Corriere della Sera, 22 maggio 2023
Ritratto di Francis Ford Coppola
Tutto inizia con un primo incontro molto riservato nella Cattedrale di Matera. E finisce con un volo molto riservato su di un aereo molto esclusivo e speciale da Bari a Roma, con atterraggio all’Aeroporto di Ciampino.
Nel giugno di una quindicina di anni fa, mi venne proposta un’intervista esclusiva al grande regista Francis Ford Coppola. L’appuntamento era proprio nel capoluogo della Basilicata, per raccontare una sua nuova e piuttosto inedita iniziativa. Lo «zio d’America» tornava nella terra degli avi, per riscoprire e rilanciare le sue origini e anche, perché no, creare un po’ di business. Originario di Bernalda, un paesino di circa 13 mila anime, dove sono nati suo nonno Agostino e suo padre Carmine, il grande regista sognava di intraprendere un’attività alberghiera (sogno poi realizzato con la trasformazione del Palazzo Margherita, un palazzo dell’Ottocento, in resort di lusso per clientela internazionale) e soprattutto culturale in Basilicata.
Mentre ci aggiravamo, chiacchierando, tra i Sassi di Matera, luogo ricco di storia antica, Patrimonio dell’Umanità per l’Unesco ma all’epoca non ancora Capitale della Cultura, Francis dimostrava di conoscere più il dialetto lucano, appreso sin da bambino in famiglia, invece dell’italiano e, comunque, riusciva a farsi capire benissimo.
La prima cosa che mi disse, fu: «Mi piacerebbe aiutare questa Regione, che preferisco chiamare Lucania e non Basilicata. Vorrei avviare un nuovo tipo di turismo, che unisca le bellezze dei luoghi alla loro storia, alla cultura e alle prelibatezze alimentari».
L’occasione della sua visita, con relativa intervista al Corriere della sera, era dovuta infatti al progetto «Sensi Contemporanei», ideato dal critico d’arte Francesco Bonami, frutto di una collaborazione tra i ministeri dell’Economia e dei Beni Culturali con la Biennale di Venezia, per promuovere arte e cultura nelle province del sud d’Italia. La proposta dell’esclusiva mi era stata fatta da Francesca Martinotti, all’epoca ufficio stampa della Biennale.
«Non mi interessa il turismo di massa – sottolineava determinato Coppola – Voglio creare delle opportunità per i giovani lucani, affinché possano sfruttare al meglio le loro risorse. E proprio a Bernalda intendo ristrutturare un antico palazzo e trasformarlo in un albergo con poche suite. Inoltre, voglio dare impulso a un centro di formazione per nuovi sceneggiatori, scrittori di teatro, musicisti, artisti visivi».
Il centro cui si riferiva era già esistente ed era diretto da suo cugino, Michele Salfi Russo, molto più giovane di lui: si trattava del Castello Torremare, vicino a Metaponto, dove venivano realizzate rassegne estive. E lo «zio d’America» disse: «Intendo dare una mano a mio cugino per intensificare questa attività, per renderla duratura e permanente. L’idea è quella di portare qui turisti che siano curiosi di conoscere la Magna Grecia, le origini storiche e artistiche del Mediterraneo».
Non era la prima volta che Coppola tornava nella sua terra e ci sarebbe tornato più volte: anche per il matrimonio della figlia Sofia, che si è sposata proprio a Bernalda.
Mi raccontò nel suo brooklyino delizioso, misto a battute in dialetto: «Nei primi anni Sessanta sono stato il primo della famiglia emigrata negli Stati Uniti a tornare alle origini: da allora ho sempre avuto un’idea fissa. Rivalutare il mio paese d’origine. Sento che è arrivato il momento di avverare questo sogno. Per lanciare il progetto ci vorranno almeno 5 o 6 milioni di euro».
Si era fatta l’ora di pranzo e, dagli organizzatori dell’incontro, venimmo condotti in uno dei ristoranti più eleganti nel cuore labirintico dei Sassi: cucina tipica, tra orecchiette, strascinati con le cime di rape, e poi la pignata con la carne di pecora, la cialledda... per concludere con le strazzate materane.
