La Lettura, 21 maggio 2023
Incipit di "Cuore di ghiaia" di Abdulrazak Gurnah (La nave di Teseo)
Mio padre non mi voleva. Arrivai a questa consapevolezza quand’ero molto piccolo, ancora prima di capire cosa stavo perdendo e molto tempo prima di poterne immaginare la ragione. Per certi versi, che non capissi fu una fortuna. Se la consapevolezza mi fosse arrivata quand’ero più grande, forse avrei saputo conviverci meglio, ma probabilmente attraverso la simulazione e l’odio. Forse avrei finto che non mi importasse o avrei inveito, rabbioso, offeso, alle spalle di mio padre, accusandolo per come erano andate le cose e perché tutto poteva essere diverso. In preda all’amarezza, forse avrei concluso che non c’era niente di eccezionale nel dover vivere senza l’amore di un padre. Poteva essere addirittura un sollievo doverne fare a meno. I padri non sono sempre facili, soprattutto se a loro volta sono cresciuti senza l’amore del padre, perché in questo caso tutto quello che sanno li portava a capire che i padri dovevano far andare le cose come volevano, in un modo o nell’altro. Inoltre i padri, come tutti, devono affrontare l’inesorabilità con cui procede la vita, e hanno il loro fragile io da lenire e sostenere, e devono esserci molti momenti in cui hanno a malapena la forza necessaria per questo, men che meno riserve d’amore per il bambino spuntato chissà come all’improvviso. Ma io mi ricordavo anche di quando le cose erano diverse, di quando mio padre non mi teneva a distanza con un gelido silenzio mentre stavamo seduti nella stessa cameretta, di quando rideva con me e mi faceva fare le capriole e mi coccolava. Era un ricordo che arrivava senza parole e senza suoni, un piccolo tesoro che custodivo. Al tempo in cui le cose erano diverse dovevo essere molto piccolo, un bambino, perché al tempo in cui potevo ricordarmelo chiaramente mio padre era già l’uomo silenzioso che conobbi in seguito. I bambini possono fissare molti ricordi nelle loro membra grassottelle, il che diventa il problema della vita successiva, ma non è sempre sicuro che ricordino tutto com’era. Certe volte sospettavo che il ricordo delle coccole fosse un’invenzione per consolarmi e che alcuni dei ricordi che avevo non fossero miei. Certe volte sospettavo che me li avessero instillati altre persone, che volevano essere gentili e tentavano di colmare i buchi della mia vita e della loro, persone che esageravano la regolarità e la drammaticità della noia insensata delle nostre giornate, che preferivano che quanto accadeva fosse anticipato da quanto era accaduto prima. Quando arrivai a questo punto cominciai a chiedermi se sapevo qualcosa di me, perché era molto probabile che sapessi solo quello che gli altri mi raccontavano su com’ero da bambino, a volte uno diceva questo e un altro diceva quello e io ero costretto a credere al più insistente e ogni tanto sceglievo da solo come preferivo essere stato da piccolo. C’erano momenti in cui questi pensieri carichi di sensi di colpa si facevano davvero ossessivi, e tuttavia credevo di ricordarmi di essere stato seduto al sole, accanto a mio padre, sulla soglia di casa, mentre lui teneva in mano un bastoncino di zucchero filato rosa in cui stavo per affondare la faccia. Questo era un ricordo che mi arrivava come un istante bloccato, senza conclusione, un momento senza premesse o direzione. Com’era possibile che me lo fossi inventato? Solo non ero sicuro che fosse successo davvero. Mio padre stava ridendo in quel suo modo ansimante e mi guardava come se non riuscisse a fermarsi, le braccia strette sulle costole per trattenersi. Mi stava dicendo qualcosa che non riuscivo più a sentire. O forse non stava parlando affatto con me, ma con un’altra persona presente. Forse stava parlando con mia madre e intanto rideva sussultando in quel modo.