Corriere della Sera, 22 maggio 2023
Scorsese a Cannes
Come Martin non c’è nessuno. Parola di Leonardo DiCaprio. Una delle più belle scene d’amore di tutto il festival l’ha regalata la star, alla sua sesta volta davanti all’obiettivo del regista , all’incontro stampa per Killers of the Flowers Moon. «Martin? Non ha paragoni. Ha un rispetto assoluto per i grandi maestri, il loro cinema ha nutrito il suo. Sono cresciuto con la sua opera, un modello per la vita, per la mia carriera e di un’intera generazione di attori. Quello che sa fare, con maestria assoluta, è svelare l’umanità anche dei personaggi più sinistri e contorti. E continuare a difendere la verità attraverso i suoi film». Colpito al cuore, Scorsese si commuove come già la sera prima al termine della proiezione ufficiale, di fronte all’interminabile standing ovation. Ha sguardi inteneriti per i suoi attori e per l’attuale capo della comunità indiana Osage, Standing Bear, che accompagna il cast. «Mi colpisce questa ondata d’amore, verso tutti noi. Capisco che arriva veramente dal cuore». A 80 anni, compiuti in novembre, sa bene di essere in corsa contro il tempo per continuare a seguire la sua passione: raccontare storie.
Questa volta lo fa puntando un faro di luce su una pagina oscura e ignobile della storia americana in Oklahoma: la spoliazione delle terre cariche di petrolio di proprietà dei nativi Osange, negli anni Venti del secolo scorso. Vicenda ricostruita a partire dal saggio di David Grann Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the Fbi. All’inizio Leonardo DiCaprio avrebbe dovuto interpretare Tom White, un Texas Ranger diventato uno dei primi agenti della neonata organizzazione diretta J. Edgard Hoover, spedito in Oklahoma per investigare sulle morti misteriose di membri della nazione Osange, diventati ricchi con il petrolio. «Ma, in qualche modo, quella era una storia già raccontata: l’eroe bianco dalla parte dei buoni. Abbiamo cercato per anni la chiave giusta. Fino a quando Leo mi ha chiesto: dov’è il cuore della storia?». L’hanno trovata, racconta Scorsese, parlando con i membri della comunità Osange. «E ci siamo concentrati sul personaggio di cui si sapeva meno, Ernest Burkhart, che incarna alla perfezione la tragedia del legame di amore, confidenza e tradimento che i bianchi hanno avuto con i nativi. Non volevo fare un film comodo. Cosa dovrei fare alla mia età se non prendermi dei rischi?».
L’anima nera è De Niro che si fa carico del ruolo più ambiguo, quello di Bill Hale, unico allevatore nella contea che nasconde dietro la facciata da mecenate l’obiettivo di mettere le mani sui soldi assicurati dallo sfruttamento dei pozzi. Attraverso il nipote molto naïf Ernest (DiCaprio), grazie al suo matrimonio d’amore, con una nativa, Molly (Lily Gladstone). L’agente Fbi Tom White (Jesse Plemons) entra in scena ben oltre la meta dei 226 minuti del film. Il focus è sulla sistematica e truffaldina strategia di rapina orchestrata da Hale, detto The King.
De Niro, alla sua decima collaborazione con Scorsese – da Mean Streets, tre anni prima la Palma d’oro del 1976 per Taxi Driver — lo ha seguito a scatola chiusa. «Fatico a capire questo personaggio. Una parte del suo animo è sincero, e le persone gli credono. Allo stesso tempo è spinto al tradimento dall’avidità. Questo è frutto della sua convinzione di essere in pieno diritto di farlo, in quanto bianco. L’ho capito meglio dopo la morte di George Floyd, riflettendo sul razzismo sistemico del mio Paese. E con il nazismo che prova a risbucare da più parti. È di questo che stiamo parlando. È la banalità del male, qualcosa a cui dobbiamo fare attenzione. Sappiamo tutti di chi sto parlando, non c’è bisogno che pronunci il suo nome». Ma non ce la fa a trattenersi. «È come con Trump, lo devo dire. Ci sono persone che pensano che abbia fatto un buon lavoro. Rendiamoci conto a che punto di follia si può arrivare».
La rivelazione di Killers of the Flowers Moon (dal 19 ottobre uscita contemporanea mondiale, da noi con da 01) è Lily Gladstone, l’attrice della nazione indiana Blackfeet, scelta per il ruolo di Molly. «Sono molto grata a Scorsese che è stato attento a concentrarsi sulla complessità dei personaggi e a puntare la lente da artista e non antropologo su una storia che, è bene domandarsi perché, la gente non conosce. Abbiamo ancora bisogno di alleati come Martin e Leo per far sentire la nostra voce».