Tra un piatto e l’altro, io prendevo freneticamente appunti, per poi costruire l’articolo. A un certo punto, gli ricordai che, proprio in quei luoghi, Mel Gibson aveva girato La Passione di Cristo. Coppola mi rispose con malcelato distacco: «Non ho visto il film. Io, piuttosto, ricordo il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini».
Arrivati al dolce e poi al caffè, ci eravamo inoltrati nel primo pomeriggio e io, ovviamente, dovevo precipitarmi in hotel, dove mi era stata riservata una camera per trascorrere poi la notte e ripartire il giorno seguente, per scrivere l’articolo e mandarlo alla redazione: doveva essere pubblicato il giorno dopo, davvero cotto e mangiato.
Di materiale ne avevo a iosa, avrei potuto snocciolare un romanzo intero, tante erano state le chiacchiere, i racconti, gli aneddoti regalati dal grande regista, che invece sarebbe partito la sera stessa con il suo aereo privato. Ma prima di congedarmi da Coppola e dal suo ristrettissimo staff, per andare a lavorare, mi lamentai di un fatto: «Che peccato! Mi dispiace rimanere qui stasera, da sola, in hotel... davvero un peccato che lei, Francis, riparta subito». E lui non esitò un attimo: con grande gentilezza e piglio deciso, mi disse che non c’era problema e mi propose di partire con loro. Mi raccomandò soltanto di essere celere nello scrivere l’articolo, per rispettare i tempi tecnici aeroportuali.
Gioia immensa: corsi in albergo, svolsi ovviamente il mio compito e mi ricongiunsi al ristretto gruppo, per raggiungere l’aeroporto barese. E qui comincia la seconda parte dell’avventura.
Innanzitutto resto sbalordita quando mi appare sulla pista il suo jet: era tutto colorato. Fusoliera gialla, ali e timone di coda blu, un motore rosso e l’altro verde: sembrava l’aereo di Topolino, l’aereo più pazzo del mondo. All’interno, elegantissimo: comode poltrone, servizio di accoglienza straordinario, due piloti al comando. Durante il volo, Francis non è stato zitto un attimo. Parlava soprattutto della sua adorata Sofia che si era appena fidanzata con Quentin (Tarantino): lo definiva un giovane genio del futuro cinema americano. Ma non basta. La cosa più sorprendente è che non solo cominciò a cantare a squarciagola canzoni come ’O sole mio, e un accenno alla Traviata con De’ miei bollenti spiriti, assolutamente intonato, ma poi scansò uno dei due piloti e si mise alla guida, esclamando: «Ora piloto io!».
Un brivido mi percorse la schiena, tuttavia arrivammo sani e salvi nella capitale con atterraggio perfetto: per me era l’approdo definitivo a casa, per Coppola si trattava semplicemente di una fermata obbligatoria per fare rifornimento di carburante e ripartire subito dopo per Parigi, dove avrebbe raggiunto la figlia.
Nell’aerostazione di Ciampino, il regista, nel suo completo giacca e pantaloni di lino beige, decise di non attendere la ripartenza in una sala riservata: era una bella giornata estiva e ci sedemmo tutti insieme sugli scalini esterni, per continuare a chiacchierare, godendoci gli ultimi raggi di sole nell’imminente tramonto.
Allora chiamai al telefono mio marito, dicendogli: «Se ti sbrighi a venirmi a prendere, ti presento Francis Ford Coppola». Era il suo regista preferito ed è inutile aggiungere che si precipitò per raggiungermi in tempo e avere così la possibilità di conoscerlo, ma rimase totalmente, positivamente sbalordito quando ci trovò allineati sui gradini all’aperto, in una condizione un po’ precaria, e in un’atmosfera decisamente conviviale... Coppola ed io, una coppia di vecchi amici.
Una giornata per me memorabile e aggiungo, con un pizzico di rammarico: non ho mai amato scattare foto ricordo con i tanti personaggi famosi che mi è capitato e mi capita di intervistare. Anche in quel caso non l’ho fatto, però ammetto che un po’ mi dispiace: ne sarebbe valsa davvero la pena.