo fatto qualcosa di storico e adesso ce la godiamo.
Abbiamo due settimane per conquistare qualcosa di unico per la nostra tifoseria».
Quando è arrivata la svolta della stagione?
«A febbraio mi sono preso pubblicamente tutte le responsabilità di quel momento delicato (un punto in cinque partite,ndr ).Ho difeso Italiano e ho spostato tutte le pressioni su di me. Da lì tutto è cambiato. Tutti dicevano che dovevo mandare via Italiano ma non l’ho fatto, ho sempre creduto in lui».
Ma a giugno rimarrà?
«Ha un contratto fino al 2024 e noi abbiamo un’opzione per portarlo fino al 2025. Lasciamolo stare sereno, ha due finali da giocare. A fine stagione poi parleremo di tutto, con serenità».
Lei dove vive, a Firenze?
«In un appartamento vicino a Ponte Vecchio, con mia moglie Catherine».
Non pensa a una villa?
«Non ostento la ricchezza che ho.
Vedo giocatori che indossano orologi incredibili. Ma io non ne indosso uno da 50 anni. È il grande insegnamento dei miei genitori. In America guido la macchina a 73 anni: per andare al lavoro, per fare la spesa. Mi spiace solo che qui non possa dedicarmi alla mia grande passione, il giardinaggio».
Cosa pensa di Inter e West Ham?
«Sono due grandi squadre. Ma ce la possiamo fare. Abbiamo già battuto i nerazzurri in campionato e contro le big non siamo mai stati dominati. E poi domani andremo dal Papa, chissà».
È scaramantico?
«Anche. Ma soprattutto credente.
Prego prima di una partita e mia moglie porta sempre in tasca un rosario. Ho dedicato la cappella del Viola Park a lei. Il centro sportivo l’ha trasformata: non mi aveva mai visto giocare da giovane, ora è sempre lì».
Rifarebbe tutto?
«Sì, certo. Anche con le critiche. Mi hanno chiamato terrone, mafioso.
Inaccettabile. Forse però, invece dello stadio, penserei ad altro».