La Stampa, 22 maggio 2023
Alain de Benoist al Salone del Libro
L’Europa è debole, vittima dell’ideologia della globalizzazione che tutto confonde rendendo indistinte le identità. La destra si propone di ricostituire quelle identità «che hanno attraversato momenti bui ma hanno anche avuto secoli luminosi». Così il filosofo francese Alain de Benoist traccia il solco su cui dovrebbe muoversi l’azione degli intellettuali e dei governi conservatori. In collegamento a sorpresa con il Salone del libro di Torino, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano benedice il filosofo della destra radicale francese mettendo l’imprimatur al suo pensiero: «A chi ha storto il naso sulla presenza di de Benoist al Salone - dice il ministro - rispondo che le sue idee sono accettate e confrontate, svolte in maniera critica in tutta una vasta filosofia contemporanea». Così il cerchio si chiude: il consigliere del ministro, Francesco Giubilei, promuove al Salone i dibattiti della destra con l’appoggio dell’assessore regionale putiniano Maurizio Marrone. Tutti individuano in de Benoist uno dei protagonisti del pantheon culturale della destra radicale e il ministro approva.
La platea che ascolta de Benoist è molto interessante. Giovani militanti di Fratelli d’Italia ma soprattutto reduci della destra estrema già fascista, per anni relegati nelle posizioni di rincalzo del potere e ora finalmente orgogliosi di ritrovarsi tutti insieme alla luce del sole. Tra gli altri si rivede Mario Borghezio, leghista ma soprattutto militante dei movimenti dell’estrema destra xenofoba europea. Se si eccettua la numerosa presenza di agenti in borghese (per evitare il ripetersi di contestazioni come quella che ha tolto la parola alla ministra Roccella), la sala è plasticamente divisa in due: i giovani, privi di complessi nei confronti della storia della destra radicale italiana, e i reduci, da decenni portatori di una cultura minoritaria.
«C’è una crisi identitaria in Occidente - sostiene il filosofo francese - la globalizzazione ci toglie punti di riferimento. Per questo dobbiamo difendere l’identità. La nostra identità. Diverse identità. Ciascuno può scegliere. Se sono un cattolico convinto sono disposto ad accettare l’arrivo di un immigrato cattolico. Se invece tengo alle etnie sono più disposto ad accettare un norvegese, anche se ateo».
Come si vede il gioco può diventare pericoloso. Nella sua critica decennale alla globalizzazione, de Benoist ha in più occasioni attaccato gli Stati Uniti definendoli addirittura in un libro «Il nemico principale». E nella sua battaglia ha finito per abbracciare la predicazione putiniana scrivendo lo scorso anno un libro a quattro mani con Alexander Dugin, l’ideologo dell’autocrate del Cremlino. Il titolo è esplicito: Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica.
Con queste premesse era quasi obbligatorio per Sangiuliano precisare: «Su una cosa non sono d’accordo con de Benoist, io sono pro Ucraina». Un passaggio fugace e poco articolato, quasi da tifo calcistico. De Benoist risponde con benevola comprensione: «Mi rendo conto che il suo compito di ministro è difficile». Deve essere difficile anche il mestiere di filosofo perché poco dopo de Benoist sostiene: «Non sono putiniano e non sono nemmeno zelenskiano. L’Europa avrebbe dovuto mediare tra loro». Equidistanti tra aggressore e aggredito? Posizioni che imbarazzano il governo ma sono musica per le orecchie dell’assessore Marrone (Fdi) padrone di casa nello stand che ospita il dibattito e promotore, nel dicembre 2016, del primo consolato (ovviamente informale) del Donbas filorusso in Italia. Al termine del dibattito l’assessore preferisce non rispondere sul tema.
Ma le divergenze in politica estera (se non sono di facciata) si appianeranno facilmente con la progressiva occupazione dei posti chiave anche in campo culturale. Il primo avvertimento viene da Giubilei ed è indirettamente rivolto ad Annalena Benini che dal prossimo anno guiderà la principale kermesse del libro in Italia: «Il Salone finora non è stato abbastanza pluralista. Lagioia è in scadenza. Vediamo quali saranno le indicazioni del nuovo direttore». C’è spazio anche per una rampogna del ministro della Cultura ai giornalisti: «Professor de Benoist è bellissima quella sua immagine dei giornalisti poliziotti che vogliono importi la loro visione e sono pronti a processarti appena provi ad esprimere un’idea un tantino diversa». Questioni delicate, quella dei posti chiave nella cultura e quella del rapporto tra potere e informazione, che in questi giorni di Salone gli intellettuali della destra hanno voluto affrontare senza timidezze, come si addice ai nuovi padroni di casa scelti dagli elettori che per questo si ritengono legittimati a farlo.