la Repubblica, 23 maggio 2023
La Cina va alla guerra dei microchip
Nella grande guerra dei chip tra Cina e Stati Uniti – per la supremazia tecnologica, e dunque la più importante tra le sfide geopolitiche del secolo – Pechino sferra un colpo in risposta a Washington. Citando «rischi gravi per la sicurezza», le autorità cinesi hanno vietato agli operatori di infrastrutture chiave del Paese di acquistare prodotti dalla statunitense Micron.
Un colpo che arriva dopo quasi due mesi di indagini sul più grande produttore americano di chip di memoria, una ritorsione alle misureadottate dagli Usa per tagliare l’accesso della Repubblica popolare alle tecnologie più avanzate.Nell’ottobre scorso gli Usa hanno limitati le esportazioni dei semiconduttori verso la Cina – seguiti poi da Paesi Bassi e Giappone – citando preoccupazioni per la sicurezza nazionale e il rischio potenziale che le tecnologie statunitensi potessero finire nelle mani dell’esercito cinese. A dicembre l’amministrazione Biden ha vietato proprio alla rivale di Micron, la Yangtze Memory Technologies, di acquistare alcuni componenti americani per i chip più avanzati.
Micron rappresenta un obiettivo facile per Pechino: le aziende cinesi possono senza problemi sostituire i suoi prodotti con quelli di concorrenti come Samsung e SK Hynix. Che in Borsa gia esultano: i due produttori di chip sudcoreani hanno visto le loro azioni salire rispettivamente dello 0,9% e del 2,1%. Fu la stessa Casa Bianca, però, il mese scorso, a chiedere a Seul che le proprie aziende non andassero a colmare eventuali lacune di mercato in Cina se la vendita di prodotti Micron fosse stata limitata. Ora il governo di Seul afferma invece che non interverrà. Trovandosi ancora più schiacciato tra le due superpotenze.
La volontà statunitense è quella di limitare lo sviluppo tecnologico del Dragone, che dipende da fornitori esteri, tra cui Taiwan, per i chip più avanzati. Così i semiconduttori sono tornati con prepotenza al centro dei piani di sviluppo di Pechino. Ha speso centinaia di miliardi di yuan finora per cercare di arrivare all’autosufficienza che continuamente chiede il presidente Xi Jinping, ma la strada è ancora lunga. La Cina ha i suoi produttori, in costante crescita, ma questi forniscono soprattutto processori di fascia medio-bassa. Super computer, sistemi di sorveglianza e armi avanzate hanno ancora bisogno della tecnologia che arriva dall’estero. Si era data come obiettivo di coprire entro il 2025 il 70% del suo fabbisogno con la produzione fatta in casa, ma oggi siamo sotto al 20%. Torna ad essere fonte di preoccupazione, allora, il fatto che il 90% dei microchip di ultima generazione sia prodotto nel luogo che gli americani ritengono essere quello di un prossimo conflitto globale: Taiwan. Che Pechino rivuole prima o poi, anche con la forza se necessario. Il controllo di tali tecnologie stuzzica il Dragone. Pechino vuole incrementare la sua capacità di semiconduttori avanzati per essere da un lato economicamente più resistente in caso di invasione, ma anche per sviluppare le sue forze armate per essere preparate a tale conflitto.
Tornando a Micron, non è chiaro ancora quali settori verranno toccati. Tuttavia secondo gli analisti il bando avrà probabilmente un impatto limitato su Micron (che fattura l’11% in Cina) visto che la maggior parte dei chip di memoria venduti al Dragone sono utilizzati nell’elettronica di consumo e non in infrastrutture critiche. Però l’azione punitiva contro Micron rappresenta un primo colpo d’avvertimento per le altre aziende americane di chip che qui fanno affari e segnala la necessità al più presto di una tregua tra le due potenze. Pechino infatti non deve rischiare che la mossa gli si ritorca contro: gli Stati Uniti mirano a rallentare il progresso tecnologico della Cina, la Cina deve stare attenta a non far avverare questo desiderio. Anche a questo servirà infatti la visita nei prossimi giorni del ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, negli Usa: per provare a mettere dei paletti a questa guerra tecnologica. Se è vero che, come ha annunciato Joe Biden al G7 di Hiroshima, i legami tra i due Paesi cominceranno a “scongelarsi molto presto”. Sincerità che già Pechino ha messo in dubbio.
Di tutt’altro tenore sarà invece la visita che inizia oggi in Cina da parte del premier russo Mikhail Mishustin. Una due giorni dove dovrebbe incontrare Xi e il premier Li Qiang. Il russo viaggerà con una nutrita delegazione di imprenditori, molti dei quali sotto sanzioni occidentali. Segnale della sempre più profonda cooperazione tra Mosca e Pechino e della dipendenza sempre più forte dell’Orso dal Dragone.